Ancora una volta Michele Serra ci delizia nella sua quotidiana rubrica con perle di qualunquismo sul mondo del tifo. Un mondo di cui non sa niente, non conosce alcun retroscena, nessuna dinamica, eppure si permette di parlare, effondere giudizi e moralismo a zaffate. Cosa che potrebbe fare qualsiasi medioman in qualsiasi campo dello scibile umano. Ci potremmo provare anche noi, per esempio, a parlare per luogo comune dei circoli viziosi dell’ambiente della moda, dello spettacolo o della politica, di donne facili e droga altrettanto facile e via di queste banalità pre-concette, senza alcuna base di indagine personale o di corroborazione nei fatti. Il vecchio saggio diceva che lo scemo parla sempre perché è gratis. Aveva ragione.

La retata di ultras della Lazio a Varsavia viene giudicata con serena rassegnazione dalla nostra ambasciata, che segue la vicenda nella convinzione che «la Polonia è un paese civile», e cerca di assistere come può gli italiani fermati dopo gli scontri con la polizia; non così il direttore sportivo della Lazio, Igli Tare, secondo il quale «non avevano fatto niente di male, erano a Varsavia per vedere una partita di calcio». I coltelli e le asce al seguito dei vivaci supporter erano, evidentemente, oggetti d’uso personale: chi di noi, quando va all’estero, non completa la sua borsa di viaggio con un’ascia? Le dichiarazioni di Tare sono la miliardesima conferma della impossibilità congenita di risolvere la questione del tifo violento in Italia. Non c’è niente da fare, le società sono complici delle curve. O perché ne sono ricattate o perché — ed è anche peggio — non sono più in grado di cogliere la differenza tra il tifo e la guerra per bande, che è l’attività prediletta della quasi totalità dei curvaioli. La sola, decente dichiarazione che il portavoce di una società di calcio potrebbe fare, quando i suoi tifosi vanno in trasferta, è: scusateci. Ma non l’abbiamo mai sentita fare.