Un freddo pungente e un cielo che sembra dar tregua da improvvisi acquazzoni, mentre la pioggia già caduta si riversa sull’asfalto. Così si presenta questo venerdì sera Salerno, in un Arechi assiepato da ben 9.832 spettatori su questi gradoni copiosamente bagnati, dove si gioca la sfida salvezza tra Salernitana e Pro Vercelli. Nonostante una classifica tutt’altro che positiva, lo zoccolo duro del tifo risponde presente.

Consecutivamente, in queste ultime due partite interne, la squadra di casa ha incontrato due delle squadre storiche, prima il Novara ora la Pro Vercelli, che componevano quel leggendario Quadrilatero, assieme al Casale e all’Alessandria, capace di sfidare nei primi decenni del novecento Torino, Juve e Genoa per la conquista dello Scudetto. La storica squadra piemontese latita in Curva Nord, settore riservato agli ospiti, di una presenza ultras quantomeno dichiarata, così come manca qualsiasi semplice club vercellese: solo la presenza di 6 persone senza drappo o segno di riconoscimento alcuno che aiuti a decifrare.

La Sud va man mano aumentando di numero prima dell’inizio del match, inoltre si intravedono due pezze in Curva, degli storici gemellati di Bari e Brescia: ad inizio gara, con qualche coro, viene rimarcata anche a voce l’unione che lega la curva granata con le due tifoserie citate.

Nella stessa Sud sono stati vari gli striscioni srotolati durante la gara: “Piccolo Thomas non mollare”, “Ciao Benny”, “Benny sempre con noi”, “Oltre lo steccato dei colori, ciao Lorenzo piccolo angelo rossoverde”. In aggiunta, due altri striscioni sono particolarmente evocativi per la tifoseria salernitana: “Ciao Enzo” esposto con due striscioni in Curva, uno nella parte superiore e l’altra inferiore; infine “Del tuo ricordo me ne vanto, lode a te Bruno Carmando”. Il primo è rivolto a Vincenzo De Santo, scomparso il giorno prima di questo match, storico magazziniere della Salernitana degli anni ’80/’90, il secondo rivolto all’altrettanto storico e carismatico messeur Bruno Carmando, mancato quel 21 novembre del 2005, di cui quest’anno cade il decennale dalla sua dipartita. “Io non tremo, è solo un po’ di me che se ne va” cantano gli Afterhours, e in questi anni la Salerno sportiva, del tifo e delle sue più autentiche bandiere, ha visto andar via pezzi di sé, relegandoli alla immortale memoria comune.

La Sud incomincia subito il suo tifo, riuscendo a dare un certo ritmo e una certa costanza, che cerca di mantenere con più rabbia quando passa in svantaggio la Salernitana. Ai soliti picchi di entusiasmo che scaturiscono al momentaneo pareggio nella seconda frazione, segue il “mestiere” con cui si riesce ad incassare la doccia gelata del secondo gol subito, non facendo perdere costanza e forza all’incitamento, sostenuto dai cavalli di battaglia come “Semplice” e “Jamm a verè”. Qualche pausa sul finale, subito sopperita, vuoi per un calo fisiologico naturale e vuoi per uno spettacolo in campo indecente, che nel finale di partita, vede un unanime responso: un boato di fischi da parte di tutto lo stadio.

Fine partita.

Esco dall’Arechi, con il freddo che mi entra nelle ossa e il nero del cielo che riflette l’umore dei tifosi; incrocio i loro sguardi adirati, con i fegati messi alla prova, ma la sicurezza che tutto passerà in tempo per la prossima sfida, rimanendo semper fidelis alla maglia granata. Al di là del tempo e del risultato. Tuttavia, se poi le partite verranno spostate alla vigilia di Natale alle 12:30, vedasi Salernitana-Cagliari, non sorprendetevi se i gradoni rimarranno più vuoti e freddi. Se la fede dei tifosi non ha limiti, la pazienza sì.

Gian Luca Sapere.