Sabato pomeriggio pre-elezioni, le previsioni che costantemente promettono pioggia, l’estate che da qualche giorno ha lasciato spazio ad un autunno dalla temperatura piacevole ma che non permette più il trittico sole – mare – bagno ed una domanda che mi ronza in testa: ma chi te lo fa fare di andare allo stadio? Potrei rispondere in maniera professionale dicendo che ho preso un impegno e come tale ho il dovere di rispettarlo, in maniera più spirituale potrei menzionare il comportamento tribale da tenere il giorno della partita, ma ad essere sinceri mi sento come un tossicodipendente, la fortuna che ho almeno, è che questa forma di dipendenza, fondamentalmente, non è dannosa per la salute.

Andando più a fondo con le riflessioni sono del parere che chi frequenta uno stadio, in un estremo gesto di coerenza, dovrebbe abbandonare striscioni, bandiere ed anche tanta passione per convogliare le energie in un altro ambito visto che entrare in una curva, star dietro alle partite giocate di martedì mattina, presentarsi munito di tessera, abbonamento personalizzato, codice fiscale ed un altro tot di diavolerie, farsi tastare dal perverso di turno fondoschiena, patta ed inguine, non corrisponde esattamente a quella visione ribelle ed antisistemica con la quale sono nati gli ultras.

Sul piatto della bilancia dobbiamo mettere che i tempi attuali non sono quelli degli anni ’70-’80, il periodo storico e l’attuale società non sono minimamente paragonabili a quarant’anni fa dove si usciva dagli anni di piombo, da un terrorismo che mieteva vittime ed anche da una situazione politica che nel tempo ci siamo accorti fortemente malata. Malata di ideologie perverse, malata di sotterfugi, malata ovviamente di denaro e potere visto poi cos’è successo ai maggiori partiti, ed anche a molti esponenti di essi, che componevano la galassia partitocratica dei mitici anni ’80. Perciò se oggi non entri in uno stadio per coerenza, non dovresti avere neanche abbonamenti televisivi, carte di credito, tessere di qualche medio-grande centro commerciale e tutta una serie di pseudo agevolazioni che, chi più chi meno, abbiamo tutti.

Per di più, come sento dire da più parti, se il calcio è malato anche gli altri sport non stanno meglio visto che nelle accese discussioni sull’argomento, faccio fatica a trovare uno sport pulito dalla testa ai piedi. Vogliamo parlare del resto? Concorsi di bellezza, gare musicali, perfino le mostre canine dove paghi dieci miseri euro d’iscrizione sono false come una moneta da tre euro. Ed allora se proprio devo farmi prendere in giro, seguo ciò che mi aggrada di più, non penso al marcio che c’è attorno, evito di spaccare il capello in quattro ed entro in uno stadio restando fedele e appassionato a tutto quello che c’è intorno più che dentro, o al centro di esso.

Tutto questo preambolo per dire che per una partita di serie D, con una pioggia che dura i canonici novanta minuti, il pubblico, o almeno la curva, oggi risponde piuttosto bene. Perché al di là delle tante chiacchiere sulla mentalità, sul senso estetico di questo o quel gruppo, i numeri contano e per il mio modesto parere contano anche parecchio. Livorno, intesa come città, potrebbe fare di più, sicuramente la discesa nei dilettanti non è la giusta medicina per attirare quelle persone che ancora ricordano i bei campionati di serie A e B, ma se si vuol stare in maniera costante a certi livelli si può solo seguire e sostenere le “strisciate”, termine che identifica quelle squadre metropolitane che generalmente lottano per lo scudetto. A Firenze il termine assume contorni dispregiativi, lascio a voi immaginare qual è la striscia più odiata.

Livorno è una provinciale e come tale deve porsi. Gli anni d’oro della serie A sono un bel ricordo che sta diventando ingiallito, l’attualità si chiama Seravezza Pozzi, nome sconosciuto probabilmente a chi abita fuori dei confini toscani. Ed in effetti non è che il Seravezza abbia calcato terreni nobili però quest’oggi si presenta in campo grintosa e ben organizzata, per nulla intimorita dal nome altisonante dell’avversario che riesce a strappare una vittoria, magari anche meritata ma sicuramente sudata.

Nei novanta minuti il pubblico spinge la squadra, il tifo non manca di certo, anche se le bandiere, soprattutto nei secondi quarantacinque minuti, fanno fatica ad alzarsi e anche se la pioggia picchia duro, dal centro della curva il sostegno non viene meno. A dirla tutta, spesso viene coinvolto tutto il settore ed i risultati non sono neanche malvagi, la gente intende partecipare al sostegno e qualche coro riesce decisamente bene.

Vittoria della squadra amaranto che saluta il pubblico bello zuppo di poggia. Se una partita genera ancora emozione, se vale ancora qualcosa sgolarsi in curva sventolando una bandiera, se amicizia e condivisione sono valori nei quali credere, perché privarsi di entrare in uno stadio?

Valerio Poli