Sono passati esattamente dieci anni dalla mia unica volta al PalaBarbuto di Napoli. Era il febbraio del 2014 e i partenopei sfidavano tra le mura amiche Veroli, per un match di A2. Penso a questo lasso di tempo e, probabilmente, con una forma mentis da boomer, realizzo quanto gli anni siano volati e tante situazioni siano cambiate. Nella vita come allo stadio. Ma soprattutto penso a quante partite siano “sfilate” davanti ai miei occhi in questi due lustri e, tutto sommato, sono felice di tornare in nell’impianto partenopeo e soprattutto di tornare a vedere una partita di basket, disciplina che da qualche anno – per varie vicissitudini – ho un po’ accantonato, ma che raccoglie sempre le mie simpatie e la mia curiosità in fatto di tifo. Per vedere i napoletani all’opera mi sono ripromesso di scegliere un match con una “degna” tifoseria ospite, premessa che al momento dell’opzione caduta su Pistoia, dunque, non è stata assolutamente disattesa. Anche dall’ultima volta che ho visto i toscani sono passati diversi anni, ma non nutro dubbi sulla loro ottima presenza, sia per quanto riguarda i numeri che la qualità. Anzi, da foto e video visti in giro, mi è sembrato di intuire che negli ultimi anni i pistoiesi siano anche cresciuti, dando ancor più sostanza a una piazza che, sotto canestro, si è sempre ritagliata un ruolo importante nel panorama ultras nazionale.

Non faccio in tempo a tornare da Brighton all’alba di sabato e dormire qualche ora, che già è tempo di presentarsi alla stazione Termini e partire per Napoli. O meglio, questo è ciò che vorrei fare senza troppi intoppi. Trenitalia non sembra essere troppo d’accordo e proprio il treno su cui salgo è il primo di una lunga serie di convogli cancellati o ritardati causa investimento nella stazione di Cisterna. Ovvio al problema salendo sul primo Intercity direzione Taranto, che a quanto sembra subirà un ritardo minimo, permettendomi comunque di cambiare con la Linea 2 – una volta giunto alla stazione Centrale – e raggiungere la mitica Cavalleggeri d’Aosta. Mitica perché, oltre a essere ubicata nel quartiere Fuorigrotta (che per i calciofili fa rima con stadio San Paolo, oggi Maradona), ospita nientepopodimeno che Edenlandia, primo parco divertimenti costruito in Italia (i lavori iniziarono addirittura nel 1937, venendo poi interrotti per la guerra ed ultimati nel 1965), che dà il nome, peraltro, anche alla fermata della ferrovia Cumana. Senza perderci in troppi giri di parole, comunque, torniamo al motivo per il quale mi ritrovo incastonato in una colonna di tifosi con la sciarpa azzurra che, scesi dal treno, si incammina verso il palazzetto. Gettando ancor più nel caos le vie di un quartiere che – come molte zone di Napoli al sabato sera – già di suo è paralizzato da macchine e scooter.

Senza dubbio è bello vedere il popolo napoletano tornare a seguire in massa le sorti della sua squadra di basket, ma per tutti gli amanti della palla a spicchi – e soprattutto per quelli di impianti, palazzetti e stadi – è un colpo al cuore pensare che quello che in origine avrebbe dovuto essere un impianto di ripiego, il PalaBarbuto, sia forzosamente divenuta la casa della pallacanestro partenopea. Per quasi quarant’anni, infatti, il campo di gioco delle casacche azzurri è stato il PalaArgento, situato a pochi isolati dall’attuale parquet. Sul finire degli anni novanta, le rinnovate norme antisismiche costrinsero il comune a dei lavori di manutenzione che portarono alla costruzione, per l’appunto, dell’attuale PalaBarbuto, all’epoca dotato di 5.500 posti – al cospetto degli ottomila del PalaArgento – con la promessa di iniziarne i lavori di riammodernamento quanto prima. Promessa che slittò a più riprese, fin quando, nel 2005, le ruspe mossero i primi passi, buttando giù due delle quattro tribune esistenti. La consegna del nuovo impianto sarebbe dovuta avvenire nel 2007 ma le diverse varianti d’opera sopraggiunte in corso fecero dapprima slittare la consegna e, infine, lasciarono in fase di stallo i lavori. Con le due tribune rimaste in piedi che, abbandonate agli agenti atmosferici, sono finite per diventare irrecuperabili. Rendendo dunque necessaria la totale ricostruzione del palazzetto. Una storia di sperperi, lentezze e controsensi del tutto italiana. Di fatto il PalaBarbuto si è trovato a essere la casa del basket napoletano e anche grazie ai lavori per le Universiadi del 2019, ha subito diversi restyling che ne hanno quanto meno migliorato la fruibilità.

