Se in Serie A ancora si riesce a provare un minimo di tensione e qualche brivido, probabilmente è proprio grazie a sfide come queste. C’è qualcuno che, nell’immediato post partita, ha parlato con spregio della stracittadina, paragonando la sua innegabile penuria calcistica allo sfavillante 4-4 tra Chelsea e Manchester City. Sottolineando come spettacoli simili siano uno spot negativo e quasi da occultare per il calcio italiano. Punti di vista. Sicuramente differenti dal mio. Certamente lontani dal nocciolo della questione popolare di uno sport ormai spesso e volentieri plastificato e alienato dalla sua anima, sicuramente più fedeli a quel filone di pubblico che brama lo show, il palcoscenico patinato. Domanda semplice: in campo la Premier League regala uno spettacolo migliore rispetto al nostro campionato? Sicuramente! Farei mai a cambio con un derby italiano? Assolutamente no! Quindi invito tutto quelli che – quasi sempre dal proprio divano e con il telecomando in mano – sbavano dietro al football di Sua Maestà, a concentrarsi su di esso e non ammorbare chi vuol inebriare le proprie narici con l’aspro odore di torce e fumogeni che già in mattinata si respira nel nella zona che circonda l’Olimpico.

Sia chiaro: come avrò modo di scrivere più avanti, non vedo le stracittadine di casa mia con gli occhi bendati e so bene che tante cose, anche qui, sono diventate parte se non gregarie dello show. Ma almeno a Roma (e forse anche a Genova) questa partita restituisce ancora un sapore rude, di quel minimo di genuinità tipico di chi, fondamentalmente, l’aspetta per settimane e quando il giorno fatidico arriva si isola da tutto il resto. Compreso da tutto il resto del calcio giocato. Poco importa cosa succede negli altri stadi. Si ha coscienza che lo spettacolo è qui. Pure se fosse un derby tra squadre in zona retrocessione, nessuno può togliergli quel fascino che lo ha reso appetibile e intrigante agli occhi di forestieri e appassionati di tifo.

Si gioca in casa della Lazio, ciò vuol dire maggioranza di pubblico biancoceleste. Ormai, da qualche anno, si è tornati a godere di uno stadio pieno in occasione delle stracittadina, dopo i tristi scenari che hanno lungamente caratterizzato il periodo post Raciti/introduzione tessera del tifoso e quello dell’apposizione delle barriere in curva (quando si arrivò a registrare persino meno di 35.000 presenze). Anche la rivalità è tornata a prender quota in tutto il suo caratteristico astio, sia sul fronte ultras che su quello dello sfottò tra tifosi “normali”. Certo, i tempi sono cambiati anche qui e le furibonde scene di tafferugli e violenza che hanno caratterizzato questa partita tra gli anni novanta e la prima metà dei duemila, sono ormai lontane. Sebbene una certa effervescenza sia tornata in voga, come si avrà modo di vedere anche oggi con il ripetuto scambio di pirotecnica nella zona che divide il Distinto Sud dalla Tribuna Tevere.

Si tratta di un derby particolare anche per la vicinanza a una data che, soprattutto a Roma, non è mai osservata con indifferenza. Vale a dire quella dell’11 novembre. Sembra ieri e invece sono passati ben sedici anni da quella triste mattinata in cui l’agente Luigi Spaccaratella scelse arbitrariamente di togliere la vita a Gabriele Sandri, presso l’autogrill di Badia al Pino. Tra le tante considerazioni fatte, non mi stancherò mai di pensare che quel gesto fu corroborato anche dal grande clima di tensione e allerta instaurato in quel periodo dallo Stato nei confronti degli Ultras. Un momento storico in cui, per l’appunto, si usciva dagli incidenti del derby Catania-Palermo, dove morì l’Ispettore Raciti e, in modo del tutto acritico e non contestualizzato, si suonava forte la grancassa della repressione e dello spauracchio popolare rappresentato dal tifo organizzato. Questo deve aver sicuramente influito molto nella forma mentis di chi è chiamato a fare ordine pubblico, spesso e volentieri del tutto impreparato sia da un punto di vista culturale che lavorativo. Il resto è storia che sappiamo bene o male tutti, con Gabriele che da oltre tre lustri rappresenta un baluardo difeso e rispettato da tutto il movimento, una figura che si è cercato di portare sempre ad esempio di ciò che non dovrebbe mai più ripetersi ma che, tuttavia, per come vanno le cose in fatto di mantenimento dell’ordine pubblico, preparazione di chi è preposto a lavorarci e narrazione mediatica, non mi sento di escludere tout court. Come Paese siamo millenni indietro su queste tematiche e sovente vige ancora la “legge della giungla” anziché quella di un normale posto sviluppato e civile.

