Arrivo a Bari il sabato di Pasqua. Avevo già seguito l’Ideale e i suoi ultras non molto tempo prima. In questo fine settimana però, la Terza Categoria osserva un turno di riposo per le festività religiose. Mi sarebbe piaciuto scattare e vedere di nuovo all’opera sui gradoni questi ragazzi, fomentati dall’Ideale ad un passo dalla promozione in Seconda. Avevo altresì il vecchio desiderio di intervistarli per cogliere meglio quelle piccolezze che ad occhio o orecchio non si carpiscono: ci avevamo provato, ma la trance agonistica e gli impegni correlati avevano vanificato ogni tentativo precedente, per cui ritrovarsi a bocce ferme è l’occasione propizia per questa chiacchierata. Perché è di questo che in fondo si tratta, di una chiacchierata fra amici per soddisfare le tante curiosità su questa avventura a metà strada tra calcio popolare e mondo del tifo che spero di essere riuscito a rendere degnamente.
Incontro i ragazzi a Parco Sud, poi ci spostiamo sul lungomare, in centro, davanti ad un caffé, all’immancabile focaccia barese accompagnata da una tipica “Peroni”, infine a pranzo a casa di uno del gruppo. Riparto nel tardo pomeriggio con 3 ore di registrazione vocale che richiederanno poi il quadruplo del tempo per essere sbobinate, 15 pagine di word come eredità, ma soprattutto un carico di umanità, di umiltà, di rispetto e di valori (non solo ultras) che mi hanno fatto sentire bene, mi hanno restituito un minimo di motivazioni nel fare questo lavoro spesso improbo, e sempre non retribuito, che diventa frustrante quando, per strane coincidenze, ci si imbatte sistematicamente in adolescenti esaltati o adulti mai cresciuti, sotto ostaggio della propria esaltazione. Grazie a loro di tutto, grazie per essersi messi a nudo, con tutti i rischi del caso che non corre invece chi se ne sta sul proprio piedistallo a pontificare. Grazie infine anche a quanti avranno la pazienza di leggere questa intervista.
MF 

Partiamo dalle prime e minime curiosità legate alla vostra nascita. Innanzitutto perché “Ideale” e quali spinte motivazionali hanno portato alla vostra fondazione?
L’Ideale Bari nasce tecnicamente il 28 maggio 2012 con il deposito dell’atto costitutivo. Abbiamo scelto il nome “Ideale” per rendere omaggio alla prima squadra di Bari: nel 1908 nacque infatti l’Ideale Bari e da una fusione con il Liberty Bari, nato nel 1909, negli anni Venti nacque l’AS Bari. Il nome Ideale richiama dunque la prima tradizione calcistica cittadina, ma lo fa solo da un punto di vista puramente nominale: ci teniamo a specificarlo perché è esistito per parecchio tempo, in passato, un altro Ideale a cui ci accomuna solo il nome, non il titolo sportivo.
Oltre che il nome, anche i colori sociali ci legano a questo passato. Spesso in queste categorie è la necessità a stabilirli, noi ci abbiamo tenuto a preservare con orgoglio due abbinamenti cromatici: nero-verde come il primo Ideale e bianco-rosso come il simbolo della città.

 

Da un punto di vista organizzativo, sembrate molto strutturati. Colpiscono alcune vostre peculiarità come l’attenzione per l’aspetto comunicativo. Bello anche lo slancio extra-calcistico e sociale che date alla vostra vita mentre, per esempio, manca quella linfa diretta che può arrivare da un settore giovanile.

Abbiamo un organigramma che comprende un presidente, un tesoriere, dei consiglieri, ecc. perché ce lo impone la burocrazia. Sono figure che rispondono ad un bisogno, oseremmo dire, più “documentale” che altro. Le decisioni vengono poi prese in collegialità, è una pluralità di soggetti a decidere, gli stessi che poi materialmente e fisicamente sostengono la squadra. Azionariato popolare si traduce per noi in squadra non solo tifata, ma anche gestita dagli ultras.

Da un punto di vista formativo siamo rimasti a zero non per mancanza di volontà ma di fondi per farlo: una scuola calcio richiede strutture, campi, materiale tecnico, altri allenatori, ulteriori rimborsi. Il problema, oltre che di carattere economico, è anche di principio: le scuole calcio prevedono normalmente un’iscrizione in denaro e quando qualcuno ci ha proposto di istituire un settore giovanile, la prima domanda che ci siamo posti è se fosse giusto o no far pagare un ragazzo che s’affaccia con i suoi sogni al calcio. La nostra risposta è stata negativa, ma non avendo quell’autonomia economica per una scuola calcio autogestita, abbiamo deciso di rinunciare per ora a questa idea.

