Cosa vuol dire per un tifoso romanista giocare in Europa?

Se ripercorressimo a ritroso la storia di questo club non vedremmo certo decine di partecipazioni sfavillanti alle competizioni continentali. Incapperemmo in seratacce, passivi pesanti e sconfitte che hanno segnato per sempre intere generazioni di tifosi (mi vengono in mente Liverpool e Slavia Praga, ad esempio).

C’è stata un’era – quando probabilmente il calcio era più competitivo ed avvincente – in cui solo il pensare di disputare una partita della vecchia Coppa Campioni equivaleva al compiere un sogno recondito. Proibito a dirla tutta. Gli anni 2000 hanno facilitato molto la realizzazione di questi sogni. Le riforme delle coppe, le prime quattro squadre in Champions e una globalizzazione che giocoforza ha reso persino piccole realtà di provincia habituèe dei grandi palcoscenici europei.

Sempre a dirla tutta (e in virtù di quanto scritto sopra), difficilmente la Roma è riuscita a solcare un percorso netto oltre i confini nazionali e a regalare ai propri tifosi serate belle e soddisfacenti come questa. Certo, restano pur sempre ristrette in una vittoria, è vero, ma al tifoso lasciano comunque quell’alone di orgoglio in grado di cancellare i celebri “centoventi giorni stronzi” cantati da una nota band di Pavia.

Ho pensato, dopo il fischio finale, che se avessi ancora avuto i miei sedici spensierati anni non avrei dormito per rivedere cento volte le due perle di El Shaarawy e la sassata di Perotti e pensare al ricordo che gli attoniti tifosi ospiti avrebbero portato a casa dell’Olimpico. Ci ho pensato perché ho visto la reazione di tanti attorno a me: felici, contenti, soddisfatti… ma non tronfi. L’epilogo di 90′ contrassegnati da un buon ambiente, senza dubbio, al quale però manca sempre quel qualcosa in più per risultare “cattivo”, tignoso. Consapevole di poter influenzare il risultato col proprio apporto.

Certo, sempre ad onor del vero e senza risultare offensivo, se il 40% dello stadio in simili occasioni viene riempito da turisti e gitanti è anche difficile avere un catino ribollente. Mai come oggi ho rimpianto quelli che, in gergo curvaiolo, vengono chiamati “cesaroni” o, un tempo, “bruchi”. Tifosi magari un po’ rozzi e con poca attitudine all’evitare lo stereotipo del romano/romanista. Ma almeno tifosi. Che poi è alla base di tutto. Sicuramente sono molto più utili alla causa rispetto a uno dei tanti battaglioni di nippo-teutonici che ormai spuntano fuori come funghi di tanto in tanto. E non solo per le partite di cartello. Bada bene: nulla contro i simpatici (sebbene un po’ computerizzati) giapponesi o contro i perennemente scosciati (e abbronzati) tedeschi. Il mio è un discorso generale.

So anche di risultare un po’ petulante. Uno può dire: “E quando lo stadio è mezzo vuoto non va bene, quando si riempie non va bene, quando tifa non va bene: quando allora va bene?”. Sarebbe una corretta osservazione. Che sovente mi faccio da solo. Ma poi mi rispondo che andrà bene quando a dominare l’ambiente e i 90 minuti sarà non solo un buon tifo, ma anche un buon ambiente complessivo, coscienzioso di rappresentare un’identità e una storia. Senza dare nulla per scontato. Perché – come ci ha insegnato la vicenda barriere – di scontato non c’è nulla e soltanto l’esistenza di un fronte comune, unito dalla stessa passione e dalla stessa fede, malgrado le differenze interne, può mantenere in vita e dar futuro al movimento ultras. Parliamo di quello romano, ma è un discorso che si può davvero ascrivere a tutto il resto d’Italia.

A fronte di questa corposa introduzione direi che se ci si vuol davvero far il sangue amaro bisogna porre l’accento sulle ormai ataviche file che caratterizzano lo stadio Olimpico in fase di afflusso. Avendone parlato decine di volte non dovrei forse più tornare sull’argomento, ma siccome la ritengo una delle cose più incivili e disumane che vengano perpetrate ai danni dei tifosi capitolini, penso che occorra sottolinearlo ogni volta. Evidentemente chi di tanto in tanto punisce ragazzi rei di aver coordinato il tifo da una balaustra (veri criminali insomma…), deve provare un perverso piacere nel vedere quella moltitudine di gente innervosita e contrariata che di tanto in tanto si scaglia verbalmente contro gli steward. E se va male accusa un qualche malore. Complimenti per lo stadio a cinque stelle!

Anche se, come spesso accade in occasione di partite europee, la palma dei più fantasiosi la meritano i giornali. Annunci di “2.000 hooligans del Chelsea in arrivo” e altri titoloni strillati per dare il la al più becero terrorismo psicologico. Posto che duemila hooligans i Blues forse non li avevano neanche nel 1973, il tutto resta a dir poco patetico. Verrebbe voglia di esser un titolista in queste occasioni. Almeno saremmo autorizzati a scrivere le prime idiozie che vengono in mente. E probabilmente più è inetto il concetto e più l’autore verrà premiato.

