E’ difficile scrivere un articolo sul Derby di Roma per un romano. Innanzitutto perché si tratta della mia prima stracittadina super partes, dalla tribuna stampa. Se da una parte ciò ti toglie molto dell’atmosfera, dall’altra ti dà l’opportunità di giudicare meglio e vedere anche le piccole imperfezioni che quando sei all’interno di una curva con 5.000 spettatori fai fatica a mettere a fuoco.

Un qualcosa è chiaro, almeno per me. Quello che viviamo da qualche anno a questa parte, è un surrogato del vero Derby della Capitale. Con la vendita delle tribune riservate ai soli abbonati e tesserati (da quest’anno con il porta 2 amici), le tante limitazioni imposte da Osservatorio e Prefetto e gli ampi buchi vuoti sugli spalti, sarei ipocrita se dicessi che si tratta di uno spettacolo bello e carico di fascino come un tempo. In settimana ho avuto la sfortuna di imbattermi in un articolo in cui si parlava di “stracittadina più bella d’Italia”. Mi spiace, ma penso che chi scrive questo, come si dice da questi parti, evidentemente ha gli occhi foderati di prosciutto.

Partiamo dai prezzi dei biglietti. Stabiliti dalla Roma e accordati, senza batter ciglio, dalla Lazio. Curve 35 Euro e Distinti 50. Con l’aggravante, stavolta, che il Distinto Nord lato Tribuna Tevere è stato posto in vendita solamente un giorno prima della gara, con il risultato che è sotto gli occhi di tutti. Alla fine sono 51.000 i paganti, e se questo è un numero attraverso il quale il derby della città più grande d’Italia, viene definito “stupendo”, allora io sono alto due metri.

Certo. Nello scenario grigio, torbido ed omologato delle curve italiane, è sempre bello vedere due tifoserie con striscioni e coreografie. Ma ritengo che questo sia più un qualcosa che fa comodo a televisioni e giornali. Perché “deve essere così”. Insomma, per farla breve, dal mio punto di vista il derby è finito nel 2007. Quello che si svolge ora ne è una versione in forma ridotta. “Per venire incontro alle vostre capacità mentali”, come diceva Luttazzi.

Arrivo attorno all’Olimpico quando mancano più di un paio d’ore al fischio d’inizio. La zona è chiaramente militarizzata e tutte le strade adiacenti sono state sapientemente chiuse dalla questura. Parcheggio in Piazza Mancini e manco il tempo di scendere che già i posteggiatori abusivi sono alle mie calcagna: “Capo me dai ‘n’ euro pe’ ‘r caffè”. Oggi è domenica, le striscione blu non si pagano. Visto che qua paghiamo pure l’aria che respiriamo, il caffè per me se lo può far fare con la moka dalla mamma. Per ripicca mi danneggia la macchina? E capirai. Quel catorcio di Panda 1000 che appena prende una buca fora e ti lascia a piedi. Ma facessero come gli pare. Mi sono talmente rotto le palle della mafietta libera e concessa di questa città che me ne sbatto altamente delle reazioni di questi tipi.

Detta tale divagazione, mi inoltro nel vialetto che porta fino a Ponte Duca D’Aosta. Solite scene con il “Borghettaro” che tenta di appiopparti la sua merce e le camionette della polizia schierate in mezzo alla strada. Mi avvio molto lentamente verso il ritiro degli accrediti “annusando” l’ambiente che si respira. La partita, tra l’altro, è molto importante. La Roma è seconda a un punto dalla Juventus mentre la Lazio è in un ottimo momento ed occupa la terza posizione. Il derby ha significato davvero poche volte scontro al vertice. Eppure quella palpitazione mista a tensione che si respirava fino a una decade fa è un po’ svanita. Lo so, me ne rendo conto.

Ci sono stati tanti motivi. Le nuove leggi, il tentativo di distruggere il tipico folklore romano (in parte riuscito), l’imborghesimento palese dei tifosi di Roma e Lazio ai quali, a volte, è bastato alzare una Coppa Italia piuttosto che una Supercoppa Italiana per dimenticare da dove vengono e cosa ha contribuito a rendere questa sfida unica nel suo genere; ci sono stati gli anni del post Gabriele Sandri, che per forza di cose hanno “avvicinato” le tifoserie nel ricordo di un qualcosa, come la vita umana, per giunta di un ragazzo della tua città, che è sempre più importante di una rivalità calcistica. E poi c’è la continua grancassa mediatica che ogni santissimo anno, ogni santissima volta, spreca fiumi e fiumi di inchiostro per parlare di piani per la sicurezza, pericolo incidenti, ultras teppisti e chi più ne ha più ne metta. Io resto dell’idea che se si volesse cominciare a tranquillizzare gli animi, si dovrebbe concedere ai tifosi di portar dentro le curve tutti gli strumenti per far tornare questo evento un qualcosa di “ludico”. Cominciando dai megafoni e passando per il materiale delle coreografie che troppe volte negli ultimi anni è stato negato. C’è stato addirittura un questore, Tagliente, che voleva “debellare per sempre” le scenografie.