Le proposte non sono mancate, la nostra attività cresce e con essa le possibilità di riaprire in futuro questa porta chiusa a malincuore: è uno step di crescita che potremmo affrontare in futuro. Oltretutto, in termini regolamentari, c’è l’obbligo di avere un certo numero di juniores in squadra, per cui un settore giovanile risulterebbe una risorsa diretta molto importante.
Congiuntamente all’associazione infine, abbiamo posto in essere una serie di attività sociali: abbiamo creato, in cooperazione con la Fondazione Gabriele Sandri, un gruppo donatori certificato dal Coordinamento Regionale per le Attività Trasfusionali; abbiamo portato avanti altre iniziative come donazione di uova pasquali agli orfanotrofi e raccolte di soldi o vestiario per i meno abbienti in collaborazione con la Onlus Equanima perché riteniamo che le attività sociali completino il concetto di calcio popolare, che essendo appunto un calcio del popolo, dovrebbe essere vicino alle sue problematiche sociali.

 

Come avete fatto cenno, siete una realtà improntata sull’azionariato popolare, ma è una soluzione sufficiente a coprire tutte le necessità e a sostenere le vostre ambizioni? Dove invece diventa imprescindibile appoggiarsi a degli sponsor? Quest’ultima ipotesi non rischia poi di aprire il dibattito sull’etica di determinati sponsor?

Premesso che rispondiamo sulla scorta della nostra esperienza e che non siamo i depositari del modello perfetto, ci preme sottolineare che la nostra è più che altro partecipazione popolare che non azionariato vero e proprio: non ci sono quote e ognuno contribuisce secondo le proprie disponibilità. Non siamo un Trust in cui si acquisiscono un tot di azioni e più o meno consiglieri in misura della propria partecipazione economica. Siamo una diligence dal basso, creata da chi frequenta, vive e finanzia il progetto. Riteniamo più equa e paritaria questa via perché con la corresponsione economica non puoi comprare un potere decisionale maggiore: se un lavoratore mette 100 € perché ha più possibilità rispetto ad uno studente o a un disoccupato, il suo parere è esattamente uguale all’altro.
Per essere precisi, ad inizio campionato ognuno della ventina di componenti dello zoccolo duro ha versato una quota più sostanziosa di minimo 60 €, mensilmente integrata con altre 20 € a testa. Chi può versa anche di più. Oltre ai soci ci sono poi i simpatizzanti che hanno aiutato ad inizio stagione e periodicamente donano una quota volontaria.

In aggiunta alla raccolta diretta, mettiamo in atto una serie di iniziative collaterali come una campagna abbonamenti (simbolica, visto che l’ingresso è in realtà gratuito), feste o altro per portare qualche soldo in più. Soldo in più puntualmente reinvestito, perché non abbiamo fini lucrativi e le spese sono così varie che ogni piccolo incasso diventa vitale a garantire i rimborsi, i tutori per chi si infortuna, le visite fisioterapiche, ecc.
Detto questo, in maniera del tutto spassionata possiamo assicurare che la raccolta popolare non è sufficiente a coprire tutti i costi, per cui ricorriamo a degli sponsor. Sponsor solidali o poco più, nel senso che non sono dei grandi finanziatori che mettono 10-15-20 mila euro l’anno che ci permettono di fare il nostro campionato. Il grosso lo facciamo comunque con le nostre forze.
Per dirla con molta sincerità, non ci siamo mai posti il problema sull’etica dello sponsor perché non abbiamo mai avuto sponsorizzazioni importanti o che fuoriuscissero dalla nostra cerchia di amici e conoscenti. Per statuto non è previsto un discrimine fra sponsor buoni e sponsor cattivi, ma va da sé che siamo contrari a certe entità opposte alla nostra idea di calcio, come potrebbero esserlo, tanto per fare degli esempi, Sky o Red Bull. Pura e bella teoria che certamente adotteremmo anche nel caso assurdo Sky arrivasse ad offrirci 50.000 €, ma nella pratica quotidiana bisogna fare i conti anche con la realtà.

Pierrot e la luna: Ideale Bari-Fulgor Molfetta, Terza Categoria

Dopo il vostro contesto specifico, vorremmo però sentire una vostra opinione sullo stato di salute attuale e sulle prospettive future dell’azionariato popolare in Italia. Più estensivamente chiedervi un confronto con l’Europa, dove il fenomeno azionariato popolare è diffuso già da tempo e si è quindi evoluto in forme più avanzate.

In termini puramente idealistici crediamo che l’azionariato popolare sia il modello di gestione perfetto per un club di calcio: le prime persone che hanno interesse affinché le cose vadano bene, sono proprio i tifosi, i primi depositari della fede calcistica.
In prospettiva siamo ancora lontani dalla possibilità che queste realtà escano dalla nicchia del campionato dilettantistico come avviene in Europa, questo perché i costi imposti dalle leghe sono al momento troppo alti. Andrebbe fatto, in merito, un distinguo ulteriore fra azionariato popolare puro e impuro: l’azionariato puro, nel senso di sostegno economico garantito solo e soltanto dai tifosi, lo riteniamo al momento inattuabile o comunque limitato ad ambiti calcistici amatoriali, di Terza, Seconda categoria al massimo o comunque dilettantistici. Abbiamo consapevolezza di esperienze europee a livelli superiori come il Sankt Pauli, ma anche in quelle realtà un finanziamento esterno al tifo, più o meno grande, è necessario affinché la competitività resti alta e congrua alle categorie professionistiche.

