Ed è proprio quella voglia di vecchio calcio, di sensazioni lontane e perse in quegli epici Nocerina-Juventus, Inter-Castel di Sangro e Brescello-Juventus, che mi spinge verso lo stadio Picco di La Spezia.
Il pallone sa e può ancora regalare emozioni? È un quesito ricorrente per me che ad ogni rimbalzo di quella sfera, una volta segnata da tanti esagoni bianchi e neri, sento un pizzico di malinconia avanzare sempre più prepotente. Perché il calcio delle big, quello imbrillantinato delle grandi competizioni e dei grandi calciatori, non solo non mi attira ma mi fa persino schifo e ribrezzo sotto alcuni aspetti.
Ti dicono: “Tu baratteresti uno Spezia-Alessandria per un Barcellona-Manchester United?”. Che domande sono? La seconda è una partita di calcio? Non mi risulta. Semmai è un triste e asettico teatrino con gli spettatori a fare da corredo immobile e grigio a quella distesa verde plastificata che ospita undici omuncoli più impegnati a farsi la ceretta e le sopracciglia che a ingaggiare duelli corporei con l’avversario di turno. No, non è decisamente roba per me.
Con i suoi 90 km/h di velocità di crociera, il mio Megabus veleggia simpaticamente per buona parte del centro Italia, raggiungendo Sarzana quando l’ora di pranzo è appena passata. Dalla cittadina che, giocoforza, collego sempre alla sua squadra di hockey, è sufficiente viaggiare una ventina di minuti in treno per arrivare a La Spezia. Sono le 15 e mancano ben cinque ore al fischio d’inizio. Non essendovi mai stato ne approfitto per fare un giro, al porto prima, a Castel San Giorgio poi, concedendomi un’infinita scalinata a piedi che mi permette di smaltire i molteplici panini che mi sono portato dietro (e stavolta ho proprio esagerato nella varietà, evito di elencarne contenuti e gusti per buona decenza).
In città già molte persone indossano sciarpe e vessilli bianconeri. Mentre alle 16 un nugolo di poliziotti, con i loro cellulari, si assembra in una piazza della città per poi partire alla volta dello stadio. Sono attesi ben 26 pullman da Alessandria più diverse macchine. In totale saranno 1.700 i supporter grigi, a fronte di uno stadio che registrerà praticamente sold out. Per una sfida che, oltre al suo fascino storico, riaccende una vecchia rivalità mai sopita. Ci sono di mezzo incroci e inimicizie che si perdono nella notte dei tempi e che non escludono neanche le due “grandi” del calcio Ligure: il Genoa e la Sampdoria.
Proprio in virtù di questi incrocio la questura locale ha pensato bene di rendere note alcune disposizioni che hanno del grottesco, tra tutte il divieto di far entrare vessilli non riconducibili alle due squadre in campo. Non si capisce quale problema di ordine pubblico possa creare una bandiera rossoblu o blucerchiata, ma si sa, su queste cose i nostri gestori polizieschi sono ineffabili, e guai a contraddirli.
Così la trasferta degli alessandrini, in un certo modo, ha assunto i contorni di una vera e propria deportazione. Con i torpedoni costretti a partire in una data ora, stabilita da terzi, e soprattutto a non fermarsi mai in autogrill. Va bene che le città sono divise da 185 km, ma mi chiedo in quale altro Paese europeo sarebbe avvenuto un qualcosa del genere? Il fatto è che anni di repressione e campagne mediatiche hanno ormai addormentato qualsiasi sacca di ribellione a delle imposizioni stolte, così l’opinione pubblica non solo tende a prender per buone cose di questo genere, ma persino a giustificarle in nome di una non chiara tutela dell’ordine pubblico.
Inutile, tuttavia, farsi il sangue amaro. L’occasione che voglio vivere è di quelle che passeranno alla storia del nostro calcio. Uno sport che non sa più far sognare ma che, in questa serata, riserva ai suoi amanti un paio d’ore di dolce revival. Da una parte c’è una squadra di Lega Pro che è riuscita nell’impresa di eliminare ben tre squadre di categoria superiore a domicilio, dall’altra una di Serie B che ne ha buttate fuori due di Serie A, tra cui la Roma, sempre a domicilio. E quando tutto ciò avviene in una competizione iniqua, discriminatoria e mal concepita come la Coppa Italia, ha un significato ancor più importante. Senza tirar fuori il celebre “Davide contro Golia”, sicuramente, e in maniera più spiccia, si può dire che un calcetto sui coglioni ai prepotenti del pallone è stato dato. Vi sembra poco in tempi di magra come quelli attuali?