Mi porto dentro lo stadio poco meno di un’ora prima del fischio d’inizio. Gli spalti si vanno man mano gremendo anche se, come detto, rimarranno dei buchi vistosi a rimarcare la poca intelligenza con la quale vengono gestiti tali eventi. Prima si invocano stadi pieni con le famiglie in prima linea, poi le si obbliga a pagare minimo 35 Euro (moltiplicate almeno per tre) per un settore da dove la partita praticamente non si vede. Ci sono nuclei famigliari che percepiscono tra gli 800 e i 1.100 Euro mensili, mi sembra alquanto improbabile che in una domenica sola decidano di spenderne minimo 105.

Le due curve mettono in mostra già diversi striscioni. E anche qua un appunto lo devo fare. Un tempo, la peculiarità di questa partita, erano gli striscioni di scherno. Un qualcosa che la differenziava da tutte le altre stracittadine perché sapeva mettere in mostra il sarcasmo, l’ironia e la strafottenza romana. Da una parte e dall’altra apparivano messaggi degni del miglior spettacolo comico di Aldo Fabrizi piuttosto che di Alberto Sordi. Roba su cui ridere per mesi. Era lo sfottò vero e proprio. Questo ormai non c’è più. La stragrande maggioranza degli striscioni sono esclusivamente collegati alle dinamiche ultras. Forse perché, effettivamente, non c’è più niente su cui ridere all’interno degli stadi.

Quando parte il “Roma, Roma, Roma” gli ultras si preparano a mostrare le loro scenografie, che calano non appena le due squadre fanno il loro ingresso in campo. Da parte romanista si è deciso di rappresentare tutti i capitani più significativi che hanno vestito la maglia giallorossa dal 1927 ad oggi, con lo sfondo di cartoncini con i colori sociali e la frase: “Figli di Roma, capitani e bandiere…questo è il mio vanto che non potrai mai avere!“, il tutto seguito, una volta calata la coreografia, dall’abbondante utilizzo della pirotecnica. Torce, fumogeni e bomboni in quantità industriale.

Su sponda laziale dapprima la curva si colora con bandierine biancocelesti, poi sulla Nord cala un telone sui cui è impressa una nave con la frase di Dante “Non isperate mai veder lo cielo: i vegno per menarvi l’altra riva“. Anche qui non mancano decine di torce e fumogeni che danno un effetto molto bello. Posso dirlo? Dal punto di vista del tifo è complessivamente la parte più bella della partita. E perlomeno ci tiene uniti con il passato glorioso di questa sfida.

I giocatori iniziano a calcare il terreno verde e dopo i primi dieci minuti mi viene in mente un’analisi che qualche tempo fa scrisse il nostro Giangiuseppe Gassi. Diceva più o meno: “si resta sempre nella grande mediocrità in cui è scivolato il movimento ultras italiano”. E’ vero, penso sia una delle cose più veritiere che abbia mai sentito negli ultimi anni in riferimento alle curve nostrane. Si fa il compitino e ci si entusiasma quando la propria squadra vince. Praticamente ormai è la squadra a trascinare gli ultras e non viceversa.

Non che lo spettacolo a cui assista sia osceno. Ma da sufficienza totale. Meglio i laziali nel primo tempo, con la squadra di Pioli che si porta sul 2-0 e meglio i romanisti nella ripresa, con la doppietta di Totti che consente alla Roma di riequilibrare il risultato. Sicuramente le esultanze di questa partita restano da incorniciare, lunghi boati che fanno tremare lo stadio e persone che si riversano le une sopra le altre.

Rimane questo del derby, mentre le squadre vanno a ringraziare i tifosi sotto le proprie curve e i tifosi si beccano prima di lasciare lo stadio. Per me resta una partita speciale di certo. Ma non ho più quella sensazione che me la faceva odiare già da una settimana prima. E’ forse anche questa disillusione che mi fa vedere tutto sotto un aspetto più critico e meno entusiasmante.

Testo Simone Meloni

Foto Cinzia Lmr