Ammetto che spesso l’aspetto numerico tedia le mie presenze sui terreni di gioco. Il pubblico del calcio, in Italia, ha avuto un crollo verticale negli ultimi 15 anni. E, checché ne dicano quei sapientoni che ci illustrano un movimento sportivo in ripresa per l’avvento di CR7, la nostra (ex) sfera di cuoio fa acqua da tutte le parti.

Difficile pretendere dal tifoso medio un seguito assiduo quando a ottobre inoltrato non si hanno ancora calendari e gironi, oppure, ancor più paradossale, alcune squadre non sono proprio scese in campo attendendo l’esito di ricorsi e contro ricorsi per conoscere la categoria di destinazione.

È difficile, se non impossibile, dar credito a questo calcio. Figuriamoci se poi parliamo di Serie C. Un palcoscenico totalmente allo sbando, dove ormai tutto appare al limite del possibile. Oltrepassando ampiamente l’aspetto “fantozziano” delle cose. Basta prendere la singola partita odierna, programmata alle 16:30 di sabato e anticipata – con solo due giorni di preavviso – alle 14:30. Vale a dire un orario off-limits per molti. Sebbene sabato sia un giorno prefestivo, infatti, sono in tanti a lavorare almeno metà giornata. E, benché Catanzaro non sia a una distanza siderale da Pagani, partire nella prima mattinata può comunque costituire un problema.

Insomma, senza cercare scusanti (che però, oggettivamente, ci sono) non penso di esagerare nell’asserire che oggi, sulle gradinate dello stadio “Torre”, ci sono solo gli ultras. Farebbe ridere – se non ci fosse da piangere – pensare che proprio questi “mostri a tre teste” – negli anni oggetto di attacchi e tentativi di dissoluzione da parte dei cervelloni griffati Lega, Osservatorio, Ministero dell’Interno e Federazione – siano gli ultimi rimasti in piedi. Del resto non ci sarebbe voluta neanche una laurea in sociologia per aspettarselo: se al tifoso “normale” si comincia a rompere di brutto le scatole, questo preferisce chiudersi davanti alla televisione e vedere in pantofole la Serie A. O, al massimo, la Serie C in streaming.

Ma forse a quei cervelloni chiamati in causa sopra, va bene così. Meno gente significa comunque meno lavoro e meno problemi. Peccato che questo sia solo uno degli effetti collaterali delle scellerate politiche approntate in questi anni.

Entrando più nel dettaglio, è una bellissima giornata più vicina all’estate che all’autunno inoltrato ad accogliermi in quel di Pagani. Fa caldo e ben presto il mio giacchetto si rivela uno scomodo peso da portar dietro per tutta la giornata.

È la prima volta che torno a Pagani da quando la tifoseria azzurrostellata si è riunita in Curva Nord. E probabilmente è proprio questa novità ad avermi spinto sin qua con grande curiosità. Già il fatto che nell’era delle divisioni spesso pretestuose e infantili, qualcuno decida di percorrere la strada al contrario mi ben dispone. Se poi questo viene fatto con intelligenza, per giovare all’intera tifoseria, allora non posso che trovarmi pienamente d’accordo.

I tempi dei derby infuocati, degli stadi strapieni e delle folle oceaniche al seguito dei propri colori, come detto prima, sono per l’appunto ricordi ormai lontani. La Paganese, come succede a tante altre squadre italiane, si barcamena ormai da qualche anno nei bassifondi della classifica, raccogliendo puntualmente faticosissime salvezze sul finire della stagione. Di certo non è un buon biglietto da visita per gli sportivi della città.

Inoltre oggi non abbiamo più la strada a fare da collante. Le partite infinite sul cemento sono vere e proprie chimere e troppi elementi virtuali e stordenti si sono impossessati delle nuove generazioni. Complicato anche lavorare in termini di “trasmissione” dei propri valori. Troppe le differenze, ad esempio, tra uno nato negli anni ’70-’80 e uno nato a inizio anni 2000.

Ahinoi, senza nasconderci dietro a un dito, oggi servono i risultati per avere sulle gradinate numeri dignitosi. A parte qualche rara realtà che è riuscita a lavorare bene sul proprio territorio, mantenendo attivo quel senso di comunità aggregante che dovrebbe contraddistinguere il mondo delle curve. Tuttavia sono mosche bianche.

Così anche la credenza diffusa che al Sud sia più facile portare la massa alla partita resta sovente una leggenda popolare. È vero, l’esser umorale di molte tifoserie meridionali spesso permette loro di mettersi in mostra a livello numerico, ma credo che in tante occasioni finisca per essere anche un’arma a doppio taglio per chi fa militanza a prescindere dai risultati della squadra.

Ecco, se dovessi avvicinare una parola a queste due tifoserie, utilizzerei proprio “militanza”. Un concetto tante volte abusato ma comune ormai a pochi. Uno status mentale che finisce per farti apprezzare questo genere di partite. Perché gli ultras ci sono, si fanno sentire e si mettono in evidenza.

Belli gli azzurrostellati, con i loro bandieroni sempre spiegati al vento e i loro cori che praticamente non conoscono un minuto di sosta malgrado una squadra davvero modesta, che finisce la partita con un impietoso 0-4. I paganesi hanno uno stile ben delineato: niente cori veloci, rispetto quasi ossessivo del suono del tamburo, coordinazione e tanta (ma tanta) voce. Da vedere stilisticamente perfetti. L’esser tornati una sola entità è stata senza dubbio la scelta più saggia e azzeccata per continuare a dar linfa al movimento ultras cittadino.

Chiaro che anche il poter tornare in trasferta abbia aiutato a rifomentare l’ambiente e creare un blocco unito e compatto, restituendo quel senso primordiale del viaggio assieme e sostegno alla propria città negato per anni dalla tessera del tifoso obbligatoria in tutte le trasferte.

Quando si parla di continuità e rispetto della propria storia, penso si debba far cenno anche a tifoserie come quella del Catanzaro. Costretti da anni a campionati anonimi e sbiaditi. Non solo avari di soddisfazioni, ma quasi sempre prossimi all’insufficienza e alla mediocrità. Inoltre, sulle teste dei calabresi, pendono anche diversi procedimenti Daspo rimediati negli ultimi anni. Numeri importanti, soprattutto per una piazza che non è certo paragonabile a una metropoli.

Eppure i supporter delle aquile non sembrano porre tante scuse davanti al loro cammino. I numeri, come detto, non saranno eccelsi, ma la voce non viene risparmiata e alla fine la quaterna maturata in campo in favore dei ragazzi allenati da mister Auteri premia la piccola porzione di popolo giallorosso giunta sin qui.

Al triplice fischio del direttore di gara abbandono il campo con delle certezze: una partita con soli due gruppi ultras a confronto è senza dubbio bellissima, perché ti lascia intendere ogni singolo movimento del tifo organizzato e ti fa sentire il “respiro” delle curve. Ma al contempo mi piange il cuore pensare a quello che la Serie C è stata e rivederla ora, quasi ignorata da un popolo – quello calciofilo – che storicamente ha sempre riversato su essa grosse speranze e grande rispetto per quello che ha significato tecnicamente e dal punto di vista del pubblico.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Simone Meloni e Pierpaolo Sacco.

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