Intervallo tra primo e secondo tempo. Nei corridoi che precedono la scaletta che porta al manto verde mi ritrovo ad osservare una gigantografia a tutta parete della Curva Davide Pieri.

Spalti pieni all’inverosimile, gente in festa, tanto colore. È vero, Monza sarà pur sempre una realtà ancorata, calcisticamente parlando, al Milan, all’Inter e forse ad altre squadre di prestigio. Ma ha una sua storia, una sua identità a sé stante.

Guardo la foto e mi chiedo di quanti anni fa stiamo parlando. Non importa se sono pochi o tanti, ma di sicuro è passata un’epoca.

L’epoca del calcio credibile, del calcio popolare, del calcio come rito, del calcio come malattia. Dove non importava la categoria, ma l’appartenenza.

Tutto quello che una volta riempiva di orgoglio e di passione, oggi è una scatola vuota.

Avere poco più di 1.000 spettatori allo stadio, nella cattedrale sempre deserta del Brianteo, con la tribuna scoperta chiusa al pubblico da tempo immemore, per una partita che vale la promozione tra due squadre di indubbio prestigio, in una cornice da derby, è molto triste.

Non me ne voglia nessuno. Non è una questione di Monza, Pro Patria, Cagliari o Ternana. Il problema è la fuga dalle tribune, perché la gente ha voglia di fare altro. Il calcio è una perdita di tempo. Inutile. Spesso neanche divertente. Il campanile e quei comportamenti picareschi che facevano impazzire le folle ormai si perdono nel fosco oblio dei ricordi.

Che poi, se vogliamo dirlo, questo Monza-Pro Patria non è neanche il peggior palcoscenico possibile. Anzi, ti verrebbe da dire che per i tempi che corrono offre sin troppi buoni spunti.

I bustocchi arrivano con 4 pullman ed un pullmino più qualche auto privata, e penso sia attendibile stimare la presenza complessiva, tra ultras e tifosi di club, a 250 unità. Tante? Poche? Ormai tutto si perde nell’impercettibile timeline sospesa tra soggettività ed oggettività.

Gli ospiti sono coloratissimi, quasi tutti con le loro belle sciarpe a bande al collo. Muniti di bandiere e bandieroni. Sono motivatissimi all’inizio, salvo scoraggiarsi sull’1-2 fulmineo del Monza e decidere, infine, di sfoderare una prova d’orgoglio.

Pieni voti anche sotto l’aspetto coreografico per i biancoblu: sciarpata più bandiere e uno striscione alzato a mano che ricorda i vecchi fasti del club a inizio gara; un po’ di pirotecnica accesa qua e là, fumoni blu soprattutto. Un’ultima sciarpata prima di andar via.

Il gruppo bustocco è compatto e, pur non offrendo la classica quinta marcia dal primo al novantesimo minuto, garantisce alcuni picchi di qualità.

Anche la Curva Pieri risponde con un nucleo centrale e molto compatto. Parlando prettamente di tifo, si può dire che ci si compensa coi dirimpettai: cori tenuti molto più a lungo che però peccano spesso di decibel, ad eccezione dell’ultima mezzora di partita dove le onde acustiche registrano un’impennata.

Se parliamo di colore e passione, a Monza non manca nulla: se in curva è normale vedere striscioni, bandieroni e bandierine, fa un effetto piacevole vedere lo stesso imprinting tra i Monza Club e gli NDO, un piccolo gruppo di stampo ultras che si pone in alto verso il settore ospiti.

Anche tra i monzesi non manca qualche torcia e qualche fumogeno, il tutto acceso con la massima cautela del caso.

L’entusiasmo per il risultato che matura quasi da subito è sicuramente un ottimo carburante per tutto il popolo brianzolo. D’altronde, con questi tre punti da prova di maturità, il Monza va a +10 sulle seconde in graduatoria.

Nonostante Lecco sia l’oggetto della contesa verbale (cori a favore dei gemellati in Curva Sud, cori contro dai rivali bustocchi), il clima tra le tifoserie rimane disteso e senza offesa diretta alcuna.

In fondo, quindi, questa è stata una partita che ha deciso, quasi sicuramente in maniera inappellabile, il discorso promozione del girone B di Serie D.

E allora, oggi, cosa è mancato? Non c’è stato quell’ingrediente ormai assente nel 95% degli impianti italiani: il veleno, la fame, la voglia di tornare tra i professionisti, il profumo inebriante della promozione nella serie superiore.

Come detto, è un discorso globale. Ormai il calcio non è più visto come un oppiaceo rigenerante, ma come un’illusione infida. Un qualcosa che non vale niente perché ormai si regge su piedi di argilla.

Il tifoso ormai ha perso l’euforia di una promozione. Monza, per esempio, ha vissuto due fallimenti in poco più di un decennio. Il tifoso si è visto passare davanti l’AC Monza, il Monza Brianza e ora la SSD Monza 1912. Che valore può avere un ritorno, peraltro abbastanza scontato, nella terza serie?

E poi per cosa? Per vedere altri fallimenti? Anni di stagnamento in Lega Pro? Tornelli, documenti e il Brianteo nuovamente militarizzato?

Probabilmente non ne vale la pena. I pochi che ci credono erano là, in quel gigante di cemento che ospita da anni le gesta della squadra brianzola. Ma la maggior parte di quelli che una volta c’erano, oggi non ci credono più.

Li puoi trovare in salotto davanti a Sky, al centro commerciale o al parco giochi a spingere i loro figli sull’altalena. Di sicuro un’altalena più utile di quel saliscendi calcistico che, per molte piazze, non porta mai a niente.

Stefano Severi.