Ovviamente in una giornata come questa non poteva mancare lo storico Andrea F., che incontro in pieno centro e con cui chiacchieriamo sorseggiando qualcosa al bar, per poi spostarci verso lo stadio quando manca un’oretta all’inizio del match. Chiaramente più ci avviciniamo al Picco e più i tifosi aumentano. Mi sono immedesimato in loro, ho voluto provare a entrare nelle loro teste. E li ho invidiati. Sì, perché faranno pure categorie inferiori alla tanto decantata Serie A, ma serate come questa valgono dieci anni di massima categoria. E poi chi l’ha detto che giocare contro la Reggiana piuttosto che contro il Como sia peggio che andare a San Siro o all’Olimpico? Ma ne siete proprio sicuri?
Ritiriamo i nostri accrediti ed entriamo allo stadio alla vecchia maniera, senza passare per i tornelli. Un qualcosa che mi dà sempre soddisfazione, tanto è il disagio che questi aggeggi, assieme al controllo biglietto/documento, mi hanno sempre creato.
La Curva Ferrovia e il settore ospiti sono già, praticamente, pieni e si stanno scambiando i primi insulti. Devo essere onesto, con tutti i cambiamenti che il calcio ha purtroppo subito negli ultimi quindici anni, mi ero quasi convinto che per trovare un clima minimamente ostile tra tifosi, dovessi per forza di cose andare al di sotto di Roma. E invece mi sbagliavo. E ci metto poco a capirlo. Mi è sufficiente vedere il modo con cui i tifosi spezzini in tribuna offendono pesantemente giocatori e tifosi piemontesi. Questi si odiano, c’è poco da dire! La mancanza di confronto poi è un po’ come l’astinenza da sesso, quando, dopo anni, ti ritrovi di fronte un nemico storico sei ovviamente carico a mille.
Trovo immediatamente un posto a sedere, senza che nessuno mi crei problemi per la macchinetta fotografica o altre paranoie ormai insite in alcuni stadi italiani. In questo, e non solo, il Picco è davvero un impianto vecchio stampo. Mi piace da subito, con le sue curve attaccate al campo e le sue gradinate piccole e attempate. Altro che Juventus Stadium o simili aberrazioni del calcio moderno. I centri commerciali e i ristoranti andateveli a fare nelle zone periferiche poste sugli svincoli autostradali, il calcio, il tifo e gli stadi sono tutt’altra cosa. Quello è affare nostro, che da piccoli ci gettavamo nel fango come porci ruspanti per contrastare l’amichetto delle elementari e, a buon bisogno, mandarlo pure allegramente a quel paese.
Ecco le due squadre sortire dagli spogliatoi e dar luogo alla tenzone, mentre gli spalti ribollono d’amore e si esibiscono nelle rispettive coreografie. Elaborata e ben riuscita quella spezzina, con la Ferrovia che si colora di bandierine bianche e nere ai lati e un telone al centro, sotto al quale fa capolino qualche torcia. Nella “Piscina” i tifosi grigi alzano tutte le sciarpe al cielo creando un effetto altrettanto bello. Tutto lo stadio salta per offendere i dirimpettai, che prontamente rispondono lasciando intendere che è partita vera e sentita. Ben lontana dai soliti quarti di finale di Coppa Italia, con il pubblico annacquato e svogliato.
Inizia, ovviamente, anche la battaglia del tifo. Va subito detto che per i liguri è difficile gestire una curva così grande senza il minimo ausilio di megafoni e tamburi. Il risultato, infatti, sarà l’enorme difficoltà con cui i coristi coordineranno il tifo per tutti i 90′, mantenendo uno zoccolo duro nella parte inferiore sempre attivo, e riuscendo a coinvolgere l’intero settore soltanto sporadicamente. Sul piano coreografico, sempre in alto i bandieroni e molto bella la sciarpata che a inizio secondo tempo coinvolgerà tutta la Ferrovia. Da segnalare, nella tribuna di fronte alla mia, la presenza del Gruppo Bullone, con tanto di pezza per Ramon, storico ultras degli aquilotti scomparso poco tempo fa. Da là partono diverse invettive nei confronti degli alessandrini, che trovano terreno fertile nel resto del settore, con diverse schermaglie vocali e gestuali nell’area che delimita la tribuna dal settore ospiti.
