Cominciamo con una velata malinconia questo racconto. Una malinconia che, come spesso accade, marcia di pari passo con i tempi che cambiano e, inesorabilmente, spesso portano via pezzi di storia e vita vissuta. Inglobando la gioventù di molti e i ricordi dei “migliori anni” per altri. Con tutta probabilità questo Frosinone-Latina non verrà ricordato tanto per il risultato, quanto per essere stato l’ultimo disputato al Comunale di Via Mola Vecchia, anche conosciuto come stadio Matusa. “Il campo”, lo chiamano semplicemente da queste parti. Quel Bellator (il suo nome originario) che ha tante storie da raccontare; ha visto numerose generazioni di tifosi avvicendarsi e una squadra conoscere i fasti della Serie A, come l’onta del fallimento e i dilettanti. Dall’Ottaviano alla Juventus. Chissà se anche il suo cuore, posto esattamente sotto il centrocampo, si sarà sentito morire all’idea di non vedere più le due tifoserie confrontarsi, sentendo quell’adrenalina tipica di una sfida ormai unica nel suo genere, sotto tanti punti di vista. Un confronto aspro, vero, sentito in campo, che ha visto scendere sul prato verde icone del calcio italiano come Palanca e Altobelli, oppure il veterano Luciano Melloni, che con il Latina ha disputato ben dieci derby, il primatista Paolo Santarelli, attaccante ciociaro che ha castigato i rivali di sempre in sette occasioni o il double face Alfredo Orsini, unico a giocare il match con ambo le casacche.
Il derby del basso Lazio comincia ben prima che il direttore di gara fischi il calcio d’inizio, in questo sabato dove le nuvole spingono per far scrosciare acqua sul capoluogo ciociaro. Il derby non finisce mai, se consideriamo che durante l’anno le schermaglie, sotto forma di striscioni, si susseguono corpulente. Ironia, invettiva, sana cattiveria e rivalità campanilistica. Tutto quello che vorrebbero estirpare dal mondo del pallone vive nell’eterna sfida tra giallazzurri e nerazzurri. E ovviamente tocca l’apice nella settimana che precede la sfida. C’è un qualcosa di profondamente retrò in tutto ciò, dagli sfottò all’avvicinamento al match. C’è un qualcosa che profuma di calcio e semplicità.
Ironia della sorte in contemporanea si giocano altri due derby: quello di Manchester e quello di Glasgow. È in particolar modo il primo, per ovvie ragioni di brand televisivo, a richiamare l’attenzione di tutti. Guardiola contro Mourinho è il mantra che deve ammaliare le folle e incollare milioni di occhi davanti alle tv. Mi fa sorridere pensarlo, proprio mentre la macchina corre veloce in autostrada, proprio mentre mi convinco di quando sia meglio andar a vedere una partita della Juniores dietro casa piuttosto che passare il pomeriggio incollato al plasma. E non perché fedele a slogan del calibro “Questo calcio ci fa Skyfo”, ma perché impossibilitato a capire dove sia il fascino, il gusto e il divertimento nel vivere qualcosa che non si tasta, non si annusa e non ti inebria minimamente.
Le lancette dell’orologio puntano all’unisono sul numero 12. Mezzogiorno, e già al casello di Frosinone è presente un ingente schieramento di polizia. Aspettano l’arrivo dei pullman da Latina. Tiro dritto e riesco a trovare posto solo a un chilometro dallo stadio. Già molti tifosi, infatti, sono radunati fuori la Curva Nord. Come succede sempre in questi casi, aspettano il pullman della squadra per spronare i giocatori. Fa parte di quel folklore e di quelle tradizione di cui sopra. Lo ammetto candidamente, da romano ho sempre avuto al centro dei miei pensieri il derby della mia città. Non lo rinnego e, per ovvie ragioni, rimane impareggiabile visto il coinvolgimento emotivo, ma è un peccato aver lasciato questa sfida ai margini dei miei interessi, trascurandone gli usi e i costumi per tanti anni. Me ne accorgo osservando il miscuglio umano in attesa dei ragazzi di Marino, armato di fumogeni e bandiere. Ci sono tutti, dagli ultras alle famigliole dei Distinti. Persino gli autisti dei pullman della Cotral, incastrati nel groviglio, la prendono a ridere. In altre sedi, con l’aria che tira, avrebbero probabilmente richiesto l’intervento della forza pubblica. Alfieri di un’esasperazione che in tante parti d’Italia ha tolto la gioia e la spensieratezza di vivere giornate come queste. La composizione variegata ci ricorda una cosa: la passione è innocua, anche se a tinte forte, e perché il calcio torni a essere un prodotto decente, i tifosi vanno lasciati liberi di esprimerla.