Quella del palazzetto, in realtà, è solo la cartina al tornasole per una tifoseria che non ha quasi mai avuto pace. Napoli è una città che vive per il calcio, si sa, ma fiera e orgogliosa della propria terra e del proprio senso di appartenenza, segue, si appassiona e sostiene qualunque club ne rappresenti il nome. Con questo non voglio dire, ovviamente, che ci sia uno stuolo di occasionali pronti a batter le mani purché in campo vada qualcuno che riporti sulla maglia il nome del capoluogo campano (che poi, se vogliamo, da un punto di vista identitario non sarebbe proprio da condannare come cosa), ma voglio sottolineare come la fame di sport dei partenopei li porti ad uscire – quando il fato glielo permette – anche dalla fagocitante sfera calcistica. Il basket qua si porta dietro tutta una serie di fallimenti, ripartenze e disgrazie sportive che davvero avrebbero potuto triturare e spazzar via definitivamente qualsiasi velleità di tifo e passione. L’ultimo tentativo – quello corrente – si chiama Napoli Basket e conosce i suoi albori nel 2016, riuscendo a riportare la città in A1 nel 2021, ben tredici anni dopo l’ultima apparizione nella massima serie (per la cronaca, parliamo della Società Sportiva Basket Napoli, quella che nel 2006 vinse il primo trofeo per gli azzurri, la Coppa Italia). Un ritorno che ha riacceso definitivamente la fiamma della passione, culminando con il nuovo trionfo in Coppa Italia nel febbraio scorso.

Le vittorie portano entusiasmo, si sa, e infatti quest’oggi il PalaBarbuto fa registrare il tutto esaurito. Nella mia prima apparizione contro Veroli, i ragazzi della Curva Est si raggruppavano dietro la pezza Educazione Napoletana, mentre oggi il corposo zoccolo duro dà risalto al nome del proprio settore. Le squadre sono impegnate nella fase di riscaldamento quando – a pochi minuti dalla palla a due – vedo arrivare i supporter pistoiesi. Il loro ingresso è scenico e d’effetto: bandiere biancorosse al vento e tanto rumore gli fa guadagnare qualche fischio dal pubblico normale, malgrado tra le due fazioni ci sia totale indifferenza. I toscani si sistemano dietro lo striscione della Baraonda (su cui spicca una pezza degli amici centesi), cominciando immediatamente a farsi sentire con battimani e cori a rispondere. Sanno che nella bolgia napoletana ci sarà da faticare e, come da loro costume, non solo non si tirano indietro, ma la cosa li esalta (vero e proprio punto cardine per ogni tifoso in trasferta: più gli avversari rumoreggiano e, all’evenienza, provocano, più è il fomento). Penso si possa dire senza titubanze che la Baraonda sia entrata ormai nel gotha dei gruppi meglio organizzati e continui del nostro movimento cestistico (fondata il 14 febbraio 2009, quest’anno ha festeggiato i quindici anni di attività). Serate come queste lo dimostrano.

