“No non perdetelo il tempo ragazzi, non è poi tanto quanto si crede”, diceva Angelo Branduardi nella sua “Domenica e lunedì”. La stampammo su una fanzine. Una strofa per ogni pagina. Al termine di una stagione. Dopo un momento difficile, triste e teso. La gioventù non si ingabbia, non si spezza e non si spegne con una secchiata d’acqua. Chissà, forse volevamo dire proprio quello. Volevamo sconfiggere la patina di “terrore” scesa su di noi e guardarci continuando a ridere, saltare, cantare e sperare.

Ciò per dire che in questo lustro e mezzo che mi divide da quella fanzine, di cose ne sono cambiate, peggiorando ove possibile e restituendo alla gioventù degli spazi sempre più stretti e limitati. Una volontà chiara di confinare i ragazzi in recinti, come maiali in una stalla, per poi abbatterli quando arriva Natale o Pasqua. È per questo che il tempo non bisogna “perderlo” cogliendo al volo tutto quello che la vita ci dà. Sviluppando e coltivando le nostre idee, le nostre passioni e le nostre fantasie. Che c’entra questo con Tivoli-Fiano? Nulla, o forse molto. Perché se togliamo quella manciata di spettatori (molti dei quali parenti dei calciatori) sulle gradinate, la spinta propulsiva del match, ancor prima dei gol e delle azioni sul campo, è arrivata proprio dalle due tifoserie. Dai ragazzi, per l’appunto.

Per descrivere Tivoli, come entità urbana e storica, non basterebbe un articolo. Tanta è la letteratura a disposizione sul centro tiburtino alle porte di Roma. Tanti sono i suoi luoghi impregnati di storia, le sue ville che richiamano turisti da ogni parte del mondo e quel fiume Aniene che in tanti vedono da semplice comprimario del Tevere, ma che in realtà ha rappresentato una vera e propria fonte di vita e sviluppo presso gli antichi popoli aborigeni, sorti ancor prima degli insediamenti che poi diedero vita a Roma. Tivoli viene citata anche da Virgilio nell’Eneide, chiamata Tibur Superbum, dicitura riportata tutt’oggi nell’araldica cittadina. Da casa mia dista neanche 40 km, e almeno all’andata decido di prendere il pullman, non sapendo di rischiare seriamente la vita. Percorrendo la Via Tiburtina, metro dopo metro, infatti, il torpedone comincia ad emanare uno strano fumo nella parte posteriore, raggiungendo il culmine della “fumata bianca” sulla salita che porta al centro cittadino. “Vabbè, arriviamo al capolinea, non succede niente”, la sicura e virile risposta dell’autista a qualche passeggero sconcertato. Fortunatamente così è.

Calcisticamente Tivoli ha conosciuto gli ultimi attimi felici all’inizio degli anni 2000, con la compagine amarantoceleste in Serie C2 e un girone (quello C) in grado di offrire scontri con vere e proprie corazzate del calcio nostrano. Poi il baratro, con la caduta verticale tra i dilettanti, i problemi economici, l’onta della Prima Categoria e di campionati anonimi e tribolati. Infine lo scorso anno la piccola fiammella della speranza che si riaccende con il ripescaggio in Promozione. Se questa chimera ha dato una vera e propria mazzata al pubblico autoctono, c’è da dire che ha favorito un ritorno alle origini: Campo Ripoli. Il vecchio e storico impianto del sodalizio tiburtino. “Lo stadio dei nostri nonni”, come lo hanno romanticamente definito gli ultras locali. Proprio loro, che la squadra non l’hanno mai abbandonata. Nonostante tutte le difficoltà, nonostante una città di oltre 50.000 abitanti che fatica a rispondere (la vicinanza di Roma è ovviamente penalizzante, ma anche la caduta a picco in ambito sportivo e il generale allontanamento dal calcio hanno giocato il loro ruolo importante). La curiosità è che all’Olindo Galli, impianto inaugurato negli anni ’90 e utilizzato ai tempi della C2, attualmente giochi la Lupa Roma. Squadra che, malgrado il nome, ha praticamente peregrinato in buona parte della regione. Ovunque. Tranne che nella Capitale, sia chiaro. Ma questa è un’altra storia. E occorrerebbe un giornale apposito per raccontarla. Probabilmente il Vernacoliere.