Consumato il rito dell’accoglienza al pullman, la folla si disperde riversandosi verso gli accessi. I vecchi palazzi attorno al Matusa sono imbandierati, come ormai accade da qualche anno a questa parte. Una coppia di sposi passa davanti allo stadio a bordo di una 500 anni ’60, con dei barattoli attaccati dietro, come si usava un tempo. I novelli coniugi si affacciano dal tettino e dai tanti ragazzi di curva appostati là vicino partono i prevedibili cori di dileggio nei confronti della consorte, che probabilmente avrà maledetto l’idea di passare proprio là. O, se intelligente e dotata di spirito, si sarà fatta una risata entrando appieno nello status mentale della situazione.
Mi incammino verso il botteghino, notando come l’accesso al settore ospiti sia sbarrato in stile big-match di Serie A. La questura locale come sempre ha minacciato Daspo per chiunque si presentasse oltre i prefiltraggi senza biglietto (che poi non si capisce come faccia un tifoso senza biglietto a superare il primo filtraggio, visti i controlli meticolosi), obbligando i tifosi pontini, di concerto con GOS e Osservatorio, ad entrare almeno un’ora prima del fischio d’inizio. Inutile dire che l’ingresso completo avverrà solo qualche minuto prima dell’inizio, e ancor più inutile chiedersi a cosa serva porre tali prescrizioni quando per i supporter nerazzurri è stato predisposto un percorso iper controllato e attorno al Matusa il dispositivo di sicurezza sia a dir poco impressionante. Viene quasi il dubbio che questo atteggiamento serva a foraggiare una sorta di terrorismo psicologico di cui le Questure si servono per scoraggiare l’afflusso della gente sulle gradinate. Ma ovviamente è soltanto un cattivo pensiero, accresciuto dalla nota malafede e sfiducia che attanagliano il sottoscritto.
Comunque oggi lo spazio di lamentela dedicato alla gestione dell’ordine pubblico è limitato, proprio perché voglio cogliere tutto il bello di questa giornata. Una mezz’ora prima del fischio d’inizio supero i varchi d’accesso. I biglietti sono stati polverizzati in un paio di giorni, mentre dall’Agro Pontino sono attesi circa 1.300 tifosi. Dopo l’ultimo derby, a ranghi ridotti, causa rinvio, questa volta l’impatto sarà differente e anche sugli spalti la sfida si potrà dire completa. Qui non importa a nessuno se l’anno scorso si giocava contro la Juve, l’Inter e il Milan. La rivalità per antonomasia rimane con il Latina, del resto i cori a tema non sono mancati neanche lo scorso anno. Neanche quando ci si poteva stropicciare gli occhi di fronte alle stelle del calcio italiano. Ed è proprio questo il punto cardine del confronto: la rivalità è profonda, insita nelle due tifoserie e va ben oltre il calcio. Pontini e ciociari si detestano, e non fanno nulla per nasconderlo. Da una parte ci sono quelli “del paesello”, i “pecorari”, dall’altra i “bufalari”, quelli “senza storia”. Questi alcuni tra gli epiteti più gettonati. Nei cori e negli striscioni. Perché il sentimento è diffuso anche in chi non segue il calcio. Il classico spirito del campanile italiano è quello che creerebbe contrapposizione anche se i due schieramenti si confrontassero a scacchi o a badminton.
Piombo in un ambiente antisportivo su ambo i lati, ostile, appassionato, sboccato e contro le regole del bon-ton. E a me non solo va bene, ma piace moltissimo. Il settore ospiti si riempie e i nerazzurri si compattano, qualche minuto prima della gara cominciano le invettive. Seguite da tutti i presenti. Questo è un derby delle gente, e non solo degli ultras come ormai accade spesso. Su ambo i fronti si è saputo tener vivo un sentimento popolare che dura da quasi un secolo, e allora si aprano le danze e si alzi il sipario. Queste sono state e sono tutt’oggi terre millenarie e ricche di tradizioni. Tra centro e sud, tra grandi città e zone rurali, tra la modernità esasperata che cancella le tue origini e la voglia di rimanere attaccato alla propria terra. Sottovalutate, certo, perché la vicinanza di Roma ha spesso fagocitato (a livello politico ed economico) tutto l’interesse per il resto di una regione “nuda come sempre”, ricalcando una celebre canzone di Francesco De Gregori.
