Il match tra la SPAL e il Genoa è di vitale importanza per entrambe le squadre, invischiate nella lotta per non retrocedere.

Nella settimana delle polemiche sugli adesivi di Anna Frank, gli ultras di tutt’Italia erano chiamati a dare una prova di maturità, non tanto per dimostrare ai benpensanti le proprie virtù, quanto per non prestare il fianco alle ennesime polemiche.

Oggi la Ovest accoglie la SPAL con un’imponente coreografia: lo scultore Stefano Galletti nel 1875 aveva eretto in pieno centro la statua del frate ferrarese Girolamo Savonarola; a distanza di quasi 150 gli ultras emiliani hanno dipinto su stoffa il simbolo, uno dei tanti, della propria città, di fianco al castello estense.

Lavorare su marmo e dipingere a mano sono tecniche differenti, ma l’impatto visivo è in entrambi casi grandioso. Le curve sono da sempre fortemente identitarie, nel senso nobile del termine, nulla che abbia a che fare con l’appartenenza alla destra o sinistra. Amare la propria terra, rievocarne tradizioni, costumi o simboli non ha come fine quello di screditare la storia altrui, ma di esaltare la propria, senza per questo sconfinare in sentimenti di odio o razzismo, che i giornalisti si affannano a cercare e di conseguenza evidenziare.

Nel mondo globalizzato, dove il pensiero diventa di massa e l’omologazione annulla le diversità, intese come fattore di ricchezza, gli ultras riscoprono e manifestano un senso di attaccamento alle proprie origini ormai smarrito, che appunto non ha nulla a che fare con partiti e movimenti politici, per quanto taluni di questi tendano a strumentalizzarlo per proprio conto.

Gli ultras della SPAL hanno voluto rimarcare con una coreografia, la massima espressione artistica per le curve, il proprio orgoglio d’appartenenza. Il Paolo Mazza, magari un po’ vintage ma sicuramente affascinante, apprezza lo sforzo degli ultras della SPAL e applaude interrottamente la coreografia.

Saranno 90 minuti di tifo, sostegno continuo che ha coinvolto in non pochi casi anche la tribuna e la gradinata, quasi a voler rimarcare una sinergia che in molti stadi non è presente: gli ultras da una parte, i tifosi dall’altra, ognuno per la propria strada, ma insieme nella stessa direzione. Le vittorie si raggiungono quando tutto l’ambiente viaggia fianco a fianco e a Ferrara l’unità la tocchi con mano e la senti nei cori che coinvolgono l’intero stadio.

La vittoria, arrivata grazie al gol dell’idolo di casa Antenucci, ripaga i tifosi presenti che non hanno mai smesso di incitare la squadra, spingendola a raccogliere il risultato massimo.

Nel settore opposto alla ovest c’è la storia del movimento ultras, la tifoseria che rappresenta uno dei club di calcio più antichi del mondo. La curva è piena quasi in ogni ordine di posto e il tifo sarà abbastanza costante con lo sventolio ininterrotto dei bandieroni, marchio di fabbrica della gradinata nord.

Come già sottolineato nel preambolo, questa è stata la settimana delle polemiche, dove tutti si sono sentiti in diritto di dire la propria, banalizzando la discussione e traducendo il proprio disdegno di facciata in giustizialista richiesta di pene più severe. Sarebbe però bastato studiare le norme che i vari legislatori hanno fin qui adottato per contrastare la violenza, fisica e verbale, per capire che negli ultimi 20 anni è stato fatto tanto, forse troppo. E che gli episodi deprecabili che avvengono negli stati vengono perseguiti e condannati, sia sotto l’aspetto amministrativo (DASPO) sia penale (detenzione) come raramente avviene negli altri ambiti della società civile.

In un clima di caccia alle streghe, dove tutti si sentono tutori dell’ordine, non sorprende quindi vedere uno steward invitare un tifoso del Genoa ad allontanare dalla ringhiera un giovane tifoso che stava solamente assistendo al match. Le sconfitte sportive lasciano il tempo che trovano, preoccupa invece il processo inesorabile che sta trasformando lo stadio in un abulico ambiente. dove gli esseri umani assaporano per 90 minuti l’ebbrezza del potere ed altri il continuum di vessazioni ed abusi oltre il lecito.

Michele D’Urso.