 

Osservando tante realtà italiane, non si può non notare una predominanza delle compagini fortemente connotate politicamente, a sinistra soprattutto ma anche con qualche esempio a destra. Non avendo mai inquadrato nella politica il carattere “popolare” del calcio, avendolo sempre visto e vissuto come fenomeno puramente sociale, vi chiediamo se questo legame (a prescindere dal “colore”, lo ripetiamo), sia davvero inevitabile. Lo chiediamo ovviamente sempre in base al vostro vissuto e senza che ciò possa essere eretto ad esempio moralizzante.

Senza appunto farne un esempio moralizzante, secondo noi il calcio popolare non deve essere portatore di alcuna identità politica, che sia di destra o di sinistra. Ci sono realtà che provengono da altre dinamiche come i centri sociali politici e ci sono realtà come la nostra che arrivano dal mondo della curva e portano inevitabilmente con sé i propri principi improntati ai valori ultras.

È innegabile che in mezzo a noi puoi trovare di tutto, ma abbiamo cercato, fin dal primo giorno, di tenere fuori la politica perché per noi non costituisce una priorità. Non vediamo le nostre battaglie come uno strumento sociale più ampio, ci interessa semplicemente cambiare il calcio odierno o anche solo parte di esso: è certamente limitante rispetto ad un grande cambiamento politico-sociale, ma è quello che ci interessa fare. Il bello è che poi persino la gente che ha un determinato credo politico, rivede in quello che facciamo dei gesti comunque politici, senza il bisogno di sbandierarli con determinati colori o mettere delle etichette.

Oltre a non essere capaci di colorare politicamente il progetto, non ci interessa perché sarebbe escludente, perché rappresenta un limite. Riteniamo dunque che l’azionariato popolare debba essere apolitico per dare la possibilità a tutti di partecipare ma, ovviamente, non possiamo entrare nel merito delle decisioni altrui che rispettiamo.

Riagganciandoci al concetto estensivo di “calcio del popolo”, il nostro obiettivo principale è di riconsegnarlo ai suoi legittimi proprietari che non sono le televisioni, i presidenti, i procuratori sportivi o tutto il marcio che da sempre contrastiamo. Legittimo proprietario del calcio, essendo questo lo sport popolare per antonomasia, è il popolo; il popolo per definizione è assolutamente eterogeneo: gente con un credo politico, gente senza idee in merito, gente che non va a votare, gente che rifiuta la scheda, gente che non si sente rappresentata dai partiti, gente che fa parte dei partiti. Il bello della curva, con le dovute eccezioni di certe realtà molto specifiche, è che quando segna la tua squadra ti abbracci alla prima persona che hai vicino, senza che minimamente t’importi se abbia la tessera di un partito; ti importa solo la gioia condivisa di quel momento, ti importa solo che abbia segnato la tua squadra. La bellezza delle Curve, sotto certi aspetti violentata, è nella loro eterogeneità, questa è un po’ l’idea che abbiamo voluto portare all’interno del nostro progetto: l’eterogeneità, la bellezza di essere diversi.

 

Per integrare la risposta precedente: restando avulsi al contesto politicamente amalgamato, non siete mai stati sfiorati dal classico addebito che “chi non è né di destra e né di sinistra, vuol dire che è di destra”?

In passato qualcuno, una minor parte sinceramente, c’ha appunto contestato questo: il fatto che essere apolitici, in sé rappresentasse uno schieramento. Nulla di più distante dalla nostra realtà, in cui nessuno dello zoccolo duro fa militanza politica.

Anche per questo siamo andati all’assemblea nazionale del calcio popolare che si è svolta a Roma, partecipando in maniera nutrita e spiegando le nostre dinamiche per dimostrare di non avere restrizioni, limitazioni o preconcetti nei confronti di nessuno.

Il rischio di restare ai margini della rete è reale, a certe condizioni, ma alla stessa maniera, dopo quell’assemblea, qualcosa è cambiato: abbiamo intrapreso una corrispondenza più o meno fisica, a livello societario, con i ragazzi di Roma dell’Ardita, del Brutium Cosenza, di Quarto, quindi diciamo che c’è rispetto con la maggioranza delle persone. C’è anche chi storce un po’ il naso sulla nostra presenza, ma come detto è una minor parte e col tempo la nostra diversità è stata accettata ed apprezzata.