Ecco le due squadre sbucare dal tunnel e le coreografie comporsi nelle due curve. Semplice ma ben riuscita quella dei nerazzurri. Tante bandierine compongono i colori blu, bianco e nero e uno striscione sotto recita: “Lei la mia vita, questi i miei colori”. Più arzigogolata quella della Nord, che inizialmente presenta una fotosequenza dei quattro gol che il 2 novembre 2014 permisero ai canarini di sbancare il Francioni, per poi lasciare spazio ai cartoncini che formerebbero la scritta “Mai una gioia”, ma a onor del vero va detto che quest’ultima non è riuscita alla perfezione.
Assolti i doveri coreografici le due fazioni possono ora sfidarsi a suon di cori. Sugli ospiti c’è subito da sottolineare l’ottima presenza numerica e i primi 65′ davvero su buoni livelli. Voce tenuta sempre in alto e tanto movimento con le mani, colorato anche da una bella sciarpata e potenti cori a rispondere, spesso di insulto, che trovano la pronta risposta dei dirimpettai infiammando l’ambiente. Ovvio, queste un tempo erano partite dove torce e fumogeni spadroneggiavano, ma non posso biasimare chi ha deciso di non rovinarsi la vita per introdurre di soppiatto uno di questi oggetti. Piuttosto me la prendo con chi li ha demonizzati, dando spazio a tutta la propria ottusità mentale e non capendo quanto fossero parte integrante dello spettacolo.
Su fronte giallazzurro si parte subito con una bella sciarpata sulle note dell’inno e dopo la coreografia il tifo non scenderà mai sotto la sufficienza. I cori vengono seguiti quasi sempre da tutto il settore e l’incessante sventolio dei bandieroni colora il settore in maniera omogenea. Come sempre in queste occasioni, uno dei momenti chiave è rappresentato dalle esultanze. I ciociari trovano il vantaggio nella ripresa con Dionisi, e tutto lo stadio si produce in un bel boato. Qualche minuto dopo arriva anche il raddoppio, sempre ad opera dell’attaccante reatino, e a questo punto il Matusa è una bolgia. I tifosi ospiti cadono per qualche minuto nello sconforto, attaccandosi verbalmente con i Distinti. Tutto nella norma per una partita così sentita, e io credo sia anche giusto che il risultato possa incidere in minima parte sulla prestazione canora. Del resto l’anima del tifo italiano è fortemente legata anche al campo e, a differenza di quanto avviene in alcuni Paesi dell’Est, ad esempio, non c’è la tendenza a esser freddi robot che tifano senza anima e senza sussulti agli avvenimenti calcistici. È derby anche per questo. È derby anche per i cori contro l’ormai storico portiere di riserva giallazzurro Zappino, il primo ad esultare sotto la Nord ai gol dei suoi compagni, così come quelli contro Perin dall’altra parte. Storie simili con avversari opposti. Portieri che si sono incarnati nello spirito di curva e non hanno fatto nulla per nasconderlo. E perché dovrebbero?
Il Latina accorcia le distanze con Acosty, il settore ospiti torna a sperare, anche in virtù dei 6 minuti di recupero assegnati dall’arbitro. Ma il risultato non cambia, il derby del basso Lazio va al Frosinone, per il giubilo dei propri sostenitori che ringraziano a gran voce la squadra. Ci sarà tempo per altri sfottò, attendendo la gara di ritorno e continuando a vivere questa rivalità senza fronzoli e senza puzza sotto al naso. Certo, ci mancherà come l’aria quell’accoppiata Matusa–Francioni, che a 50 km di distanza per tanti anni si sono scambiati anch’essi insulti e lettere al vetriolo sulla supremazia dell’uno rispetto all’altro. Questo scambio epistolare è destinato a morire, ma siamo fiduciosi che sopravviva in tutti i tifosi l’anima di un calcio ormai quasi scomparso. Forse un po’ retrogrado, sicuramente non da prime pagine. Ma bello proprio perché romantico e non funestato dal moralismo che sempre più stritola la nostra società e i nostri sogni di eterna gioventù. Dio benedica Frosinone-Latina.
Simone Meloni.