Da dove arrivi arrivi Ferrara ti sorprende all’improvviso, perché intorno ha una pianura che può sembrare infinita ma alla fine è tutta lì, puntellata da case basse e colorate e da un silenzio surreale.
E non la smuove nemmeno Bologna, grassa e rumorosa, qualche passo più avanti.
Un silenzio che sembra continuare fra le vie strette del centro dove hai l’impressione che la gente parli sottovoce, quasi in ossequiosa e costante ammirazione di tutta la bellezza che la circonda.
Ferrara è magnifica infatti.
Lascia addosso l’impressione di essere da un’altra parte, non lì.
In un altro anno, in un altro momento, non in questo.
E sarebbe straniante e bellissimo se non fosse che, di tanto in tanto, d’improvviso, qualcosa ti ricorda che, sotto sotto, anche Ferrara è qui con noi.
E come noi paga il suo scotto col presente.
Piccole crepe di modernità che si notano e danno fastidio agli occhi.
Una palazzina anni ’60 nel cuore di Corso Porta Reno, il clacson di chi non ha pazienza quando tutto intorno viaggia a ritmi di bicicletta, qualche saracinesca abbassata di troppo.
La SPAL è quanto di più ferrarese ci sia.
E con lei il suo stadio, incastrato tra il centro e la periferia.
Così borghese e così popolare.
Una storia ricca e gloriosa, ma sussurrata.
Questa stagione sembra finalmente quella buona, dopo i due fallimenti e la serie D, punto più basso della storia spallina.
Il primo posto e una squadra che gira a mille. Il sogno della B che manca dalla stagione 1992/93. Un’eternità.
Anche per questo la Ovest è in gran forma. Forse uno dei gruppi più in crescita del panorama italiano.
E il Mazza è tornato ad essere un campo caldo.
Cori secchi, belle manate.
Un buon colpo d’occhio complessivo.
E, ciliegina sulla torta, la squadra che dopo la vittoria aspetta abbracciata sotto la propria curva di sapere il risultato del Pisa, rivale nella corsa promozione.
Il boato alla notizia del pareggio dei toscani che unisce il campo e lo stadio.
“Se non ce la facciamo quest’anno mi tocca vivere altri vent’anni” dice sorridendo il nonno, giusto accanto a me.
Vorrei fosse l’ultima immagine da tenere negli occhi.
Poi però, mentre chiudo il computer e sistemo tutto nello zaino, alzo lo sguardo verso la Gradinata.
Fino a qualche anno fa, in una partita come questa, sarebbe stata piena e non deserta com’è ora.
E nell’angolo ci sarebbero stati i Savonesi.
Magari pochi, magari incazzati, ma sarebbero stati lì.
Oggi invece non s’è visto nessuno, nessun gruppo ha scelto di tesserarsi.
Rivedo le crepe. E mi distolgono dall’impressione di essere in un altro luogo, in un altro tempo.
E sento di nuovo fastidio agli occhi.
Mi sforzo di pensare, mentre mi godo lo stadio che si svuota, che in fondo le crepe siamo noi, che ancora ci crediamo.
E che prima o poi faremo crollare tutto, per poi ricostruirlo.
Ancora più bello di prima.

Gianluca Pirovano.