“Per quelli che son sempre stati qui, per quelli che hanno visto la Serie D, noi ce ne andiamo in Serie A, noi ce ne andiamo, ce ne andiamo in Serie A!”. 

Riecheggia potente questo grido della Curva Ovest formato trasferta. Rimbomba mentre per i giocatori spallini piovono applausi persino da parte dei tifosi avversari, che rassegnati osservano le squadre uscire dal campo. Delusi e sconfitti. Con un piede in Lega Pro.

Se potessi sintetizzare l’altalena di sentimenti e situazioni che il calcio può offrire con la sua poliedricità, fatta di cattiverie e gioie infinite, sceglierei questo Latina-Spal come esempio calzante. Persino prendendo spunto dalle azioni del campo. Perché possono bastare novanta minuti per capire quanto una squadra si trovi nella sua annata nera e quanto un’altra sia prossima all’ascensione in paradiso.

Ed ecco che risuona quel coro, scandito dai tifosi ferraresi, prima assieme alla squadra festante sotto al settore e poi nella fervida attesa di uscire, per riprendere la strada di casa. La Serie A non è matematica ma – in Emilia sono autorizzati a compiere qualsiasi gesto apotropaico – a questo punto soltanto un suicidio collettivo potrebbe togliere agli estensi un’incredibile promozione. Inaspettata. Forse ancor più inaspettata di quelle ottenute da Carpi e Frosinone due stagioni or sono. Proprio perché per tanti supporter biancazzurri già la Serie B rappresentava un traguardo superlativo. Proprio perché “quelli che hanno visto la Serie D” si stropicciavano gli occhi al pensiero di poter sventolare ed esibire i propri vessilli all’Arechi, al Partenio, al Bentegodi, al Menti, al Curi o al Rigamonti.

Ma il calcio cos’è se non un infinito rincorrersi di sorprese e coltellate alle spalle? Ci si esalta e ci si affossa, ma l’unica cosa che questo sport riesce ancora fedelmente a riflettere è l’imprevedibilità. O almeno è quello che a noi piace vedere e continuare a credere, almeno a giudicare dai continui casi di calcio scommesse che ormai nel nostro Paese non fanno più notizia.

Latina-Spal assume così i contorni di un vero e proprio crocevia per la stagione delle due formazioni. Lo sanno i ventidue in campo, lo sanno i tifosi sugli spalti. lo sa la Curva Nord, che decide di optare per una lieve contestazione iniziale: cinque minuti di sciopero, per poi entrare e sostenere la squadra fino al novantesimo. In questi anni su di loro ho sempre rimarcato un aspetto negativo: quello numerico. E alcuni positivi come la costanza e l’attaccamento alla maglia.

Ecco, credo che oggi la Nord sia stata l’estrema sintesi di tutto ciò.

“Scusate il ritardo, stamo già a perde?” è lo striscione con cui gli ultras pontini esordiscono. Prendendola con filosofia e un pizzico di spirito. La situazione preoccupa, non solo all’interno del rettangolo verde ma anche e soprattutto fuori, dove si sta cercando in tutti i modi di concretizzare il passaggio della società nelle mani di una nuova proprietà capeggiata da Benedetto Mancini.

In questo contesto di addensate difficoltà la curva ha risposto dando tutto il proprio appoggio ai giocatori. Per il bene comune. Benché la strada sia ormai compromessa e il distacco dalla zona salvezza (ma anche da quella playout) sia davvero difficile da colmare.

Ed è quindi di fronte a questo lento e irrefrenabile arrancare che viene a galla, beffarda, l’altro maschera del Dio pallone. Ha l’accento ferrarese e l’argento vivo addosso a tutti i suoi protagonisti. Hanno terminato i tagliandi del settore ospiti in poco tempo. Sì, magari è scontato, ma non dimentichiamoci mai da dove viene la Spal e quanto i suoi supporter abbiano dovuto peregrinare nell’universo – spesso anonimo – del calcio italiano. Hanno trovato l’amalgama. O forse la stanno ancora cercando.

Di certo vederli all’opera è sempre un piacere. Perché per ora sono una macchina perfetta, corroborata dai risultati e dall’entusiasmo di un’intera città che si è ricordata del’esistenza della sua storica squadra. Arriveranno tempi duri e là si vedrà cosa si raccoglierà dalla semina fatta in questi tempi? Sì, vero. Ma lasciatemi anche sottolineare quanto persino seminare, persino compiere un atto che tutti i “vecchi” ci hanno mostrato e trasmesso con orgoglio fino a qualche anno fa, è diventato un valore aggiunto imprescindibile – e spesso sorprendente – per dare una sterzata importante al proprio modo di essere tifoso.

Io quando guardo gli spallini ci vedo un po’ di tutto e capisco che la Ovest è diventata una grande famiglia che idealmente organizza pranzi ogni settimana all’ombra del Castello Estense.

E se riavvolgiamo il nastro, arrivando all’inizio di questo articolo, ci troveremmo quel coro che diventerà – giocoforza – la colonna sonora di queste ultime partite. Ma c’è ancora un filo conduttore a unire le due squadre, sebbene lo stesso sia contraddistinto da due cartelli che hanno frecce direzionali opposte: è quello del “per quelli che son stati sempre qui”. Questo è un vero e proprio “dogma” per gli ultras. Ed io credo ancora che sia giusto. Sacrosanto.

Simone Meloni