Il pompiere piegato sulla pista d’atletica, nell’atto di raccogliere una torcia volata in maniera truffaldina sul tartan, rimanda a fasti antichi. Quando quello spazio che divide il campo dagli spalti si trasformava in una vera e propria polveriera, in grado di dar vita a spettacoli pirotecnici invidiati in mezza Europa. Ricordo con somma nostalgia quei derby in cui tornavo a casa perennemente col giacchetto bucato dalle scintille e i polmoni intrisi del magico odore che ha simboleggiato la mia adolescenza.

A quel pompiere voglio un bene dell’anima. Perché l’ho sempre visto come il papà che, senza far morali e senza scambiare una innocua “torcetta” per un attentato dinamitardo, si limita a porre rimedio alla marachella del figlio. Conscio che ce ne saranno altre. E tutto sommato anche divertito da ciò.

Gli anni sono cambiati e la mentalità degli italiani inesorabilmente peggiorata a tal merito. Sfogliando un manuale di diritto o leggendo alcune sentenze relative a reati di stadio (tra cui, per l’appunto, l’uso della pirotecnica) a volte viene da dire che si hanno più possibilità di farla franca compiendo una rapina persino rispetto alla trasgressione del regolamento d’uso dello stadio. Ma tant’è.

Roma-Bologna è partita dal sapore antico e dalla rivalità che ha caratterizzato gli anni 2000. Figlia di un gemellaggio sentito, divenuto odio per i noti fatti risalenti a quel Bologna-Chievo del 2 giugno 1996. Storie di vita e di curva passate agli annali. Che hanno infiammato tante partite tra rossoblu e giallorossi.

Si gioca praticamente ogni tre giorni in questo periodo e se la cosa da un lato aggrada il mio lato masochistico, dall’altra costringe ad aumentare i miei bioritmi in funzione delle partite e dei lunghi e tortuosi movimenti all’interno di una Roma sempre più stretta dall’isterismo e sempre meno a misura d’uomo. Un aspetto che poi, se andiamo a vedere, si riflette anche all’interno e all’esterno dello stadio. Dove questi lati “oscuri” dell’Urbe vengono persino esacerbati dai cervelloni che di anno in anno peggiorano le condizioni di fruibilità dello stadio. Ormai è consuetudine, per esempio, imbattersi in automobilisti in preda alla blasfemia congenita a causa della mancanza di posti dove parcheggiare. Farebbe persino ridere, se non ci fosse da fare un serio ragionamento logistico e di buon senso.

Come sempre la media spettatori a Via dei Gladiatori si aggira attorno alle 30.000 presenze. Del resto – e lo sottolineerò fino alla morte – il caro biglietti, sommato a quanto detto sopra e a orari spesso improponibili, non gioca a favore di una massiccia affluenza. I 35 Euro più prevendita pagati dai tifosi bolognesi sono a dir poco fuori luogo. E se è vero che numericamente avrebbero potuto fare di più, c’è anche da tenere conto che spendere 100/120 Euro per una trasferta a Roma (quindi relativamente vicino) pesa a molti. Aumentano i prezzi, diminuiscono i servizi e cala di anno in anno il livello del nostro sport nazionale. Non c’è da scervellarci se il nostro movimento calcistico rischia di non qualificarsi ai Mondiali. Ciò che si fa in vita riecheggia nell’eternità, diceva una celebre frase di quella pacchiana americanata chiamata “Il Gladiatore” (sic!).

A questo va aggiunto anche l’ormai tristemente “classico” disinnamoramento dagli spalti e dalle gradinate.

Riflettevo con il mio vicino di tribuna stampa su come ormai anche a queste latitudini ci sia chi è solito sottoscrivere un abbonamento per poi scegliere le partite da seguire. Saltandone alcune. Per carità, in questi anni chi ha letto i miei articoli avrà sempre compreso come non ami dividere i tifosi in categorie o assegnare patenti, ma posso tranquillamente ricordare i miei primi abbonamenti e la gelosia con cui li custodivo dentro casa. Le file per acquistarli e l’orgoglio di sentirmi finalmente parte integrante di un mondo che avevo visto solo sporadicamente. Figuriamoci se avessi mai potuto pensare di saltare una partita.

E ovviamente questo è un discorso che vale non solo per me o per i tifosi della Roma, ma per tutti quelli che vedono il pallone in un determinato modo. Chi di noi non ha mai raccontato di quella volta che è andato allo stadio con la febbre, in precarie condizioni di salute, saltando un impegno familiare o dando buca (e facendo inviperire) la propria ragazza? Ora, io ho massimo rispetto per le generazioni attuali e, pur non condividendone molti atteggiamenti, ne comprendo le palesi difficoltà per seguire le orme di un mondo che spesso gli è stato raccontato in maniera saccente e spocchiosa dai più grandi. Di certo però scelte come queste davvero non riesco a comprenderle. Sebbene capisca l’esser fuorviati, per molti ragazzetti, da tutto quello che il mondo d’oggi propone e somministra. Poco e dai valori sudici a dirla tutta, ma sempre spacciato come evoluzione e posto spesso in maniera “amabilmente” coercitiva.