 

È capitato ad alcune realtà di azionariato popolare, di venire colpite a livello politico-istituzionale con porte chiuse o penalizzazioni, più o meno subdole. Che tipo di approccio hanno le istituzioni? Avete mai sofferto una discriminazione per il vostro modo di fare calcio, in certo qual modo contrario al comune sentire e agire?

La nostra esperienza, da questo punto di vista, è nulla. Con la Federazione i rapporti si limitano a quelli di necessità: depositi di lista, comunicazioni e tutti quelli che sono gli interscambi minimi funzionali all’attività calcistica. In ragione di questo, onestamente non ci sentiamo di dire che siamo stati trattati peggio solo per la nostra diversa forma societaria. Il fatto è che fino a quando sei così in basso, non attiri su di te le luci dei riflettori, il problema si potrebbe prospettare solo qualora si arrivasse sufficientemente in alto. A livello nazionale sappiamo che ci sono stati problemi, ma non possiamo per ovvie ragioni andare a fondo di vicende che conosciamo solo marginalmente.

Ipotizziamo per un momento uno scenario utopico in cui l’Ideale Bari arrivi a bussare alle porte di quel calcio a cui avete voltato le spalle fondando questo sodalizio. Non si aprirebbe un paradosso? Vi toccherebbe tornare indietro e ricominciare daccapo? Questo progetto quindi ha un limite di aspirazioni e di sogni massimi oltre i quali non è lecito andare?
Questa è una domanda a cui abbiamo difficoltà nel rispondere perché rappresenta una problematica immanente. È inutile nascondersi: nel caso utopico l’Ideale dovesse arrivare in Serie D o Lega Pro, le problematiche che abbiamo abbandonato le ritroveremmo di nuovo davanti ed irrisolte. Razionalismo a parte (ci sono voluti 4 anni per arrivare vicini alla Seconda Categoria, immaginate quanto tempo serva a scalare altre 3/4 categorie), possiamo dire che noi, fino ai limiti del possibile, cercheremo di portare le nostre istanze nel “Palazzo” con la purezza che ci contraddistingue, ma che oggettivamente è facile manifestare in queste categorie. Onestamente non sappiamo come potremmo gestirle, ma mi piace riportare una battuta di Cristian del Brutium Cosenza: “Se dovessimo arrivare in D, vorrà dire che ricominceremo daccapo”; una battuta simpatica ma, sempre utopisticamente parlando, rinunciare ad una promozione come rifiuto estremo a quel tipo di calcio è qualcosa che potremmo anche considerare.

Il paradosso di questo tipo di progetto, se vuole rimanere entro certi tipi di logiche, è che deve sì cercare di crescere, ma non troppo. Ad un certo punto dovrai porre un freno all’ambizione o perché non ce la farai più a crescere, ma anche perché non ti dovrebbe più interessare crescere. Sarebbe bello un Ideale Bari in Serie D, dal punto di vista sportivo, ma sotto certi aspetti non ci interesserebbe più di tanto perché tornerebbero attuali tutte quelle problematiche con cui non volevamo più avere a che fare.
L’unico modo che avremmo di sfuggire al cortocircuito è dando corpo all’ipotesi, come paventato in qualche assemblea di calcio popolare, di creare una lega popolare esterna alla FIGC. Già la stessa partecipazione ad un campionato FIGC è infatti un piccolo controsenso, essendo la stessa Federazione organica alle sovrastrutture che hanno portato il calcio lontano dalle sue origini popolari. Anche queste ipotesi comunque, oltre a non essere del tutto sostenibili economicamente, presentano poi a loro volta una serie di problemi paradossali perché, ora come ora, l’unico modo per cambiare pur leggermente lo stato di cose e muovendosi dall’interno.

 

Com’è emerso e com’era intuibile, il livello di compenetrazione fra l’Ideale società e l’Ideale tifo è molto elevato. Ma fin dove sono coinvolti i tifosi nelle dinamiche societarie? Fin dove invece questa reciprocità diventa limitante? Fin dove vale la pena, mettendo sulla bilancia i guadagni materiali e immateriali di avere un certo tipo di sostegno in Terza Categoria, a fronte delle piccole ritorsioni che poi il giudice sportivo attua nei confronti di forme di tifo quali il fumogeno piuttosto che il coro non politicamente corretto?

A livello funzionale lavoriamo in commissioni: ci sono persone che si occupano più specificamente della questione calcistica, persone che si occupano della questione ultras, persone che si occupano della questione amministrativa. Ognuna di queste commissioni è composta da ultras. Ovvio che all’interno di un sodalizio del genere è necessario che ci sia qualcuno che capisca più come produrre il tesseramento di un giocatore piuttosto che come fare uno striscione. I tifosi comunque gestiscono tutti gli aspetti della vita del club: è importante la partecipazione, ma c’è chi non capisce minimamente della preparazione di una lista di svincolo o di come realizzare materialmente una pezza, quindi non tutti mettono bocca su tutto.
Il bilancio fra pro e contro non è quasi mai positivo, esporci da tifosi ci obbliga a prestare il fianco a certe ritorsioni, se così vogliamo chiamarle, ma sono spese che mettiamo in preventivo nell’esercizio della nostra libertà di tifo. Eppure quest’anno siamo andati tutto sommato bene, subendo finora piccole multe dell’ordine di 100/150 € mentre l’anno scorso, solo a Sannicandro ne prendemmo circa 300/350.

