La necessità di non frequentare sempre e comunque campionati professionistici è un qualcosa che non ho mai nascosto. Anzi, al cosiddetto “calcio minore” devo tanto in termini di esperienza, conoscenze e divertimento. Pertanto è sempre un piacere tornare a calpestare i campi scalcinati e fangosi della Promozione, come in questo caso.
Approfittando del comodo collegamento in treno, raggiungo Roccasecca un’oretta prima del fischio d’inizio. Sono incuriosito dal vedere all’opera la tifoseria locale, tornata quest’anno sugli spalti dopo alcune stagioni di assenza a causa della masnada di Daspo ricevuti in passato. Inoltre di fronte c’è il Formia, una delle nobili decadute del calcio laziale che da ormai troppo tempo non riesce a risalire la china, “regalando” alla propria tifoseria soltanto delusioni e campionati anonimi.
Roccasecca è situata esattamente fra Frosinone e Cassino ed è celebre per aver dato i natali a San Tommaso D’Aquino, tanto che nel nome completo della squadra locale si può notare l’acronimo T.S.T., che sta per Terra di San Tommaso. Come nella maggior parte di questi paesini del Basso Lazio, il campo si trova a valle, poco lontano dalla stazione, mentre arroccato sulla montagna spicca il paese vecchio.
È domenica e per le strade c’è pochissima gente, l’unico brusio che si avverte è quello dei tifosi. Che si fa sempre più corposo avvicinandosi allo stadio. Qua non c’è bisogno di un documento per entrare, non ci sono barriere e prefiltraggi, le perquisizioni sono assai blande e il clima è veramente rilassato. Il tutto lontano anni luce dai bunker pronti ad accogliere i tifosi delle massime categorie.
Mentre un cagnolino entra tranquillamente sugli spalti, i ragazzi di Formia si divertono improvvisando una partitella con un pallone raccattato nella loro porzione di “tribuna”, che consiste in un semplice spiazzo. I supporter ciociari prendono posto quando mancano una decina di minuti al fischio d’inizio, formando sin da subito una bella macchia dietro le loro pezze, tra cui risalta ovviamente quella della Brigata, insegna portante del tifo roccaseccano.
Tra le due tifoserie esiste un rapporto d’amicizia e in diverse fasi della gara gli ultras si scambieranno cori di rispetto.
Un aspetto che rimprovero spesso alle tifoserie laziali è senza dubbio quello dell’incostanza. In tante occasioni gruppi nascono, scompaiono, riappaiono e poi – di grazia – scompaiono nuovamente. Di certo questa è una critica che non si può fare ai formiani. Negli anni almeno una loro pezza ha sempre seguito la compagine tirrenica, malgrado – come detto – di soddisfazioni ne abbiano avute davvero poche.
Mi ritrovo di fronte loro a due anni di distanza dall’ultima volta. Si giocava a Cassino – il derby per eccellenza – e mi fecero tutto sommato una buona impressione. Andando indietro con gli anni, invece, ho ricordi buoni dei “vecchi” formiani visti a Terracina e in casa contro l’Aversa, in un’amichevole. Il ricambio generazionale – almeno a giudicare dal contingente attuale – è stato importante. Dietro le pezze si notano quasi tutti ragazzi, il che è ovviamente lodevole se si pensa alla difficoltà attuale nel coinvolgere la gioventù in tema stadio.
Di contro – e lo dico per essere sincero – rimarrò un po’ deluso dal tifo complessivo. Cori sporadici che difficilmente trovano una continuità e trasmettono complessivamente una sensazione di fiacchezza e di una presenza non corroborata dalla motivazione di voler primeggiare a livello canoro.
Sicuramente il poco appeal calcistico offerto dal Formia in questi anni non volge ad appannaggio dell’entusiasmo. Capisco bene che per una città che vanta un passato in C ed è una delle più grandi della zona, occorra giocoforza una spinta propulsiva proveniente dal manto verde. Perché, ahinoi, i risultati contano eccome se si vuol instaurare un rapporto aggregativo e costruttivo con la propria realtà urbana.
Di contro, chi sicuramente è in grande spolvero a livello di tifo, sono gli ultras di casa. Davvero poco da dire: per 90′ i ragazzi di Roccasecca cantano, si mettono in evidenza con manate e sciarpate e fanno rimbombare la propria voce nella piccola e graziosa tribuna coperta che li ospita. Ho apprezzato, in particolar modo, il coordinamento dei lanciacori. Sempre in sintonia con i momenti della partita e attenti al ritmo con cui i cori venivano eseguiti. Potranno anche essere stupidaggini, ma considerata la sciatteria con cui spesso alcune curve affrontano i propri impegni, va senza dubbio lodato.
Quello che si evince osservando i roccaseccani è quanto il gruppo sia ben radicato nella propria realtà cittadina. È chiaro che la Brigata rappresenta non solo un manipolo di ragazzi con cui seguire la partita, ma un vero e proprio polo d’aggregazione per il paese. Questo fa sì che la vita “comunitaria” continui ben oltre lo stadio. Una vera e propria comitiva itinerante che trova il proprio sfogo naturale sulle gradinate. Divertendosi e facendo divertire anche chi osserva il loro spettacolo dall’esterno.
È chiaro che il cruccio fondamentale della questione sarà la continuità che questi ragazzi sapranno garantire. Al netto di diffide e repressione passata, sarà importante mantenere ritmo e coinvolgimento anche a lungo termine. L’aggregazione “di paese” è un elemento invidiabile per la coesione che riesce a creare, ma purtroppo sappiamo anche come possa diventare arma a doppio taglio a causa dei tanti ragazzi che spesso, crescendo, abbandonano la provincia italiana per motivi di forza maggiore o non riescono a star dietro ad un impegno come quello del gruppo ultras.
Ovviamente il mio è un discorso generale, che fa leva proprio su quanto visto in questa domenica di ottobre. La Roccasecca calcistica ha ritrovato uno dei suoi patrimoni. Ragazzi che stanno facendo un grande lavoro e a cui, a prescindere da tutto, posso soltanto augurare di continuare a crescere per rinvigorire il panorama delle tifoserie laziali.
Simone Meloni