Francesco Totti ha appena realizzato il gol del pareggio. Ha segnato a 17 secondi dal suo ingresso, dopo una settimana di polemiche. Il numero dieci della Roma si avvia verso la Curva Sud, per venire osannato. Ma non c’è nessuno. O quasi. Quella massa di colori, bandiere e sciarpe che il Capitano è stato abituato a vedere di fronte a sé, festante per i suoi gol e le sue prodezze, semplicemente non fa parte dello spettacolo. Per scelta. Volontariamente. Perché ci sono bellezze e gioie a cui spesso si deve rinunciare, per preservare un minimo della propria dignità.
Eppure Roma-Torino fu partita vera. Sfida genuina. Incontro che tanti aneddoti avrebbe da raccontare, cominciando da quelle foto sbiadite che ritraggono figure storiche sugli spalti del vecchio Comunale, in abbracci non del tutto amichevoli con i granata. Passando per le amicizie trasversali, quelle che univano romanisti agli juventini e granata ai laziali. Quelle che hanno fatto epoca e che ci hanno tramandato tante novelle, grazie alle quali stuoli di giovincelli si sono avvicinati a quel mondo magico.
Ho pensato di non scrivere nulla su questa partita. Ci ho pensato dopo aver buttato giù decine di righe dal sapore acre sulla situazione ambientale, sul disamore della tifoseria, sugli screzi interni che hanno reso l’Olimpico un teatro triste, morto e litigioso. Con pochi, pochissimi, che si ricordano la missione principale per la quale tutti nella nostra vita abbiamo messo per la prima volta piede sulle gradinate. La squadra. Il suo appeal. Le sue tradizioni. La gioia mista a paura che si prova salendo le scalette dei boccaporti e vedendo il campo verde, gli spalti pieni, il settore ospiti. L’ho descritta centinaia di volte, tanto che so benissimo di essere pure noioso nel rifarlo. Ma è così. Oggi più che mai. In quest’epoca in cui tutto è distorto e ha perso tanto fascino. Tanta magia.
Pure gli avversari. Sì, i granata. Gli Ultras Granata, un gruppo verso cui ho sempre nutrito un rispetto religioso. In virtù di ciò che ha rappresentato. Eppure anche loro oggi sembrano aver perso tanto di quello smalto. Io ripenso alle storie che ho sentito, ripenso ai racconti, agli aneddoti, e mi viene da pensare che non possono essere gli Ultras Granata quelli che sono scesi all’Olimpico offendendo di gusto un avversario invisibile. Assente per una difficoltà ben più grande di lui. E questa incredulità non è data da una pretesa di rispetto che, in fondo, nel mondo ultras, possono pretendere davvero in pochi. No. È data dalla rottura sadica di quel mondo dorato e avvincente che mi sono sempre figurato e a cui mi sono avvicinato da bambino. Quando anche il peggiore degli avversari davanti a me andava rispettato, a meno che non si fosse macchiato dei più alti peccati inerenti al mondo del tifo.
Non lo so. Non so davvero che cosa sarà di noi. Se ne vale ancora la pena pensare a questo mondo con sentimento, con passione e con amore. La stagione di Roma ha messo a dura prova tutti. Resta il dispiacere per chi si è affacciato ora al mondo delle curve o semplicemente allo stadio, per tifare la propria squadra. Forse non ci sarà più nessuno a prenderlo per mano e raccontagli delle favole mitiche o fargli capire quanto magico sia stato l’universo del tifo. Dispiace per noi, che viviamo di questo mondo, e che ci sentiamo dispersi e abbandonati. Quasi dei pesci fuor d’acqua. Dispiace tanto, perché spesso sembra che si possa davvero poco contro il tempo che cambia, e un modo di agire e pensare che si discosta dalle nostre credenze più intime.
Come quell’esultanza di Totti sotto la curva vuota e divisa. Ultimo atto, per ora, di una stagione infame, bastarda e tremendamente triste.
Simone Meloni