 

Conoscendo già da tempo qualcuno del vostro gruppo come appartenente ai disciolti “Bari 1908” siamo portati inconsciamente (o forse erroneamente, questo ce lo chiarirete voi), a considerare Ideale Bari come naturale prosecuzione di quell’esperienza. In tal senso anche la tempistica alimenta questa idea, visto che l’Ideale è nato praticamente a stretto ridosso dello scioglimento di “Bari 1908”. C’è dunque vincolo di sangue fra le due cose? 

Alcuni di noi facevano parte di quel gruppo e hanno dato poi vita a questa esperienza, però al nostro interno, soprattutto ora, è una parte residuale quella facente parte del gruppo.
L’ultimo anno di Bari 1908 era l’anno delle trasferte vietate, delle trasferte senza tessera ed era diventato sfiancante seguire il Bari in una certa maniera, senza giungere a compromessi. Morto per una serie di problematiche quel discorso “curvaiolo”, nasce l’Ideale più come risposta ai limiti del sistema che non ad un discorso ultras in cui erano venuti meno i Bari 1908.
Non c’è stato un passaggio di consegne fra le due entità, ma è chiaro che se un certo numero di persone facevano parte di quel gruppo ed ora fanno parte di Ideale Bari, qualche tipo di retaggio lo si nota: dietro un gruppo ci sono delle persone e delle idee, e se una parte di queste porta le sue idee in un’altra iniziativa, è inevitabile notarne una somiglianza, ma l’equivalenza Bari 1908-Ideale Bari non è corretta o lineare, visto che alcuni facevano parte di altri gruppi ulteriori, altri andavano allo stadio da cani sciolti, altri non si possono definire nemmeno propriamente ultras.

Parlando del tifo vero e proprio volevamo sapere se la sua strutturazione è più formale o informale, se l’organizzazione ripercorre quella classica dei gruppi vecchio stampo con sede, riunioni, ci si riconosce dietro una sigla piuttosto che un’altra, oppure ha una indole più spontaneistica?

A livello di gestione degli spalti c’è sicuramente un’organizzazione ma non esasperata. È chiaro, per esempio, che ogni striscione è frutto di una discussione, ma non abbiamo una sede in cui incontrarci: spesso ci vediamo per strada o al campo d’allenamento, visto che oltre che ultras siamo anche società e quindi le due cose vanno a sovrapporsi. Tra un allenamento e l’altro si parla di come approcciarsi alla domenica, di cosa e come lo si vuole fare.
Non abbiamo l’esigenza di un’istituzionalizzazione. Si è cercato, sfuggendo alle rigidità del gruppo ultras tradizionale, di tenere più aperto possibile il progetto per renderlo quanto più includente, anche verso quanti non si riconoscono prettamente nella cultura ultras; seppur poi pratichino con noi e come noi all’interno delle dinamiche e della linea ultras che ne consegue. L’inclusione passava necessariamente dallo smarcamento da un nome, un simbolo o un cappello che avrebbe tenuta lontana gente che, di primo acchito, non vi si sarebbe identificata, per un motivo o per un altro. Nella pratica domenicale però, importante ribadirlo, l’organizzazione c’è, lo si intuisce dal gruppo che si compatta e da come si compatta, dal lanciacori, dagli striscioni, ecc. Questo però non corrisponde ad una gerarchizzazione e il ragazzo che lancia i cori, per esempio, non ha più voce in capitolo rispetto ad uno che sta in gradinata.

 

L’altra domanda ricorrente che molti si pongono, in chiave romantica e quindi nella speranza di una risposta altrettanto romantica, è: ma gli ultras dell’Ideale Bari seguono solo l’Ideale Bari?

A livello di militanza attiva fondamentalmente sì, nel senso che nessuno di noi ha poi un ruolo parimenti attivo in gruppi della Curva Nord Bari. Anche sotto questo aspetto, non essendoci posti con l’ortodossia rigida del gruppo ultras tradizionale, al di fuori di esso ognuno fa quello che vuole: va a vedere la partita o meno; in Curva Nord, Curva Sud o Tribuna Est; dove meglio crede e con chi crede. Ci sono in mezzo a noi ragazzi che seguono più o meno attivamente il Bari e gente che allo stadio non mette più piede.
Bisogna ovviamente bilanciare obblighi societari, lavoro e vita privata: in termini pratici, volendo vivere entrambe le situazioni con la stessa intensità, si avrebbe un aggravio sulla propria vita personale alquanto pesante e forse umanamente insostenibile.

