Pochi motivi mi spingono ad essere presente a questa partita, il primo, che non vorrei neppure prendere in considerazione, è che mi manca lo stadio, vedere una partita dal vivo, sono quasi un dipendente da calcio. L’altro motivo, forse più intrinseco e magari pure peggiorativo del primo, è che mi voglio godere a pieno l’atmosfera lugubre di una partita giocata in uno stadio vuoto, di una partita di terza serie disputata a novembre in orario serale. E pazienza se la temperatura è sempre piacevole, se nel pomeriggio si poteva tranquillamente stare sul mare per prendere gli ultimi raggi di sole della stagione, pazienza se dal giorno successivo la Toscana entrerà a far parte della nutrita rosa di regioni rosse, dove la libera circolazione avrà i suoi paletti e le sue regolamentazioni: è sabato sera e c’è un derby, tra gli altri aspetti anche abbastanza sentito dalle due tifoserie, un derby che sugli spalti vedrà solamente gli addetti ai lavori, praticamente un manipolo di persone inghiottito in una struttura che un tempo ha ospitato qualcosa come ventimila persone.

Dicevo che questo derby è l’anticipo della giornata di serie C girone A e mentre si gioca la partita, penso per quale ragione un telespettatore debba vedere un incontro di terza serie, escludendo a priori una forma di autolesionismo o una forma di dipendenza come quella che sta iniziando a crescere nel sottoscritto. Eppure sono in molti gli addetti ai lavori che ipotizzano un brusco calo delle presenze allo stadio per la più comoda e performante televisione. Ed in effetti questo braccio di ferro sembra destinato a vedere uno ed un solo vincitore e sicuramente questo non sarà il freddo gradone di uno stadio di calcio. Del resto sono le stesse società a spingere sulla desertificazione degli impianti, allettate dagli euro che provengono dalla visione della partita su uno schermo televisivo o su qualsiasi altro dispositivo interattivo che sia un pc, un tablet o un telefonino.

Con il Covid che ha invaso le nostre vite sembra che anche le sane abitudini sportive si siano andate a far benedire. Se andare allo stadio per qualcuno, ultras in primis, poteva apparire un rito eterno, in questo caso l’unica fonte per seguire la propria squadra è la televisione. Si potrebbe ipotizzare un pubblico di massa davanti agli schermi televisivi, un innalzamento degli abbonati alle pay tv ed invece, nonostante il momento poco felice che si sta vivendo, anche le televisioni a pagamento stanno subendo una pericolosa flessione degli utenti, soprattutto della fascia più giovane.

Secondo uno studio portato avanti dal sito www.calcioefinanza.it sul finale della scorsa stagione, la Coppa Italia di serie A ha fatto registrare ottimi ascolti, la semifinale Juventus – Milan ha sfiorato il 34% di share, l’altra semifinale Napoli – Inter si è fermata al 32,35 mentre la finale Napoli – Juventus ha incollato alla televisione più di dieci milioni di appassionati. Tutto ok verrebbe da dire. L’unica pecca è l’età media del pubblico televisivo, alta, troppo alta anche per una nazione mediamente anziana come quella italiana: 53 anni, dato che denota come l’evento televisivo non attragga né le nuove generazioni ma neppure quelle che si stanno avviando alla maggiore età. E qui si inserisce un’altra problematica mai presa seriamente in considerazione dai nostri santoni del calcio, sempre pronti a sputar sentenze mettendo in evidenza numeri, tabelle e dati che legittimano, o così dovrebbero, la bontà del loro lavoro, il successo dei loro progetti, evitando accuratamente quei campanelli di allarme che suonano e risuonano in continuazione.

Secondo il sociologo Emiliano Chiarchiano, ripreso dalle università di Napoli e Liverpool, le nuove generazioni starebbero scappando a gambe levate dagli sport individuali e di squadra per gettarsi a capofitto negli E-sport che già in Italia sono “praticati” da 350mila appassionati, ma che in altre nazioni europee raggiungono numeri da capogiro, con un flusso di affari che al momento è difficilmente quantificabile ma che fa strabuzzare gli occhi a quanti hanno già da tempo fiutato il business, non a caso Amazon sta già muovendosi per assicurarsi una bella fetta di questo mercato.

I giocatori di questi sport, in linea di massima, sono giovani e giovanissimi, tanto che a 25 anni si viene già considerati “vecchi” in quanto si pretende prontezza di riflessi, concentrazione ed agilità nel giostrare i comandi in rapporto a ciò che succede sullo schermo. I benefici per chi organizza questi eventi, ad esempio un campionato di calcio, sono evidenti: costi di gestione praticamente azzerati, sponsor che arrivano a frotte e pubblico che sembra seguire con vivace attenzione la velocità del gioco. A vederla da questa prospettiva sembra proprio una macchina perfetta, Giappone, USA e Cina sono tra i paesi che stanno un passo avanti all’Europa dove gli E-sport stanno prendendo piede solo ora. Qualcuno potrebbe obiettare che questi giochi, dal protagonista che li pratica allo spettatore che li vede, non forniscano la giusta aggregazione che del resto è impensabile visto che tra una persona e l’altra ci sono spesso migliaia di chilometri di distanza e c’è solo uno schermo a far da tramite. Il pericolo, neanche troppo velato, è che le nuove generazioni si abituino con troppa facilità a dialogare tramite smartphone, pc o comunque apparecchi digitali tanto da arrivare al punto che tramite i social network si arrivi a stabilire legami di amicizia come tra persone reali.

Paradossalmente, ma non troppo, mentre ci si chiede, in un momento come quello che stiamo vivendo, se il calcio possa fare a meno degli ultras, la domanda da porsi è se il pubblico può fare a meno del calcio, almeno di quello giocato in maniera reale, su un campo erboso, con due squadre costituite da undici giocatori ciascuna. 

Riportare il pubblico sugli spalti, tornare a vivere la partita come una festa, potrebbe essere il primo passo per rilanciare il calcio evidenziando come il pubblico pagante abbia sempre il suo peso nella gestione economica di una società, visto che i ricavi dei diritti TV sono per il 50% equamente divisi tra tutti i club, il 30% è basato sui risultati storici, il 15% è collegato ai risultati dell’ultima stagione, il 10% ai risultati delle ultime cinque stagioni, il 5% ai risultati storici complessivi. Resta un 20% e di questo restante, il 12% è legato al numero di spettatori paganti negli stadi mentre l’8% è collegato alla quota di audience televisiva.

Da non sottovalutare, infine, l’atmosfera di uno stadio di calcio con e senza pubblico: è sentimento condiviso che uno stadio vuoto e privo di colore manchi di carica adrenalinica e abbassi la soglia di attenzione del telespettatore. Non sarà magari un futuro florido, non sarà una strada in discesa ma vale la pena continuare a mettere i bastoni tra le ruote a chi vuol continuare a godersi uno spettacolo dal vivo? Il tanto bistrattato sportivo o ultras potrebbe diventare il salvagente per quelle società medio – piccole che sarebbero tagliate fuori da un progetto di Superlega e diavolerie simili? Lo spostamento del calcio da reale a virtuale produrrà effetti catastrofici sugli incassi delle attuali società di calcio che non sapranno riciclarsi o comunque adattarsi alle nuove tendenze? Chissà se la battaglia contro il tifoso alla fine diventi un boomerang di portata gigantesca. Ed in fin dei conti, quasi quasi, potrei cominciare a sperarci.

Valerio Poli