Dalla Lazio dello scudetto del ’74 a quella malandata e claudicante degli anni ottanta. Da talentuoso comprimario di Chinaglia e compagni, a coraggioso capitano di un’imbarcazione a rischio naufragio. Tanto da richiedere il suo sacrificio estremo, la cessione, per tentare di salvarne l’esistenza. Da dirigente calcistico a ironico ed elegante commentatore televisivo, sempre pronto alla battuta e mai inutilmente livoroso o impegnato in stucchevoli ed eclatanti polemiche. Vincenzo D’Amico è stato un signore in campo, come nella vita di tutti i giorni. Poteva capitare di incontrarlo e scambiare quattro chiacchiere: un autentico amante del calcio giocato come probabilmente non capita più ai giocatori di oggi, troppo impegnati a lavorare sulla propria immagine o a pensare a quale milionario trasferimento arabo accettare. Anche per questa sua immagine di atleta retrò, di antidivo, sapere che non ne potremo più sentire le disamine e coglierne il sarcasmo, lascia un po’ di vuoto in tutti quelli che hanno sempre vissuto il rettangolo verde e le sue sfumature in una certa maniera.

D’Amico a Latina era nato il 5 gennaio del 1954 e con la maglia della COS aveva mosso i suoi primi passi da calciatore, prima di passare all’Almas Roma e, infine, alla Lazio. Logico quindi che sia proprio la sua città natale a organizzare una partita per onorarne la memoria e permettere a tifosi nerazzurri e biancocelesti di celebrarne il ricordo. Una carriera che di fatto ha conosciuto i suoi migliori momenti in maglia laziale. Come accennavo in apertura, la figura di D’Amico non può che essere legata innanzitutto alla Lazio del primo scudetto. La Banda Maestrelli che nel 1974 portò nell’eden calcistico i biancocelesti, scrivendo pagine quasi romanzesche. In molti, infatti, ricorderanno la suddivisione per clan di quella rosa, molto spesso sfociata in confronti a dir poco aspri. Suddivisione che in realtà non riguardò mai da vicino D’Amico, tenuto in quegli anni sotto l’ala protettiva dell’allenatore e del capitano Wilson, con l’intenzione di tutelare quello che a tutti gli effetti era un astro nascente del calcio italiano. Una lenta ascesa la sua, che lo farà diventare una figura iconica fino al doloroso – anche se momentaneo – addio nel 1980 quando, per risanare i conti del club, la dirigenza lo costrinse ad accettare l’offerta di 300 milioni del Torino. In maglia granata è chiamato a sostituire Claudio Sala. Una delle figure che, quasi per scherzo del destino, gli aveva sempre precluso l’esordio nella Nazionale maggiore guidata da Bearzot.

Tornerà a Roma l’anno dopo, nel tentativo di aiutare una Lazio impelagata nella serie cadetta dopo la retrocessione a tavolino avvenuta in seno alla vicenda calcioscommesse. Un colpo durissimo per il sodalizio capitolino, che fu peraltro costretto a rinunciare agli squalificati Manfredonia e Giordano, gioielli su cui tutti avevano puntato per rinverdire i fasti dello scudetto conquistato solo sette anni prima. Di quella stagione resta senza dubbio vivo il ricordo di un Lazio-Varese datato 6 giugno 1982: la squadra allenata da Fascetti, senza quasi accorgersene, era lentamente declinata verso le ultime posizioni della classifica, reduce da tre sconfitte consecutive. Dopo un quarto d’ora i lombardi sono in vantaggio per 0-2. L’incubo della Serie C comincia ad apparire qualcosa di ben più concreto rispetto a ciò che si pensasse. Proprio qua entra in scena il talento pontino che dapprima sigla una doppietta riequilibrando il risultato e poi, nel finale, cala il tris prendendo letteralmente per mano i suoi e togliendo le castagne dal fuoco. Un Olimpico presidiato da pochi esulta, rabbioso.

Sono gli anni degli stenti societari, del fallimento che appare sempre dietro l’angolo e del saliscendi tra A e B. Il preludio al momento più basso – ma forse anche più significativo per forgiare il suo popolo – della storia sportiva biancoceleste, quello degli spareggi per evitare di nuovo la C disputati a Napoli contro Taranto e Campobasso. Vincenzino non li vivrà, lascerà Roma nel 1986 per disputare le sue ultime due stagioni con la maglia della Ternana. Ma sarà comunque un pilastro di quegli anni, un faro nelle acque a dir poco agitate in cui naviga la Lazio. Altro momento emblematico resta la doppietta realizzata nel derby di ritorno della stagione 1983/1984, contro una Roma col tricolore sul petto e nettamente favorita. Uno 0-2 iniziale che spaventa i giallorossi, capaci solo di rimontare con Di Bartolomei e Cerezo, malgrado oltre un’ora di superiorità numerica. D’Amico è senza dubbio l’emblema stoico e immortale di quella Lazio invischiata in una lotta per sopravvivere che ha caratterizzato la storia del club negli anni ottanta.

Arriva così, in una tiepida serata d’agosto, l’ultimo riconoscimento. I capitani delle due squadre convergono a centrocampo per consegnare una targa in mano alla famiglia dell’ex capitano e tutto il Francioni – questa sera gremito quasi totalmente – scoppia in un lungo e commosso applauso. Poco dopo un mazzo di fiori viene invece riposto sotto la Curva Nord, per onorare la scomparsa di Sandrone, uno storico tifoso del Latina. Gli ultras nerazzurri applaudono e ricordano il ragazzo con uno striscione e alcuni cori. Benché sia un’amichevole, le tifoserie presenziano con tutti i drappi, dando vita a una bella serata di tifo. I ragazzi del Leone Alato si compattano nella zona centrale della curva, cominciando a sostenere la propria squadra tra torce e fumogeni e andando avanti per novanta minuti senza sosta. Davvero un’ottima prestazione. Da segnalare, inoltre, l’esposizione di uno striscione contro la società, rea di aver speculato sulla partita con prezzi tutt’altro che popolari (curva a 15 Euro, gradinata a 25). Concetto che, mi permetto di dire, è inappuntabile. Il caroprezzi continua a essere una delle piaghe del nostro calcio e ormai anche delle innocue amichevoli vengono utilizzate per spennare letteralmente i tifosi. Io posso comprendere che l’arrivo di una squadra di Serie A faccia gola alle casse del club, ma credo che almeno per chi segue sempre e a prescindere dal risultato andrebbero attuate politiche differenti.

Su fronte laziale, buon primo tempo dal punto di vista canoro, calo fisiologico a inizio ripresa e discreto finale con sciarpata. In generale, comunque, un bell’approccio per essere un’amichevole senza nulla in palio. Per le statistiche, gli uomini di Sarri espugnano Latina con un fragoroso 0-9.

Dopo il triplice fischio ultimi cori dedicati a Vincenzo D’Amico e poi le gradinate cominciano lentamente a svuotarsi. Per i biancocelesti l’esordio in campionato dista solo una settimana, mentre per i pontini occorrerà aspettare l’inizio di settembre. Per evitare ingorghi cerco di raggiungere la macchina velocemente e lasciarmi alle spalle quella che, di fatto, è stata la prima partita seguita in Italia per la nuova stagione!

Simone Meloni