 

La vita ultras per l’Ideale Bari quindi, non ha dei risvolti particolarmente escludenti dalla vita ultras fuori dall’Ideale Bari? Come vengono visti, per esempio, gli ultras dell’Ideale in Curva Nord a Bari?

Con la Curva Nord c’è il massimo rispetto e la massima collaborazione. Sanno che se ci si sposta in trasferta per il Bari possono contare su di noi dal punto di vista ultras. Ci sentiamo ultras di questa città e ne difendiamo i colori in qualsiasi contesto. Può sembrare anche questa un’ambiguità rispetto alla duplicità della situazione, ma non essendo progetti in antitesi, cerchiamo di non farci troppe seghe mentali su un’ortodossia che di questi tempi resta tale solo sulla carta, visto che nessuno può permettersi la stessa coerenza ed aderenza alle regole ultras di vent’anni fa.

 

All’inverso, quali sono i rapporti e l’influenza che la Curva Nord Bari esercita nei confronti dell’Ideale Bari?

In maniera assolutamente trasversale, e a prescindere dalle dinamiche interne che ci sono in Curva Nord, ci sono ragazzi che vengono alle nostre partite pur non facendo parte attiva del nostro progetto. Il doppio filo che ci lega è evidenziabile anche nella scelta di evitare assolutamente la contemporaneità con le partite del Bari, prima di tutto per motivi pratici, per permettere a quante più persone di essere presenti; poi anche da un punto di vista oseremmo dire ideologico: noi non siamo nati in alcun modo per contrapporci al Bari, il nostro è un rapporto quasi complementare. In sostanza quello che ci è negato di vivere col Bari per restrizioni di vario genere, abbiamo deciso di riviverlo dando vita all’Ideale. Null’altro di divergente e assoluta libertà di aggregazione per quanti, pur esterni all’attività del nostro progetto, ne vogliano vivere anche solo la parte ludica sugli spalti senza altri impegni economici o mentali.

A giudicare dalle presenze che di volta in volta, in maniera più o meno manifesta, si affiancano a voi dell’Ideale, c’è sicuramente qualche rapporto d’amicizia che dalla Nord ha influenzato anche voi. C’è anche qualche rapporto del tutto nuovo o vissuto da voi in esclusiva?

Abbiamo sia pescato nelle amicizie preesistenti che create di nuove, derivanti dall’attività legata all’Ideale Bari.
Le vecchie amicizie hanno sicuramente un peso maggiore, come quella con i ragazzi di Reggio Calabria che ci hanno onorato con la presenza ufficiale della loro pezza al nostro fianco. È questa un’amicizia che portiamo avanti da quando andavamo in Curva Nord in maniera militante. Diverse altre sono state poi le amicizie nate in Curva a Bari che si sono riversate in Ideale: nel corso di questi anni ci sono venuti a trovare i ragazzi di Andria, sono venuti anche dei ragazzi di Monopoli ed altri ancora dalla provincia.
Ci siamo poi ritagliati uno spazio autonomo come l’amicizia con i ragazzi di Lipsia che non ha nulla a che vedere con la Nord di Bari. Si tratta dei ragazzi che seguono la Lokomotiv, la storica squadra di Lipsia che è relegata in 5a divisione tedesca, preferita alla seconda squadra di Lipsia, rilevata dalla Red Bull e reinventata ad arte con colori nuovi, nuovo stadio, storia rimossa ma militante nel corrispettivo della nostra Serie B. Loro hanno deciso di fare questa scelta romantica e di rottura, preferendo seguire la storica squadra nei bassifondi per non piegarsi al calcio delle multinazionali. Operazione che poi la Red Bull ha fatto in vari posti, da Salisburgo al Brasile, cancellando radici e tradizioni per mero marketing. Nonostante le differenti culture, il differente piano di lotta al calcio moderno, il differente modo di vivere ultras, ci si ritrova spesso in sintonia e c’è un sentire comune che ha portato a questa stima reciproca.

 

Non essendoci gruppi ultras a queste latitudini, immaginiamo che rivalità vere e proprie non esistano. Volevamo però chiedervi se, al pari delle amicizie, qualcosa si trascinasse anche in questo caso da quelle che sono le rivalità della curva barese.