Tornando alla sfida odierna: quell’effervescenza di cui sopra, si respira dunque sia grazie allo scambio pirotecnico tra romanisti e laziali, sia grazie al ritorno di un numero discreto di striscioni prima e durante la partita. Certo, a dirla tutta: restano inarrivabili i tempi in cui bisognava entrare allo stadio almeno un’ora prima armati di penna e taccuino per appuntare tutti i messaggi ironici, fuori dai denti e spesso cattivi al punto giusto, provenienti dalla Nord e dalla Sud. Ma qualche reminiscenza rimane e la cosa fa sempre piacere. Di sicuro ciò che davvero non si rimpiange è il folklore rappresentato da cori, bandiere e bandieroni: tanti sin da subito, a spronare le due squadre intente nel riscaldamento e a punzecchiare l’avversario. Per buona pace di tutti gli amanti del “coloratissimo” derby Chelsea-Arsenal o del “popolarissimo” Manchester City-Manchester United!

Unica nota “dolente” del pre partita (così come nell’intervallo), come ormai di consueto per quasi tutte le sfide di Serie A, il vero e proprio dj set che prende forma. Musiche a tutto volume che oltre a non favorire l’ascolto dell’unico suono che dovrebbe essere consentito, quello ambientale dello stadio, non permettono neanche di scambiare quattro chiacchiere con il vicino. Unico momento apprezzabile, senza dubbio, il ricordo di Gabriele. Un momento in cui tutto lo stadio si stringe in un unico blocco, applaudendo le note di Meravigliosa Creatura e applaudendo all’unanimità per diversi minuti.

A questo punto tocca inoltrarmi in un discorso complesso e, premetto, forse non condiviso da molti. Quello sulle coreografie. Negli ultimi anni – e non solo in occasione della stracittadina – ho sempre sottolineato come non sia un amante di questa pratica. La motivazione è presto detta: magari non a Roma, ma tante volte mi sembra di carpire nella realizzazione di una scenografia più la voglia di conformarsi ai tempi dell’immagine compulsiva e della condivisione che corriamo, che primeggiare semplicemente come curva od offrire uno spettacolo in grado di caricare la squadra. Inoltre ammetto che a volte poco condivido la scelta di rendere “ermetiche” talune coreografie, tanto da richiedere la postuma consultazione di libri e didascalie per capirne il senso completo. Diciamo che così si perde un po’ il gusto popolare dell’evento. Parere personale, sia chiaro, quindi opinabile. Continuo a credere che la miglior coreografia sia tifare per novanta minuti e spingere il vicino o il compagno di curva a fare altrettanto. Questo con tutto il rispetto per i ragazzi che – su ambo i fronti – hanno speso tempo, soldi e salute per realizzare i rispettivi spettacoli e sistemarli affinché la masnada di curvaioli (e non solo) presenti li inscenassero per bene. Classico quello laziale, con l’aquila che si staglia tra la Nord e la Tribuna Tevere e la frase Concordia parvae res crescunt (letteralmente nell’armonia anche le piccole cose crescono) derivante dal Bellum Iugurthinum di Sallustio, a richiamare l’unità d’intenti tra tutte le componenti del tifo biancoceleste. Un po’ “fuori dalla norma”, invece, quella realizzata dalla Sud, che raffigura il Dio della guerra Marte su un telo, circondato da cartoncini giallorossi che ne compongono le frecce tra curva e distinti. La sua discesa un po’ tardiva, come da copione per ogni derby, suscita il sarcasmo dei dirimpettai e i seguenti sfottò.

Capitolo tifo: il rumoreggiare dell’Olimpico durante un derby è sempre qualcosa di unico. Anche solo guardando il normale pubblico delle tribune, ci si può fare un’idea di come il romano viva questa giornata. Insulti, urla, partecipazione ai cori delle curve e invettive di ogni genere. Oltre alla sofferenza e al nervosismo. Dubito francamente che si sia qualcuno che ami nel vero senso del termine la stracittadina, anche perché sono novanta minuti che sistematicamente ti tolgono qualche mese di vita per lo stress e l’ansia che comportano. Da un punto di vista del sostegno canoro i due contingenti si mettono in mostra per il tanto colore mostrato e, se proprio devo dare un giudizio, ai punti è probabilmente la Sud a offrire la miglior performance, grazie a un secondo tempo davvero di buon livello per tifo e partecipazione.

In campo, come lasciato intendere, lo spettacolo non è minimamente paragonabile a quello degli spalti. Le due squadre si fronteggiano senza troppi sussulti, dando vita a quello che sembra un più che naturale 0-0. Tuttavia non ci sono fischi nel finale, ma solo ulteriori sfottò e cori di sostegno alle due squadre. La sera è ormai definitivamente calata su Roma. Il match alle 18 crea giovamento solo alla televisione, mentre per il tifoso rappresenta una via di mezzo con tutta probabilità più fastidiosa che altro. Si chiude così il 181° Derby della Capitale, lasciando come sempre una scia di polemiche, schermaglie e ironie che lo contraddistingue ormai da anni. Per chiunque l’abbia conosciuto per la prima volta, per chi lo vive da sempre e per chi lo guarda semplicemente da lontano, resta un evento unico nel suo genere, che fortunatamente non è stato ancora traslato in “evento mondano”. Si dice che la Roma calcistica sia povera, provinciale. Spesso chiusa nella sua piccolezza. Probabile. Fortunatamente aggiungo. Non è scontato provare delle emozioni attigue al pallone, tutto il resto è stucchevole e mera opera di chiacchiericcio finalizzato al nulla!

Testo Simone Meloni

Foto Agenzia