Non parlo solo di tifo, ma di portamento e modo di affrontare la trasferta: i toscani giungono in Campania anche in buon numero (ricordiamoci che parliamo sempre di basket) considerata la distanza (508 km) e l’orario serale del match, che li costringerà a tornare in tarda nottata. Noto con piacere che la spina dorsale del gruppo è composta da quasi tutti ragazzi, segno che si sta lavorando molto anche con i più giovani, in modo da dare linfa vitale a un gruppo che si sbatte per esser sempre prese presente lontano dalle mura amiche, cosa non scontata quando si pensa agli orari dell’A1 e anche ad alcune trasferte – vedi Sassari – che non tutti effettuano. Aggiungo che nella pallacanestro il confine tra tifoso e ultras è sempre più labile rispetto al calcio. E se la cosa da una parte è positiva perché favorisce l’amalgama tra queste componenti, dall’altra rischia sempre di far cadere in secondo piano la seguente, tramutando talune tifoserie in meri “club” un po’ più accesi. Sicuramente stasera questo non verrà evidenziato in nessuna delle due fazioni e sarà proprio lo spirito di militanza ad avere la meglio. Poi si può avere passione o meno per il basket, ma penso sia innegabile riconoscere che – seppure lontano dalle dinamiche calcistiche – in Italia questa disciplina preservi davvero un’importante attaccamento per quanto riguarda l tifo organizzato, vantando almeno una decina di realtà davvero di ottimo livello. Per quanto riguarda il sostegno canoro dei biancorossi, poco da dire: la maestria del lanciacori nel carpire i momenti di stanca dei dirimpettai e il giusto piglio da avere in questo palazzetto, fanno sì che la performance sia davvero notevole e, soprattutto, senza un minuto di sosta. Davvero uno spirito ammirevole, soprattutto al cospetto di tutti quei gruppi che approcciano alle gradinate quasi come se stessero facendo un favore a qualcuno. Tanto perché ci devono essere, insomma.

Capitolo tifosi di casa: avevo avuto modo di vederli in trasferta, lo scorso anno, a Scafati. Una partita in cui diedero il meglio di loro per metà, dando il la a una roboante contestazione alla propria squadra negli ultimi due quarti. L’ambiente non ha bisogno delle mie presentazioni: il fatto che un palazzetto contenga napoletani a sostegno di una propria compagine implica già di suo rumore e ambiente “piccante”. La Curva Est – ben più popolata rispetto al famoso match con Veroli di cui sopra – gestisce tutto sommato bene il materiale umano a disposizione, aumentando i decibel soprattutto nella seconda parte del match. Tanti i cori ripresi dal calcio, che all’interno del piccolo e chiuso palazzetto, ovviamente, rimbombano e motivano i presenti. Tanti i battimani (che ritengo essere un marchio di fabbrica per le tifoserie campane in generale) e qualche bandiera sventolata senza sosta. Da sottolineare la presenza del bandierone con Totò (c’era anche dieci anni fa): trovo che troppo spesso si voglia “celare” la napoletanità sulle gradinate. E se da un lato capisco questo modus operandi degli ultras, volto più che altro a tenere lontano un certo stereotipo partenopeo, dall’altro penso anche che una città del genere, con le sue figure iconiche e secolari, non possa tout court fare a meno di una certa simbologia. Quindi vedere il Principe sugli spalti è una piacevole sorpresa!

Non so quanta possibilità ci sia che nel basket si arrivi ai supplementari, sicuramente poca. Ovviamente, proprio nella sera in cui dovrei prendere il treno pochi minuti dopo la fine del tempo regolamentare, le due squadre danno vita a un gran bel confronto, trascinandosi all’extratime. In questo caso ci sono due opzioni: nel primo caso si esce lo stesso e si lascia in sospeso l’aspetto sportivo ma, soprattutto, il confronto sulle gradinate. Nel secondo si cerca forsennatamente una soluzione e si rimane. Come diceva il buon Quèlo: “La seconda che hai detto”. Alla fine sarà Pistoia a spuntarla, facendo letteralmente esplodere di gioia i ragazzi nel settore ospiti, che vedranno ricompensati gli oltre mille chilometri percorsi con due punti preziosissimi. Mi prodigo nell’effettuare gli ultimi scatti alla sciarpata pistoiese, ma stavolta non posso davvero procrastinare ulteriormente la mia uscita. L’ultimo treno della Cumana disponibile per Montesanto passerà a breve. Sgattaiolo tra la folla delusa e arrivo proprio quando il convoglio è sulla banchina. Attorno a me una masnada di ragazzini diretti al centro di Napoli per passare il sabato sera, mentre io posso solo pregare in un Dio che proverbialmente non esiste, cioè quello di E.A.V., affinché mi permetta un veloce scambio con la metro e, successivamente, mi garantisca la presenza del bus che sostituisce la Circumvesuviana per raggiungere la mia meta finale. Incredibilmente tutto si incastra, dandomi per l’ennesima volta ragione nel non abbandonare prima le gradinate ed esser pronti a qualsiasi evenienza (sic!).

Simone Meloni