Dopo una serie di giornate soleggiate e quasi estive, le previsioni meteo avevano annunciato un rapido e deciso peggioramento proprio in concomitanza della partita, ragion per cui la società del Livorno aveva saggiamente suggerito ai possessori del biglietto di gradinata di recarsi, al medesimo prezzo, nel settore di tribuna coperta, così da seguire l’incontro in maniera sicuramente più comoda. Nel contempo la società ha deciso di operare un taglio sensibile dei prezzi dei biglietti per gli under 14 e le donne, anche in questo caso con l’obiettivo sbandierato di riportare o comunque incentivare la presenza di tifosi sugli spalti. Iniziative che soprattutto nelle categorie dilettantistiche sono da applaudire: lo spettatore deve tornare ad essere al centro dell’attenzione e se proprio di cliente si vuol parlare, come un cliente deve essere trattato perciò, nei limiti del possibile, andrebbe servito coi guanti di velluto e non continuamente bistrattato.

Proprio in questi giorni si è scatenato il processo alla nazionale italiana uscita dai Mondiali, c’è chi se la prende con la squadra, chi con il commissario tecnico Mancini, chi con la politica del pallone incapace di fare quelle riforme delle quali si parla da anni. Mettere alla gogna questo o quel personaggio mi pare una mossa troppo elementare, che sia colpa di Mancini, Jorginho o Immobile fa poca differenza, quando si parla di ripartire dal basso, di rifondare il calcio lo si deve fare ripartendo proprio da un diverso atteggiamento, da un’analisi più oggettiva mettendo da parte quei vecchi discorsi o quelle idee precostituite che in definitiva sono solamente giustificazioni per spostare le responsabilità da un capo all’altro. Che non nascano più fuoriclasse o campioni in Italia penso sia un dato di fatto, che il calcio non attiri più i bambini ne è un altro, altrimenti non ci sarebbero più le squadre giovanili che si fondono o nei peggiori casi tirano giù la saracinesca e salutano tutti. Perciò il primo passo sarebbe tornare a fare innamorare le nuove generazioni del pallone, tornare ad attirare i bambini, staccarli materialmente dallo schermo di un cellulare e metterli su un campo verde.

Quando vedo nei parchi pubblici cartelli “Vietato giocare a pallone o a giochi comunque molesti” capisco che in materia di educazione c’è ancora tanto da fare ed arrivo (quasi) a giustificare chi, in questa società della repressione permanente e onnipresente, si pone davanti ad uno schermo a giocare on line con un “amico” distante migliaia di chilometri. Altresì pensare di portare un bambino allo stadio è oggi un percorso ad ostacoli: tra tessere, regolamenti e prezzi assurdi ti vien presto voglia di lasciar perdere e passare una serata davanti a Netflix. Sono pessimista? Forse. Ma se penso che per far sventolare una bandiera questa deve essere ignifuga, per portare uno striscione devo chiedere l’autorizzazione, per seguire la partita devo sedere al mio posto di competenza, l’incontro che voglio seguire è quindi un momento ludico e sociale oppure un prodotto preconfezionato? Il calcio è un’industria o uno sport? Partendo da queste basi, ragionando in maniera fredda e calcolata non capisco le tante accuse a Donnarumma, tanto per continuare a parlare di nazionali, che in definitiva all’interno dell’industria calcio si è comportato come un normale dipendente, andando a guadagnare il più possibile in una città che proprio la peggiore del mondo non è. Cosa gli si può imputare? Forse qualche errore di comunicazione ma in definitiva nulla di così grave.

Le riforme nel calcio? Più italiani e meno stranieri? La serie A a 18 squadre? Più spazio per la nazionale? Possiamo parlare di qualsiasi riforma ma se non si parte dal mettere al centro dell’attenzione lo spettatore, il futuro continuerà ad essere grigio, di un grigio tendente al nero. Strano a dirsi, ma raramente parlando di calcio e di stadio ci si rivolge a quelle persone che i gradoni li vivono per sapere cosa chiedono, cosa pretenderebbero. Gli studi di settore servirebbero proprio a questo ma evidentemente nel calcio si preferisce programmare a breve o brevissima scadenza evitando accuratamente di pensare ad un futuro prossimo.

Valerio Poli