Un’operazione della Guardia di Finanza, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, ha portato alla confisca di beni per due milioni di euro a carico di uno degli elementi di spicco degli “Irriducibili” Lazio. Con uno sforzo di immaginazione o di digitazione sui motori di ricerca, è facile capire chi sia, visto lo sciacallaggio che ne è stato fatto dai media. Come ogni qual volta esiste una pur minima correlazione con il mondo del tifo, come i recenti casi di cronaca dimostrano, il termine “ultras” viene usato a profusione come aggettivo qualificativo (o dequalificativo, sarebbe meglio dire). Ma cerchiamo di fare quello che non hanno fatto i professionisti dell’informazione, cioè capire i fatti e non accanirsi morbosamente sui singoli protagonisti facendo più gossip che analisi giornalistica.

Questa volta, onestamente, qualche correlazione col tifo c’è e non sarebbe del tutto corretto ignorare la notizia se non fosse altro che, oltre ai beni personali dell’uomo, ne sono stati confiscati anche alcuni che, almeno in linea teorica, appartenevano all’intero gruppo di ultras laziali che in quelle iniziative venne coinvolto.

Andrebbe saltato a piedi pari il traffico di stupefacenti da cui partirono le indagini, che solo una stampa in malafede può collegarlo a cuor leggero al resto dello stadio, visto che gli addebiti riguardano esclusivamente e personalmente una sola persona, senza altri coinvolgimenti di gente di curva e senza nessun prova d’inchiesta che parli di spaccio in curva o con la connivenza della curva, dentro o fuori dalla stessa. Sarà qualcosa di deplorevole per il comune sentire, ma in ogni caso è qualcosa di cui deve rispondere (e sta già rispondendo) il singolo, non già l’intera curva laziale o l’intero mondo ultras.

A parte questo, dicevamo, nella confisca rientrano anche alcuni beni almeno ideologicamente collettivi e non di singola proprietà (per quanto giuridicamente fossero direttamente riconducibili all’indagato) quali appunto sono la società “Fans Edition”, la “Mister Henrich s.r.l.”, che commercializzava tutto il materiale griffato con il noto omino in bombetta, oltre all’associazione culturale “Mister Henrich” e allo stesso marchio commerciale “Mister Enrich”, registrato presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi”.

Potrebbe essere l’ultimo atto di una lunga epopea sempre molto controversa e chiacchierata anche all’interno dello stesso mondo ultras. Da una parte quanti accusavano gli “Irriducibili” di lucrare sulla fede della propria tifoseria, di essersi fatti prendere troppo la mano con il merchandising, andando ben oltre il mero autofinanziamento del gruppo. Dall’altro chi, all’interno di quella esperienza, allargatasi in un indotto piuttosto importante in rete (col classico sistema del franchising), difendeva i tanti posti di lavori creati per ragazzi di curva altrimenti disoccupati piuttosto che i soldi con cui si finanziavano trasferte non accessibili a tutti o spese legali per chi incappava in processi penali difficili da sostenere.

Ognuno sostiene la sua verità o forse, come si suol dire, la verità sta nel mezzo e non sarà un caso o non è una congettura del tutto sbagliata pensare che tutto ciò sia finito per collassare quando l’equilibrio tra denaro e idea di gruppo si è sbilanciato tutto da una parte.

Provando a mettere per un attimo da parte la morale ultras più ortodossa, considerando tutte quelle attività come mere imprese commerciali, in cui confluivano anche normalissimi franchisee affiliati, riconducibili a gente che pagava le sue regolari “royalty”, bisogna capire quanto di quel capitale confiscato sia illegale. Quanto invece non sia un dazio da pagare penalmente per la guerra condotta a Lotito, con mezzi non sempre legittimi o sicuramente non riconosciuti come tali dalla giustizia, che aveva già condannato diversi attori di quelle vicende in via definitiva per tentata e reiterata estorsione ai danni dello stesso contestatissimo patron biancoceleste. Ci sono poi in concorso, è vero, tanti altri aspetti delle scelte dei singoli quantomeno discutibili, tante accuse pesantissime, ma anche in questo caso le cose vanno circostanziate con precisione alle responsabilità di ognuno di quei singoli, senza generalizzazioni da dossier sciatti, riproposti ad ogni occasione propizia dai media inzuppati di ignoranza e pregiudizio per addossare colpe all’intera collettività degli ultras.

Matteo Falcone