Questo stucchevole pippone (passatemelo ogni tanto) non è fatto a caso, ma vuole introdurre la tifocronaca vera e propria. Non amo fare la mera cronaca del tifo. L’ho sempre detto e lo penso sempre più. Di descrivere otto milioni di volte i battimani, le sbandierate, la lunghezza dei cori e cose simili mi interessa davvero il giusto. Anche considerato che ormai, bene o male, il copione è sempre lo stesso ovunque. Tuttavia voglio imperniare questo passaggio proprio sull’omologazione latente che ha finito per fiaccare non solo la passione attorno al pallone, ma anche la cattiveria che un tempo ci metteva pure l’ultima signora dell’ultima fila di una curva.

Effettivamente mi esprimo così per Roma-Bologna, ma potrei farlo per la quasi totalità delle partite che vedo in un anno. Fatta eccezione per lo zoccolo duro dei gruppi ultras, che quasi sempre si danna l’anima per far cantare e smuovere le ugole, oltre che le coscienze, di chi ha di fronte, io troppo spesso noto nel pubblico delle curve una strana pacatezza. Un essere mosci che non dovrebbe appartenere ai ragazzi dediti al tifo. Una volta si diceva che questo atteggiamento derivasse dalla moda di andare in curva. Dalla maggior importanza data a un capo d’abbigliamento rispetto alla corretta esecuzione di un coro. Oggi secondo me la questione è un po’ diversa e si rispecchia nella piattezza e nel grigiore della società contemporanea. Zero stimoli, zero idee per il confronto e sempre più solitudine e bon-ton impostato in maniera odiabile dall’universo comunicativo che ci circonda.

Poi, se vogliamo andare nello specifico: la prestazione della Sud non è neanche tra le peggiori. Sicuramente il tifo organizzato capitolino si è espresso meglio oggi rispetto alla partita con il Crotone. Resta però la perenne certezza che si potrebbe fare di più. E se spesso ho addotto la responsabilità alla poca coordinazione tra tutte le componenti, stavolta mi sento di fare una piccola riflessione su quella fascia di pubblico “normale”, che ci mette davvero troppo poco del suo.

Io capisco che la Serie A ormai è come Sofia Loren: ti fa arrapare al suo ricordo di giovane, bella e impossibile. Ma poi quando te la trovi di fronte rischi la morte di qualsiasi pulsione sessuale. Capisco anche tutte le difficoltà nel frequentare lo stadio (inutile che stia qua a ripetermi). E capisco che gli ultras abbiano perso molto del loro fascino che un tempo calamitava intere folle. Però davvero non riusciamo più a vivere la curva come un sfogatoio? Un posto dove urlare, lasciarsi andare e avere l’idea fissa che la propria partita si vinca a prescindere, quando si sovrasta vocalmente il settore ospiti o la curva di casa di turno?

Lasciando per un momento la critica, mi preme sottolineare l’ennesima iniziativa dei Fedayn contro le sanzioni che recentemente hanno colpito molti ragazzi della Sud, rei di aver coordinato i cori in piedi sulla balaustra. Lo storico gruppo originario del quartiere Quadraro decide anche oggi di entrare al 15′, lasciando il proprio spazio vuoto e con un solo, eloquente, striscione: “167 Euro tutti a mignotte”. Una goliardata che ben dimensiona l’atteggiamento persecutorio adottato ormai da tempo dalla Questura capitolina.

Da segnalare anche uno striscione esposto dai Boys per celebrare i propri 45 anni. Un ritorno effettivo quindi, dopo che per qualche stagione il loro muretto era rimasto spoglio di vessilli e simboli che facessero richiamo a uno dei gruppi più longevi del tifo romanista.

Sugli ospiti, come anticipato prima, la presenza è ristretta tra le 150/200 unità. Nella media degli ospiti all’Olimpico in questi ultimi anni. Del resto, mettendomi nei panni di un tifoso che viene da fuori, arrivare a Roma per la partita deve essere tutt’altro che esaltante. Tra prezzi abnormi, controlli asfissianti e un settore che è mai stato il massimo per fare tifo. Tuttavia i felsinei nel primo tempo ce la mettono tutta e si fanno sentire svariate volte, nella ripresa calano un pochino ma complessivamente a livello vocale hanno fatto il loro. Qualche offesa con il resto dello stadio, ma pure questa rivalità sembra aver perso molto del proprio piglio.

In campo la Roma la spunta grazie a una rete siglata da El Shaarawy nel primo tempo.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Cinzia Lmr.