Questo potremmo dirvelo dal prossimo anno, visto che la Seconda Categoria ha carattere regionale e ci toccherebbe giocare alle porte di Foggia o di Taranto, a seconda del girone in cui saremo inseriti.
È vero che portiamo avanti un progetto nuovo, ma agli occhi esterni siamo comunque baresi e non può esserci un superamento della rivalità, anche se non facciamo immediatamente riferimento alla curva di Bari.
Ci sono stati episodi di confronto minimo con altre tifoserie in questi anni, come la scorsa stagione quando giocammo a Trinitapoli, ex provincia foggiana: c’era un piccolo gruppo che si definiva ultras, ma non abbiamo avuto problemi o riscontrato ostilità. Altre piccole tifoserie le abbiamo incontrate poi due anni fa ad Acquaviva o a Spinazzola, ma anche qui senza che ciò comportasse problemi.
Ben vengano comunque anche le rivalità, in fondo sono la dimostrazione che stai facendo qualcosa di buono: mi sovvengono sempre le parole famose di chi disse che in un confronto, anche opposto, c’è sempre un atto di stima; quindi se c’è gente a Lecce, a Taranto, a Foggia, solo per rimanere in ambito locale, che vede in noi un nemico, significa che il progetto dell’Ideale Bari è un progetto rispettato.

 

Come si fa a trovare motivazioni ultras in una categoria infima come la Terza, dove non esiste il minimo confronto e tanti stimoli vengono a mancare? Non esiste il pur sottile rischio di auto-referenzialità nel predicare in questi deserti, dove si vive sì più liberamente, ma senza potersi porre in maniera conflittuale, se non marginalmente, a tutta la barbarie del calcio che avete boicottato, ma al quale non inferite troppi colpi?

A questi livelli parlare di confronti è utopico. Considerando il rovescio della medaglia, gli stimoli risiedono nella possibilità di vivere il calcio come abbiamo sempre sognato e non eravamo mai riusciti a farlo per le leggi asfissianti. Il calcio è un gioco semplice e alla fine, ripulendolo di tutte le problematiche che lo affliggono, diventa addirittura bellissimo.

Ci piace anche riconoscerci nel già citato motto “Tifosi della città”: tifare magari un ragazzo che lavora al mercato nel quartiere Libertà, che sogna quella maglia, sogna di scendere in campo con tante persone che lo sostengono e senza interesse per i soldi che già guadagna, ma solo per dare corpo alla stessa nostra idea romantica di calcio.

Certo non potrà esserci nessun tipo di confronto fino a quando siamo in Terza Categoria, ma viaggiando su strada, o salendo di categoria, capiterà sicuramente di animare un po’ di più le nostre domeniche. Oltretutto le gare pensate tutte al confronto fra le tifoserie sono limitanti: oggigiorno, per parlarci chiaramente, fra trasferte vietate, tifoserie che non partono, tifoserie ridotte ai minimi termini dalla repressione, dove più esiste un confronto totale fra gruppi nelle serie maggiori? Questo tipo di visione del confronto, insomma, sarebbe anacronistica perché è ridotto ai minimi termini, non c’è più la stessa gente che c’era prima, è cambiato il calcio ed il modo di seguirlo.
Paradossalmente fra qualche anno ci potrebbero essere più confronti nei dilettanti che non in Serie A, quantomeno in termini di possibilità. Viviamo anche per quello, per il piacere di rivedere una tifoseria rivale, inutile negarlo visto che veniamo da quell’ambiente. Ci piace quel tipo di confronto e perché no, speriamo che possa avvenire, ma al momento non ne facciamo un dramma e viviamo tutto il bello che questo progetto può darci, lontano dai soldi, dagli interessi, tifando ragazzi come noi, che guardano al calcio con i nostri stessi occhi.

Essere ultras in queste infime categorie, secondo un luogo comune vuol dire vivere in un’isola felice dove la repressione è del tutto assente. È davvero così oppure può capitare di vivere situazioni particolari anche nei meandri del calcio, per il solo fatto di approcciarsi all’evento da ultras e attirarsi così un certo pregiudizio ed una certa ostilità da forze dell’ordine e ospitanti vari?  

Qualche tipo di scoria repressiva può sempre esserci, non è che la Terza Categoria sia una terra di nessuno: qualche poliziotto lo trovi, magari trovi quello che ti impedisce di entrar con le birre, quello che ti obbliga a metterti in un settore piuttosto che in un altro, ma sono eventi molto trascurabili. Per nulla paragonabili a prefiltraggi o perquisizioni; non ci sono telecamere che ti riprendono ossessivamente, si riesce insomma a vivere più liberamente.

L’interlocutore medio è rappresentato dal carabiniere di paese, a volte spaesato dal trovarsi di fronte un centinaio di tifosi organizzati, ma non c’è mai l’approccio pregiudiziale o scostante che può capitare altrove. Non avendo una preparazione specifica nella gestione dei tifosi, paradossalmente col solo buon senso ed un minimo di dialogo le cose riescono ad essere mediate meglio. D’altronde essendo loro in 2/3 e noi in un centinaio, sarebbe anche deleterio per loro.

