La mia prima partita del 2016, rimandata per tanto tempo, doveva necessariamente essere un qualcosa fuori dagli schemi. Omegna, il lago d’Orta, una squadra cestistica che dà notorietà a un centro altrimenti non conosciuto ai più.
Già da tempo avevo inquadrato questa partita. Poco più di un mese prima, davanti al Palatiziano di Roma, in una nottata amarcord con l’amico Simone, tra i vari impianti sportivi più rappresentativi della capitale, si rifletteva sullo spirito della trasferta. Asserii che, fossi stato un ultras della Virtus Roma, la mia trasferta dell’anno sarebbe stata proprio Omegna. Niente Trapani, ormai sin troppo abbordabile grazie ai voli low cost, e neanche Barcellona Pozzo di Gotto o Tortona. Omegna. Sulle rive di un lago suggestivo ma ancora poco noto al turismo di massa, dove trova ambientazione il romanzo “I numeri nella sabbia” dello scrittore irlandese Roger R. Talbot, libro letto qualche anno fa con molto gusto. Ecco, se il gruppo fosse stato il mio e avrebbe dovuto mettersi alla prova, per me Omegna sarebbe stato il banco.
Purtroppo, da ignorante della materia, non sapevo che da una decina di anni esatti Omegna gioca al Palabattisti di Verbania, situato a una quindicina di chilometri dalla sede naturale della squadra. Dopo un rapido controllo, un minimo di sconforto c’è stato, anche perché a Verbania sono già stato. Allora cerco una soluzione diversa dal solito e, per raggiungere il capoluogo di provincia piemontese, opto per mollare la macchina a Laveno Mombello e arrivare comodamente con 20 minuti di traghetto. La scelta si rivela suggestiva quanto economica.
Arrivo alle 18 a Laveno, col lago che promette calma assoluta e un tramonto non epico da ricordare ma ammiccante alla scenografia offerta dallo scorcio paesaggistico.
Arrivato a Verbania la prima cosa è misurare il tempo a piedi fino al Palabattisti, per evitarmi sorprese col traghetto di ritorno delle 23: un quarto d’ora netto. Constatando che due ore e mezzo prima al palazzetto c’è solo qualche epico dirigente rossoverde, comincio a riscoprire e a scoprire il capoluogo piemontese, consigliabile a tutti coloro che vogliono visitare un posto gradevole e un po’ ancora fuori dagli schemi della classica provincia italiana.
Dopo aver consumato gambe e suole delle scarpe in abbondanza, alle 20:15 decido che è ora di tornare al palazzetto e ritirare il mio accredito. Ovviamente, per ricordarmi l’inutilità della mia iscrizione all’Ordine, detto accredito non c’è, ma la questione si risolve in pochi minuti di cordialità.
Posso finalmente entrare nel vivo di questo match. La Virtus Roma non ha tanto bisogno di presentazioni, anche per la folta presenza su Sport People. Personalmente, sono felice di rivedere il mitico Coach Attilio Caja dopo una quindicina abbondante di anni: lo ricordo coi (pochi) capelli neri, ora sono completamente grigi. Lui è stato per 8 anni quasi ininterrotti l’uomo di una Virtus spettacolare e sanguigna, purtroppo sempre stoppatasi ai quarti di finale dei play-off scudetto.
Omegna, che io ricordi, penso sia la prima volta che venga raggiunta dalla nostra rivista, almeno in terra propria. 15.000 abitanti, esilio cestistico a Verbania in un palazzetto piccolo ma assai suggestivo (con due curve e due tribune), una storia passata tra la seconda serie del basket italiano e la quarta, con qualche parentesi più bassa a causa di qualche caduta inaspettata. Insomma, la passione per la pallacanestro non è nuova a questi lidi, e la tradizione è consolidata. Lo sponsor, Paffoni, fa riferimento direttamente all’attuale proprietà del sodalizio rossoverde.
Una novità assoluta per me è il tifo omegnese: per quanto la curva sia riempita di striscioni, il gruppo principale, forse unico, è “Quei bravi ragazzi”, composto da ragazzi assai giovani ma motivati. Quando entro nell’impianto loro sono già lì, a preparare la coreografia di ingresso.
I ragazzi di Roma arrivano in cinque unità e si posizionano nella curva opposta ai locali, appendendo il drappo delle Brigate con la sola sigla “BVR”: il cartellino è stato timbrato. Resta la sfida del tifo.
Ovviamente, su sponda piemontese, la gara ha un sapore storico, la sfida tra i due club è una prima assoluta. Per quanto non pienissimo, il Palabattisti viaggia su buone cifre, con le due tribune praticamente piene, qualche vuoto in Curva Matteo Bertolazzi (questo il nome del settore degli ultras di casa) e poche unità nella curva dove sono posizionati gli ospiti.
Dei ragazzi delle Brigate dico subito: resteranno in piedi tutta la partita, di tanto in tanto si faranno sentire e alla fine la squadra regala loro una gioia sicuramente meritata.
Dall’altra parte, qualche commento in più va fatto. La coreografia sicuramente risulta gradevole (un bandierone con dei lupi e una palla a spicchi in mezzo, e uno striscione che recita “Benvenuti nella tana dei lupi”, mentre i palloncini, a causa dei vuoti, non sortiscono l’effetto desiderato), e anche il tifo, nel complesso, si indirizza verso la sufficienza. I ragazzi rossoverdi ce la mettono tutta a sostenere il loro roster, ma i limiti sono evidenti. Magari è un po’ di inesperienza a certi palcoscenici, magari la giovane età, ma il coordinamento e la compattezza non sono dei migliori: alcuni ragazzi con la maglia del gruppo (nell’ambito di un numero già non alto di effettivi) sostano sotto al tabellone a vedersi la partita, e la presenza di bambini e trombette fa perdere molta consistenza al sostegno. Non che sia peccato, anzi, ma l’impostazione sembra più essere da appassionati di basket che da ultras veri e propri.
Sinceramente, dati i zero precedenti, non mi aspettavo le numerose offese dei padroni di casa agli ospiti, i quali decidono di non replicare e andare oltre. Si comincia con un “Dove sono gli ultrà” (da rimarcare l’assenza dei rossoverdi nella storica trasferta di Roma), per finire a un repertorio che si perde tra il controproducente e l’insignificante. Se il gruppo fosse stato un po’ più navigato, a parità di situazione, avrebbe probabilmente impostato la questione in un’altra maniera.
La partita, sin da subito, si tinge di giallorosso: se all’andata la Virtus ha avuto la meglio solo all’overtime, in questa gara domina dal primo all’ultimo minuto. Più che la bravura degli ospiti, a emergere sono stati i limiti tecnici del roster rossoverde, le cui giocate sono state condite da errori banali e la mancanza di cattiveria nell’andare sotto canestro per lunghi frangenti. La Virtus ha avuto veramente vita facile, salvo sudare qualcosina nel finale dove il cuore messo in campo dalla Fulgor colma parzialmente il gap, ma è troppo poco. Finisce 75-87.
Da annotare, in un clima forse sin troppo amatoriale, il non funzionamento del tabellone del tempo per la maggior parte della partita, il cui guasto (mai riparato) non mi permetterà di assistere ai 90 secondi finali.
La camminata a passo svelto mi consente di prendere in tranquillità il traghetto di ritorno, avvolto dai riflessi delle luci artificiali sul lago. La parte più bella del mio viaggio è stata proprio questa.
Stefano Severi.