La sfida contro il Fiano richiama ovviamente le mie attenzioni per la presenza di entrambe le tifoserie. Siamo pur sempre in Promozione Laziale, e questa è una rarità. La gioviale aria della provincia e del calcio dilettantistico mi rallegra subito la domenica mattina, facendomi smaltire la levataccia dopo poche ore di sonno. Un caffè con l’altro sommo partitellaro Marco, giunto in mio soccorso, e si può entrare in campo con pettorina e macchinetta al collo. Manco a dirlo i dirigenti sono cordialissimi e nessuno si produce in pose da protagonista come spesso avviene ai loro cugini più grandi della Serie A. Del resto quelli del calcio non hanno neanche più il pallone, trasformato in una sfera dei Pokemon, multicolor e invisibile a causa dei molteplici tabelloni pubblicitari.

Rientrando nei ranghi, notiamo subito l’ingresso di alcuni ultras tivolesi, che appendono uno striscione in balaustra per annunciare il proprio silenzio durante i primi dieci minuti di gara. La motivazione, già resa nota nelle precedenti sfide, è la decisione, da parte della società, di far pagare il biglietto d’ingresso. Si potrebbe dissertare infinitamente sulla questione, tra la scuola di pensiero di chi è favorevole “per aiutare la società” e chi è contrario perché “il calcio a queste categorie deve essere di tutti e quindi gratuito”. Di certo è anche difficile imputare qualcosa a chi ti ha seguito sempre e dovunque, e inoltre la conformazione dello stadio rende alquanto “soft” il pagamento del tagliando. Infatti sono molti gli spettatori che preferiscono usufruire dei muretti circostanti per seguire la sfida alla vecchia maniera “portoghese”, dando un’idea di calcio ormai sepolto dal tempo, in cui gli stadi erano sempre stracolmi e in tanti riuscivano a “imbucarsi” nei pertugi più impensabili per eludere controlli quasi sempre inesistenti.

Tra loro anche i ragazzi di Fiano Romano, che dopo aver fiutato l’aria agli ingressi, si sistemano su una balaustra improvvisata che sovrasta Campo Ripoli proprio dietro una delle due porte. Le squadre entrano in campo, e i primi dieci minuti di silenzio vengono rispettati da ambo le fazioni. A rompere gli indugi è lo smisurato e spettacolare utilizzo della pirotecnica su entrambi i lati. Colori, odore acre e fumo denso si sprigionano in men che non si dica, dando il primo tocco d’arte a una mattina dove un tiepido sole sta lentamente asciugando l’acqua battente caduta in nottata. Il “rompete le righe” riguarda ovviamente anche il tifo, con i tiburtini che si compattano mettendosi in mostra con tanta voce e delle belle esultanze ai quattro gol che demoliscono gli avversari in campo. Sugli ultras amarantocelesti  penso che vadano fatte delle considerazioni, prima che arrivi la longa manus dei professori. Oltre a tener conto della categoria e dell’area geografica, non si deve dimenticare che in questi bassifondi pallonari la vera virtù che contraddistingue una tifoseria da un’altra è la continuità. A memoria, negli ultimi anni, ricordo che i supporter del Tivoli ci sono sempre stati e già questo mi basterebbe per dare un giudizio positivo. Sulla prestazione odierna poi ben poco da dire, ottima anche l’intensità e il bel bandierone sventolato per tutti i 90′.

Dall’altra parte c’è una realtà emersa da poco, ma che già avevo avuto modo di vedere all’opera qualche settimana fa in casa. Mi fannola stessa buona impressione, sia numericamente che a livello di tifo. Pur scegliendo di non entrare sulle gradinate, si dispongono in maniera compatta dietro al muretto, non “intasando” la prima linea ma coordinandosi con intelligenza. E queste non sono cose per nulla scontate in un mondo troppo spesso popolato da primedonne e mitomani. Anche oggi non manca il coro per il “Bar Paciotti”, e anche oggi non posso fare a meno di sottolineare quanto infonda genuinità e semplicità. Se poi scopri che a tirare li fila del bar è nientepopodimeno che l’allenatore dei rossoblu, allora il karma è raggiunto. “Nel paese una coscienza popolare”, diceva Venditti nella sua “Giulio Cesare”. Aggregazione. Prima di tutto e contro la tendenza dei giorni di oggi. Nonostante la brutta sconfitta subita dai fianesi.

Finisce con il Tivoli a festeggiare sotto al settore e gli ospiti a raccogliere comunque l’incoraggiamento dei propri tifosi. L’orologio segna l’una ed è ora di riprendere i documenti per tornare verso casa. Prima però c’è ancora tempo per i cori degli ultras tiburtini, che sembrano non voler lasciare gli spalti, ancora inebriati dal successo. E fortunatamente qua non ci sono steward o gendarmi a cacciarti via, sottolineando quanto, nel ruolo di tifosi, tu sia indesiderato. Soltanto questo varrebbe tutta la partita.

Simone Meloni