“Tutta Garbatella brillava al sole: le strade in salita coi giardinetti in fila, le case coi tetti spioventi e i cornicioni a piatti cucinati, i mucchi di palazzoni marone con centinaia di finestrelle e abbaini, e le grandi piazzette cogli archi e i portici di roccia finta intorno. In una di queste piazzette, al capolinea del tram accanto ad un cinemetto dei preti, Tommaso spipettava nervosamente, tutto apparecchiato, aspettando Irene”. Non ci sono più i cornicioni a piatti cucinati alla Garbatella, almeno da quando il progresso c’ha obbligati ad una vita irrequieta e un’alimentazione altrettanto rapida e insipida, né l’attesa al capolinea del tram del giovane Tommaso e della sua bella Irene, protagonisti di quel “Una vita violenta” (1959), capolavoro assoluto partorito dalla sublime Olivetti Lettera 22 che fu di un tal Pier Paolo Pasolini.
E un omaggio a Pa’ è obbligatorio dopo gli avvenimenti di ieri, in seguito alla devastazione della stele dedicata ad una delle menti più brillanti del Novecento italiano, e non solo. “La morte non ha né colori né bandiere”, recitava uno striscione della Curva Sud giallorossa dell’ottobre 2013. Ma vaglielo a spiegare ai ragazzi di Militia, così forti da prendersela con un monumento ad un morto col fine di sradicare il ricordo di un “frocio e pedofilo”, come l’hanno definito a chiare lettere, fieri e tronfi. Non ce la faranno mai, purtroppo per loro, perché PPP ha lasciato qualcosa che non può essere cancellato con la barbarie e la menzogna, la stessa che a distanza di anni ancora avvolge la misteriosa vicenda relativa alla sua morte.
Torniamo alla Garbatella e alle sue piazzette, precisamente in Piazza Giovanni da Triora 12, dove nella giornata di ieri presso il Teatro Ambra si è tenuto l’evento “#Ricominciamo”, promosso da My Roma, l’azionariato popolare dei tifosi romanisti, a cui hanno preso parte anche l’avvocato Lorenzo Contucci e il nuovo responsabile dello SLO (Support Liaison Officer, organo addetto al rapporto fra tifoseria e società) Sebino Nela. Un primo passo per tentare di risolvere l’annoso problema relativo alla lotta a tutto spiano nei confronti del tifo popolare, caloroso e folkloristico delle due squadre romane. Diverse tematiche toccate, dalle barriere che hanno diviso in due il cuore del tifo al caro-biglietti fino alle sproporzionate misure attuate dalle Fdo per garantire l’ordine pubblico. Un confronto faccia a faccia, l’unica arma rimasta per contrastare la falsa socializzazione della quale ormai siamo prigionieri o forse nella quale ci siamo volontariamente rinchiusi.
Ma facciamo un passo indietro, perché in mattinata in occasione della mostra ‘Antiquorum Habet’ aveva parlato – ancora una volta – il Prefetto di Roma Franco Gabrielli, regalandoci l’ennesima distorta versione della realtà. “Il derby sarà un appuntamento importante per questa città, ci auspichiamo che tutto si svolga nella massima tranquillità”, come se 20mila e poco più tifosi e la doppia assenza delle due Curve potessero creare particolari disagi agli irreprensibili gestori della “safety”, i quali hanno addirittura annunciato di aver introdotto un nuovo strumento per contrastare il disordine: le unità dei reparti a cavallo. Inutile sottolineare come queste siano state impiegate anche in passato, sarebbe sgradevole rovinare la percezione che questi signori hanno di loro stessi. E Gabrielli ha quindi aggiunto, reiterando l’ormai nota filastrocca infantile del se fai il bravo e i compiti, allora potrai scendere a giocare a pallone con gli amici: “I tifosi tornino in Curva e rispettino le regole, solo così le barriere verranno tolte. Ma si potranno anche rimettere perché lo stadio è un luogo di pubblico spettacolo che risponde alla legge del Paese”.
Inutile replicare, futile farsi ancor di più il sangue amaro. Ormai questo disco rotto e ripetitivo non merita neanche il sottolineare l’inutilità di questi provvedimenti e, soprattutto, dei suoi artefici. Chi ha voluto comprendere davvero i motivi della protesta già sa, per tutti gli altri – quelli convinti della bontà di tali azioni – consiglio di leggere la fantasiosa intervista a Luca Di Bartolomei, primogenito del compianto Agostino e attuale responsabile Sport del PD. Tale padre, non tale figlio. Verrebbe da dire.
Il Derby non è più l’evento che fomentava gli animi cittadini con settimane d’anticipo, ma non tutti sono pronti a lasciare il passo al nuovo che avanza. Al SuperUomo moderno, che recita le sue preghiere politically correct stringendo nelle mani il rosario del più bieco radical chicchismo imposto a gran voce da personaggi che, di ‘correct’ hanno poco o nulla. E allora ben vengano gli incontri per promuovere una nuova unione fra i tifosi romanisti, in cui il sostenitore di Curva Sud può discutere anche animatamente con il “collega” di Tribuna Tevere. In fondo abbiamo scordato troppo velocemente che c’è un amoR che ci ha resi tutti uguali: neri e bianchi, rossi e neri, eterosessuali e omosessuali, cristiani ed atei. E Pier Paolo Pasolini avrebbe di certo gradito il dibattito fra quei ragazzi di strada che tanto ha amato, quella gioventù irrequieta che sogna di poter tornare a casa, in quel settore che ha cresciuto generazioni di romani e che ora, in nome della sicurezza di facciata e delle scalate professionali, sarà lo specchio di un Derby insolito, doloroso e in un impianto mestamente deserto.
Dopo due ore abbondanti di domande, confronti e risposte, arriva il momento dei saluti alla Garbatella. “Ci vediamo domenica a Testaccio”, sussurrano i ragazzi uscendo dal Teatro Ambra, già proiettati con la mente e con il cuore alle 13:30 del dì che fu del calcio popolare, i quali si ritroveranno davanti al primo teatro del tifo che ha reso la Roma una società conosciuta in tutto il mondo, per poi assistere tutti insieme alla stracittadina. Da cittadini liberi. Perché non c’è futuro per chi dimentica il passato. E allora quell’identità e appartenenza che sembrano ormai unicorni in mezzo ad un gregge obbediente, fioriranno di nuovo davanti allo storico impianto in cui in un tempo ormai lontano il popolo si è innalzato a protagonista assoluto di questo sport.
Nonostante i venti contrari, i protagonisti di questa “Storia sbagliata” continueranno la loro protesta, lottando per ridare al calcio la sua dimensione popolare e naturale. Per farlo tornare ad essere quella “rappresentazione sacra” tanto cara a quella mancata ala mancina nata a Bologna, che sognava di emulare Giacomo Bulgarelli correndo palla al piede nei campetti di Pietralata insieme ai suoi ragazzi di strada. I cui figli oggi chiedono solo di poter tifare liberamente, per garantire a chi arriverà dopo di loro di poter dire un giorno: “Io l’ho visto un Derby di Roma, ma non ricordo cosa sia successo in campo. Ero troppo impegnato a guardare gli ultrà”.
Gianvittorio De Gennaro