Le statue di due cervi, un maschio e una femmina, poste sulle colonne dove una volta poggiavano i piedi del Colosso, accolgono i naviganti che entrano nel porto di Rodi. Accanto a esso la città vecchia avvolta dalle mura medievali è scaldata dal sole e i turisti riempiono le strade e i tanti negozi pronti a vendere souvenir o prodotti tipici.

A poche centinaia di metri si erge il Diagoras Stadium, fatto costruire nel 1932 dalle autorità italiane (all’epoca le isole del Dodecaneso furono annesse al Regno d’Italia in seguito al trattato di Losanna del 1923) con progetto dell’architetto Armando Bernabiti, una figura che sull’isola ha lasciato un’impronta forte e ancora presente sotto tanti punti di vista. Anche l’Acquario, ad esempio, è opera sua. Per la costruzione dell’impianto l’architetto italiano si basò su un antico stadio ellenico a forma di U, con tribune su tre lati. Inizialmente l’impianto venne intitolato Arena Del Sole ma successivamente, nel 1936, con il cambio di comandante del Dodecaneso italiano, fu ribattezzato “Stadio Mussolini”, anche se a oggi non si hanno fonti certe che ne confermano la veridicità. Di certo la sua costruzione è dovuta alla volontà del regime di implementare l’attività fisica e il culto dello sport in una zona che all’epoca era ritenuta uno degli avamposti coloniali del Regno. Di fatto, ancora oggi, fra i più anziani è diffusa una discreta conoscenza dell’italiano e – non avendo subito la parte guerrafondaia e critica del fascismo – una certa gratitudine nei confronti degli italiani, che in eredità hanno lasciato buona parte della rete stradale e delle architetture presenti.

Verso la fine della seconda guerra mondiale l’impianto fu chiamato Diagoras, dall’antico pugile Diagoras di Rodi. All’inizio degli anni ’80 il muro esterno dello stadio era di circa 2.5 metri, successivamente venne raddoppiato, perdendo così la sua forma originaria. La capacità massima è stata di 8.500 persone mentre quella attuale è di 3.693 posti. A oggi oltre ad essere il primo stadio di calcio dell’isola è stato progettato ed è utilizzato anche per il ciclismo ed è dotato di campi di allenamento ausiliari collocati accanto ma all’interno delle stesse mura, un classico degli impianti costruiti in epoca fascista dove si tendeva a realizzare strutture polifunzionali, mettendo lo sport al centro della vita dell’epoca. Resta sicuramente d’impatto osservare i rodioti solcare spensieratamente il velodromo con le loro biciclette, segno della vitalità di un’isola che mantiene stretta la propria identità malgrado il pericolo di un annacquamento culturale e identitario dovuto al turismo di massa.

Lo stadio è utilizzato dal Diagoras Rodou e dal Rodos FC. Le due squadre militano rispettivamente in seconda e terza divisione del campionato greco. Il Diagoras è stato fondato agli inizi del ‘900 ma a causa delle vaste attività sociali, culturali, sportive e soprattutto patriottiche del club, le autorità fasciste italiane occupanti decisero di scioglierlo nel 1929. Venne rifondato nel 1945, appena prima della liberazione di Rodi e dell’annessione al resto della Grecia. Il club ha partecipato per tre stagioni alla prima divisione a fine anni ’80 e ha raggiunto la semifinale di coppa di Grecia nel 1986.

Il Rodos invece nacque nel 1963 dalla fusione di tre club. Iniziò in seconda divisione ma dopo pochi anni, nel 1979, ottenne la promozione in prima divisione. Negli ultimi anni ha partecipato alla terza divisione con eccezione della stagione 2009-2010 dove è stata promossa in Super League 2.
Negli anni le due squadre hanno calcato poco e nulla i campi della Super League greca ma nonostante ciò il senso di appartenenza e l’attaccamento a questa terra hanno tenuto viva nei due club e nei loro tifosi la speranza che un giorno possano tornare nel calcio dei grandi e magari poter sfidare nuovamente le grandi di Atene, verso cui, ovviamente, propende la stragrande maggioranza di cittadini locali.

Ciononostante anche a Rodi il germoglio ultras ha saputo affiancare le compagini locali. Il Gate 6, infatti, è ufficialmente il gruppo che segue le sorti del Diagoras, mentre la sponda biancoverde dell’isola – quella del Rodos FC – si riconosce dietro le insegne di Kakia Skala (Scala del Male). Il derby tra le due squadre è seguito praticamente da tutti e rappresenta il massimo momento calcistico locale, con le due fazioni che danno spettacolo a suon di canti e pirotecnica, tanto da autoproclamarsi le regine calcistiche del Dodecaneso. Un modo di vivere che rispecchia appieno la follia ellenica attorno allo sport e che restituisce a Rodi un’immagine forse poco conosciuta al di fuori dei confini nazionali.

Come detto, tuttavia, i grandi club nazionali sono seguitissimi, probabilmente affianco a quelli locali. Basta farsi un giro per le strade dell’isola, infatti, per imbattersi in numerosi murales delle sezioni autoctone del Gate 13 del Panathinaikos, degli Original 21 dell’AEK e del Gate 7 dell’Olympiakos. Se si pensa che da qui la Capitale dista ben dodici ore di navigazione (in linea d’aria circa seicento chilometri) e che le coste della Turchia sono più vicine rispetto a quelle del Pireo, si capisce ancor più quanto sul territorio ellenico sia radicata la passione per le cinque grandi squadre di Atene e Salonicco. C’è poi da evidenziare come in molti, storicamente, si siano trasferiti dalle isole ai grandi centri sulla terraferma, cosa che ha favorito lo sviluppo di un filo conduttore tra città e isole, anche quelle più remote. In tutto ciò, ovviamente, il calcio funge ancor più da collante. E così è più che comune scorgere la scritta Rodos tra gli striscioni affissi nei vari eventi sportivi seguiti dalle tifoserie ateniesi.

Rodi, celebre nel Vecchio Continente per il suo mare cristallino e le sue spiagge accoglienti e discrete, può anche essere un interessante punto di partenza per approfondire l’identità calcistica greca al di fuori dei grandi circuiti tradizionali. Per chi si sfama di pallone, tifo e “strane storia”, il tutto è certamente un tassello in più da inserire nel proprio mosaico conoscitivo.

Marco Meloni