 

Quando si pensa al movimento ultras in generale, si pensa ad un movimento controculturale che nasce e si muove in antitesi a tante forme del potere. Una forza uguale e contraria dal basso, alle spinte che arrivavano dall’alto, per cercare appunto di cambiare questo potere e non di farsi cambiare. Con un approccio più organico, muovendosi all’interno e facendosi istituzione, non si rischia di non essere più controcultura ma di diventare cultura dominata ed inglobata? Diventando subcultura, secondo i termini del paradosso, è il calcio che ti strumentalizza e ti ingloba, la carica antagonista si esaurisce e diventi strumento del potere che si bea addirittura di concedere democrazia. Valutate mai questo rischio? Come vi ponete, come cercate di aggirarlo, come cercate di far sopravvivere la vostra anima ribelle di ultras senza farvi schiacciare dalle responsabilità che pure vi toccano in quanto parte della società?

È una bellissima domanda perché un po’ fotografa i limiti con cui ci si va ad imbattere con certe iniziative. Da parte nostra, portiamo avanti le stesse idee che avevamo in curva: no lucro, no rapporti con la polizia, no rapporti con la società. Il terzo punto viene irrimediabilmente meno dal momento che siamo noi la società e per forza di cose il ruolo di ultras si fonde con quello di istituzione calcistica. Vuoi o non vuoi sei ingranaggio del sistema, però hai la possibilità di dare un’impronta tutta tua: mentre prima avevi il limite di doverti rapportare con la società, sperando andasse a battere i pugni per una trasferta vietata, ora sei tu padrone del tuo destino e all’interno del tuo progetto puoi metterci tutte quelle che sono le tue rivendicazioni. Se un giorno ci dovessimo rendere conto che non è più possibile, all’interno dei meccanismi federali e dei suoi campionati, vivere alla nostra maniera, a quel punto bisognerà pensare al cosiddetto “Piano B”. Certo che se stai troppo a pensare non fai più nulla: lo sguardo a quello che può essere il futuro c’è sempre, però c’è anche la bellezza di godersi il presente e se domani dovesse venir meno una certa coerenza di fondo, tutto andrebbe a scemare quasi da solo.

 

Al pari del discorso calcistico, da un punto di vista puramente ultras, qualora ci si trovasse utopisticamente proiettati nel calcio professionistico e quindi costretti a dover riaffrontare tutte quelle problematiche (carobiglietti, militarizzazione, ecc.) che vi hanno portato a ripartire dal basso, non si aprirebbe un corto circuito? Cosa fareste in tal caso?

Ci si pone costantemente certi interrogativi, tutte le problematiche sono dietro l’angolo: basterebbe salire un po’ per ritrovarsi una trasferta vietata o una pioggia di diffide, se dovesse succedere qualcosa di particolare. Sono arrivate diffide in questa settimana a Canosa, quindi non bisogna salire tantissimo per toccare la repressione con mano.
Per certi aspetti è un po’ un cane che si morde la coda, ma se si vuole trovare un’alternativa non resta che lavorarci perché nulla viene da sé: anche noi abbiamo sì seguito una strada già tracciata, ma con una prassi prettamente ultras.

A volte le battaglie è bello farle anche solo per il gusto di farle. Battersi senza sapere se ciò possa portare a qualcosa di concreto. Battersi lo stesso anche sapendo di dover perdere.

Se possiamo sintetizzarlo, il progetto Ideale è questo: è la volontà di non rassegnarsi. Poi magari la destinazione potrà essere quella che immaginiamo, oppure no. Anche nel mondo ultras, in questi anni, è stato un susseguirsi di battaglie perse, eppure in qualche modo ci si è sempre riusciti a reinventare. Probabilmente il calcio popolare è l’ennesima invenzione per continuare a combattere. Con altri strumenti, in altri contesti ma quella rabbia, quella volontà, quel pensiero ribelle sussistono non rassegnandosi alla società così come vogliono farcela passare.
Combattere può anche consistere nella possibilità di tenere in vita un pensiero non conforme: se dovesse affacciarsi in Ideale Bari un ragazzo di 18/20 anni, posso trasmettergli un pensiero ultras, in maniera ultras e nel mio piccolo la mia battaglia l’ho già vinta, perché quel tipo di pensiero sto continuando a portarlo, sta continuando a vivere qualcosa lontano e difforme dal pensiero dominante.

Per concludere in tema di utopie, sarebbe bello realizzare uno stadio di proprietà come lo United of Manchester e gestire autonomamente l’ordine pubblico, bypassando polizia e potere. Ma l’obiettivo più concreto sarebbe aprire una breccia nel muro dei provvedimenti restrittivi dell’Osservatorio: se tutti i soci figurano come dirigenti o co-proprietari della squadra, sarebbe difficile o anti-costituzionale tenerli fuori dallo stadio. Davanti ad una trasferta vietata, se partissero cento proprietari a sostenere quel giorno l’Ideale, vietare loro l’accesso metterebbe anche le autorità di fronte al loro corto circuito, di fronte alla loro stessa ipocrisia e questo per noi sarebbe un risultato importante tanto quanto quello sportivo.

Intervista raccolta da Matteo Falcone.