I tagliandi staccati sono circa 55.000. Tra limitazioni di capienza e prezzi a dir poco fuori da ogni logica, la risposta è dunque più che buona. Anche se i dati di queste sfide lasciano il tempo che trovano. Ahinoi (plurale per indicare l’intero movimento calcistico) i numeri che contano sono quelli delle competizioni nazionali. E da troppo tempo ormai evidenziano un allontanamento congenito e inesorabile. Tuttavia è indubbiamente bello vedere uno stadio con meno vuoti del solito.

Un po’ meno bello è il posticcio inno della Champions League seguito dalle migliaia di flash degli smartphone provenienti da ogni settore dello stadio. Ecco, se vogliamo fare una critica al tifo di questi anni (peraltro trita e ritrita, ma oggi sono in vena di rompere i cosiddetti…) non possiamo non evidenziare come questi aggeggi abbiano spesso distolto i frequentatori delle curve dal loro ruolo primario. Gente che si deve fare il selfie mentre parte il coro, gente che deve fare il video alla punizione di Tizio o al rigore di Caio, gente che deve postare una foto mettendo il luogo per poter poi passare i restanti 87′ a commentare lo stato di Facebook. Insomma, tutto ciò rappresenta non solo l’anti-ultras, ma l’anti-stadio!

E purtroppo capisco anche che pure per il gruppo più oltranzista e volenteroso è davvero difficile combattere tutto ciò. Perché chi sa scindere il normale utilizzo dalla virtualità dalla dipendenza più becera, diventerà sempre più una minoranza nella nostra società.

Nella fattispecie la Curva Sud offre una discreta prova, fatta di alti e bassi. Meritano sicuramente menzione le tre esultanze ai gol: autentiche, veraci e passionali. Mentre per quanto riguarda il tifo direi molto bene i due/tre nuovi tormentoni che trascinano spesso pure i Distinti, mentre in troppe occasioni continua a mancare quel collante tra parte bassa e muretti che dovrebbe essere costituito dalla parte centrale di curva. Oltre a quel pizzico di incisività che renderebbe i cori molto più potenti e intensi. E qua, per trovare le ragioni, bisogna rileggere le critiche precedenti (peraltro già espresse in diversi articoli quest’anno).

Da segnalare, anche quest’oggi, l’ingresso al quarto d’ora dei Fedayn per protestare contro le recenti sanzioni piovute su diversi lanciacori della curva.

In linea generale si può sicuramente fare di più, perché c’è il potenziale, ci sono le persone e c’è un amore incondizionato che anche dopo due anni di esilio ha saputo rimanere intatto e ricominciare a germogliare senza alcun dubbio. Del resto dalla Sud ci si aspetta tanto perché può dare tanto. Quindi l’esser a volte al di sotto delle proprie capacità è un handicap migliorabile e su cui sicuramente si dovrà lavorare. Ovviamente con calma e con i pochi strumenti a disposizione. Oltre che con un mondo esterno che rema costantemente contro quella che è non solo la logica ultras, ma proprio il voler fare aggregazione.

Ora mi si lasci fare una battuta: queste critiche finiscono – e diventano insignificanti – laddove arriva il tifo degli inglesi. È quello il momento in cui ti accorgi che anche quel poco che è rimasto in Italia finisce per diventare oro colato al loro confronto. Si esagera, ma neanche troppo (sic!).

Come accennato ad occupare il settore ospiti arrivano circa 2.000 supporter del Chelsea, evidenziando la solita validità numerica dei tifosi britannici. Peccato che quasi mai queste presenze vengano seguite da un tifo indimenticabile. Eppure, rispetto allo spettrale clima di Stamford Bridge, almeno nella prima frazione di gioco i londinesi ci provano ad abbozzare qualche coro. L’impostazione è lontana anni luce dal nostro modo di intendere il tifo e francamente continuo a non comprendere il loro modo di andare allo stadio, però almeno per 45′ dicono la loro e fanno sicuramente più bella figura di tanti altri connazionali venuti a scaldare i seggiolini dell’Olimpico.

Tanti “scambi d’opinione” con i gruppi della Nord alta, stasera in ottima forma, e molto bello l’applauso “a prescindere” riservato alla squadra nel finale, malgrado la pesante sconfitta per 3-0.

A match concluso l’Olimpico si lascia ovviamente andare a sfottò e festeggiamenti, nonostante l’odiosa musica ormai in voga in tutti gli impianti, copra inesorabilmente la voce dei tifosi.

Quando lo stadio si vuota completamente i tifosi inglesi sono ancora al loro posto, in attesa che le autorità italiane li lascino defluire nella notte di Roma che nel frattempo si è fatta fredda e umida.

Testo di Simone Meloni.

Foto di Cinzia Lmr.