Che lo si consideri un vero e proprio derby oppure no, il match tra Como e Monza disegna una delle principali rivalità del girone A di Lega Pro.

Una contesa le cui radici sembrano essere principalmente calcistiche e non di campanile, basti pensare a quanto sia recente la stessa autonomia che Monza si è guadagnata, costituendosi in provincia autonoma da Milano e vantando numeri importanti: circa 870.000 abitanti (di cui oltre 120.000 residenti nel capoluogo), molti di più del bacino degli avversari odierni (circa 600.000 abitanti, tra i quali 82.000 all’ombra del Baradello). A fare da cerniera tra i due territori quella “Brianza” disseminata di fabbriche e fabbrichette che, pur dopo un decennio di dura crisi economica, resta tra le zone più laboriose e ricche non solo della Lombardia, ma dell’intero Stivale.

Una rivalità che possiamo definire asimmetrica, ma non per i numeri appena descritti, quanto piuttosto per come viene vissuta dalle due fazioni. Relativamente poco sentita da parte lariana che, specialmente a livello ultras, ha una storia segnata da molte inimicizie e che, giusto per restare in ambito regionale, vanno da Varese a Milano (sponda Inter), da Bergamo a Brescia. I biancorossi, invece, mettono i Comaschi in cima alla lista degli avversari più invisi ed in ogni partita si alza al cielo qualche coro loro dedicato.

Com’è come non è, la 22ma giornata di campionato offre un Monza-Como che manca da un quinquennio. La partita di andata, che gli uomini di Brocchi si sono aggiudicati con una marcatura nei minuti di recupero, aveva senz’altro qualche significato in più anche per la classifica, mentre oggi, dopo il giro di boa, c’è poco da dire: i padroni di casa fanno sostanzialmente corsa a sé verso la promozione mentre gli ospiti vivono una stagione di transizione, magari adeguata per una neo-promossa ma al di sotto delle ambizioni e delle speranze dei propri sostenitori.

Arrivo piuttosto tardi allo stadio ed entro subito, senza soffermarmi nei dintorni del Brianteo, dove peraltro la presenza di uomini in divisa è ben al di sopra della normalità. A giudicare dalla quantità di ultras biancorossi che ancora si attardano, probabilmente gli avversari non sono ancora arrivati: il grosso del contingente ospite viaggia in treno e troverà ad aspettarli dei bus-navetta fuori dalla stazione ferroviaria.

Derby o non derby, come dicevamo, per la Curva Davide Pieri è la partita dell’anno ed è scattato da tempo il passaparola per riempire al meglio lo stadio e, soprattutto, la curva stessa. L’obiettivo è raggiunto ed alla fine si conteranno complessivamente 6.500 spettatori, a fronte di una attuale capienza consentita al Brianteo fissata in 7.500 posti. La parte centrale della Sud è particolarmente stipata e sulla balconata dei S.A.B. sono esposti i drappi dei gemellati spagnoli dello Sporting Gijon, arrivati nella città della Corona Ferrea già da venerdì sera. Il colpo d’occhio è complessivamente buono, nonostante il sole alle loro spalle che crea un cono d’ombra fastidioso dal punto di vista coreografico.

Per parte ospite, nel corso della settimana si è letto di qualche polemica sul numero insufficiente di biglietti concessi, ma al tirar delle somme sembra filare tutto abbastanza liscio. Voluto oppure casuale, molto suggestivo, a una decina di minuti dal fischio d’inizio, l’ingresso sugli spalti, accompagnato dai grandi bandieroni  che si disporranno poi lungo la transenna. Al di là dell’impatto visivo, i lariani sembrano implicitamente lanciare un guanto di sfida, quasi a voler dire che se in trasferta posso portarmi ciò che normalmente utilizzo tra le mura amiche significa che non ho particolare timore del mio avversario.

Il gruppo si compatta dietro lo striscione COMO 1907, l’unico appeso insieme al drappo dei Pesi Massimi, mentre quello dei Panthers viene tenuto in mano.

Si arriva presto alle ore 15.00, quando le squadre escono dagli spogliatoi e si schierano a centrocampo. La curva di casa propone una fumogenata biancorossa che in altri tempi avrebbe garantito un risultato più spettacolare: se oggi tenere un fumogeno in mano è peggio che impugnare un revolver non resta che accendere il candelotto di sguincio e buttarlo subito per terra, e così fanno i Brianzoli. I Comaschi  alzano le sciarpe e sventolano i bandieroni appena citati, che solo nell’intervallo faranno un po’ di pausa.

In campo le cose prendono una piega inaspettata, con il Como non solo capace di imbrigliare la capolista ma di trovare addirittura il vantaggio a metà tempo, quando Marano dal limite dell’area sgancia un missile che gonfia la rete. L’esultanza è quella che ogni ultras vorrebbe: corsa sotto la curva, saltando le file di cartelloni pubblicitari, e braccia al cielo davanti ai propri sostenitori.

Inevitabilmente sale di intensità il sostegno vocale dei biancoblù, fino a quel momento continui ma senza quell’intensità vista in altre occasioni.

Passo buona parte del tempo proprio a ridosso della curva ospite e l’incitamento dei brianzoli arriva in modo distinto. Stessa cosa a campi invertiti, sul finale di match.

Le due fazioni si beccano sì, ma senza particolari esagerazioni e privilegiano il sostegno ai propri colori. Benché gremita, la Davide Pieri solo a tratti regala degli acuti proporzionati alle presenze odierne: nulla di nuovo perché, a qualsiasi latitudine, il moltiplicarsi degli occasionali  favorisce il colpo d’occhio ma raramente la potenza vocale, specialmente quando i cori sono un po’ elaborati oppure, come è il caso odierno, se il risultato è avverso. Lo zoccolo duro al centro della curva non ha cedimenti e sarà premiato dal goal del pareggio, arrivato ad inizio secondo tempo.

È il 49° quando Paletta trafigge Zanotti, ma il tentativo di rovesciare il risultato si infrange contro la diga lariana che regge l’urto senza grosse difficoltà. Manco a dirlo, quindi, le cose più belle sono quelle che si vedono sugli spalti: prima la sciarpata biancorossa sulla melodia di “Maledetta Primavera” e poi quella lariana (in verità la terza o quarta di giornata) accompagnata da una delle più riuscite ballate di Davide Van De Sfroos.

Giusto il pareggio finale sul campo e stesso risultato nella sfida del tifo, in attesa magari di palcoscenici più prestigiosi.

Testo di Lele Viganò.
Foto di Lele Viganò e Sebastien Louis.
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