A proposito dei tifosi dell’Orso: ovvio che in simili occasioni affronti la trasferta anche chi, fino a una settimana prima, non sapeva neanche dell’esistenza di una squadra cittadina. Tuttavia Alessandria, come La Spezia, è una città in cui il calcio non è un’attività sconosciuta. Le radici pallonare affondano in un passato ultracentenario e, come logica conseguenza, in città i Grigi restano comunque un’istituzione. Il loro tifo sarà più che buono durante l’incontro, in particolar modo ho apprezzato l’intelligenza dei lanciacori, bravi a capire che con il materiale umano a disposizione non si poteva certo puntare su un tifo composto da canti lunghi e sconosciuti ai più. Così sono i cori classici a tenere banco, con un’intensità che a volte sfiora davvero ottimi livelli. Unico appunto che mi sento di fare è quello sul posizionamento degli striscioni. È vero che la balaustra, in pieno accordo con il calcio moderno, è occupata dagli sponsor, ma credo che con un po’ di impegno si sarebbero potuti posizionare nella parte superiore della rete, anziché dietro.
In campo la gara è ovviamente interessante e si sblocca quasi subito in favore dei padroni di casa, che realizzano un calcio di rigore con Calaiò, provocando l’ovvia esplosione dello stadio. Tuttavia si capisce che la squadra allenata da Di Carlo non è perfettamente in armonia, non riuscendo a tessere gioco e lasciando il pallino in mano agli avversari. Di contro resto sorpreso dalla prestazione di un’Alessandria veramente impeccabile. So che questo non è il luogo adatto alla disamina calcistica, ma per una volta mi prendo la licenza poetica di farla. I ragazzi di Gregucci si conoscono a memoria e, prima degli ultimi, e fatali, dieci minuti, costruiscono diverse palle gol che soltanto l’ottimo Chichizola riesce a sventare. Di mezzo la clamorosa occasione di Calaiò: l’arciere, tutto solo davanti al portiere grigio, avrebbe l’occasione di chiudere il match ma gli spara clamorosamente addosso, provocando l’irritato brusio dei tifosi liguri che cominciano a storcere il naso.
È il minuto 83′, uno spiovente in area arriva al neo entrato Riccardo Bocalon, che ammaestra la sfera e in seconda battuta la getta al di là dell’estremo difensore spezzino. Pareggio piemontese proprio sotto la curva ospite, logicamente in estasi. Ma non è finita. Il direttore di gara assegna 5′ di recupero e al 92′ è ancora Bocalon a rendersi protagonista, mandando in gol, di testa, un cross proveniente da destra. Stavolta il boato alessandrino è significativo, anche molte persone in tribuna esultano e per qualche minuto si crea un discreto parapiglia con i tifosi bianconeri che non vedono di buon’occhio l’esultanza “straniera” su suolo patrio.
Gli ultimi istanti sono utili soltanto agli almanacchi. Al 95′ Tagliavento decreta la fine delle ostilità e, mentre la tribuna già stava sfollando delusa, i tifosi dell’Orso esultano increduli. Sarà semifinale con il Milan. Che però, causa calcio industria, non verrà giocata allo storico stadio Moccagatta, segnando, di fatto, la fine della favola Alessandria comunque vadano le cose. Un’ingiustizia bella e buona, se consideriamo che in una sfida già impari di suo, l’unico svantaggio che potevano avere i meneghini era quello del campo avverso.
Ovviamente i minuti che seguono la fine della gara sono segnati dalla grande festa tra squadra e giocatori, che si protrarrà fino a notte fonda in città, vedendo il proprio epilogo allo stadio, con i calciatori accolti da eroi.
Resto ancora qualche minuto per fotografare e riprendere i momenti di giubilo. Poi anche per me è il momenti di andare, devo ricongiungermi ad Andrea e raggiungere nuovamente Sarzana, mentre il freddo è diventato il vero padrone della serata. Dopo l’ultimo sorso consumato nella cittadina ligure ci salutiamo, per me resta ancora un’oretta di attesa, nella quale farò un giro per il centro storico di Sarzana, davvero molto carino, per poi rischiare seriamente di perdermi sulla Variante Cisa e non trovare più la fermata di Megabus. Ma niente problemi, tra un’imprecazione e l’altra, riesco a ritrovarla, tornando regolarmente a Roma, al termine di una giornata che meritava di essere vissuta per il suo aspetto globale.
Simone Meloni.