Sono le 4:30 del mattino. La periferia di Tirana dorme profondamente e dal mio appartamento dovrò camminare circa quaranta minuti per raggiungere l’autostazione. Non ho nessuna intenzione di salire su un taxi, devo ancora scaricare adrenalina e smaltire due giorni scanditi da bottiglie di birra puntualmente scolate e cestinate. La mia destinazione è Pristina, Kosovo. Per il volo di ritorno. È il day after e proprio ora, nella mia solitudine, riesco ad assaporare appieno la bellezza delle precedenti quarantotto ore. O forse quella dell’intero cammino che mi ha portato nella capitale albanese in questi giorni di fine maggio. È una contraddizione in termini che la vittoria di una competizione – massimo momento di gioia aggregativa per un tifoso di calcio – riesca a pervadermi nel momento in cui nessuno mi è più accanto. Ma è un qualcosa di profondamente mio a pensarci bene.

Mi scuso sin da queste prime righe se questo articolo sarà meno imparziale del solito, ma ci sono momenti in cui vale la pena far trapelare le proprie emozioni. Sì perché a prescindere dal trofeo vinto e dalla sua importanza penso che chiunque abbia vissuto di pane e calcio sin dall’infanzia ha sognato almeno una volta di trovarsi in campo nel momento del trionfo della sua squadra. Di vedere i giocatori festeggiare a pochi centimetri, di sfiorare la coppa con le mani e, soprattutto, di sentire soffiarsi addosso i canti e le sensazioni della propria gente. Di chi sai che c’è stato sempre, pure quando – spesso – le cose non sono andate bene. Di chi è partito quando tutti gli dicevano che era pericoloso, che non valeva la pena. Di chi è rimasto fuori in taluni momenti storici di questa tifoseria, per difendere il bene comune e la tradizione ultracinquantenaria della Curva Sud.

In questa Tirana che dorme ancora e che si risveglierà con qualche tifoso romanista ancora in giro a bighellonare, non posso che rivederci migliaia di sguardi, occhi, pianti e gioia incontrati da quando frequento gli stadi. Ci sono quelli degli Espressi notturni senza biglietto, per andare a Milano e Torino a inizio anni duemila e ci sono quelli che un treno non lo avrebbero mai preso, ma li incontravi sempre e comunque. perché ci dovevano essere. Non importa se fosse Trieste di Coppa Italia, Napoli di campionato o Cluj in pieno inverno. Ci sono tanti, anche se non ci sono tutti quelli che avrebbero meritato. A causa della scelta scellerata da parte della Uefa di giocare in uno stadio minuscolo (21.000 posti), con una vendita dei biglietti a dir poco discutibile. Che alla fine ha favorito solo ed esclusivamente i bagarini locali. Ma ne parleremo tra poco.

E sì che siamo un popolo schizofrenico. Uno di quelli che all’interno della stessa stagione riesce a contestare, inveire e dimenarsi contro i giocatori, salvo santificarli dopo un derby vinto e dopo questa serata. Ma siamo comunque un popolo che c’è. A prescindere da tutto. E ci sarebbe stato pure se fosse tornato dall’Albania con una sconfitta. Ma stavolta era diverso e lo si percepiva già dalle settimane precedenti. Stavolta c’è stata la consapevolezza che la sorte non ci avrebbe abbandonato perché non siamo sfuggiti davanti ad essa, non ne abbiamo avuto paura. Ma l’abbiamo affrontata e ce ne siamo fatti beffe pure quando sopra il Circolo Polare Artico e con il ritorno dell’acronimo ASR sulla maglia venivamo ricoperti da una valanga di gol.

La finale contro il Feyenoord inizia molti giorni prima del fischio d’inizio. Probabilmente quando il gol di Abraham sancisce l’eliminazione del Leicester in semifinale. È là che innanzitutto si innesca il perverso meccanismo di distribuzione dei biglietti. In pochi sanno ancora quanti ce ne saranno realmente, ma la Roma si impegna innanzitutto a regalarli ai 166 abbonati presenti in quel di Bodo, nel novembre scorso. In occasione della disfatta succitata. E poi a distribuire sempre agli abbonati una parte dei ticket ottenuti in regalo dalla Uefa tramite un sorteggio a cui si poteva partecipare iscrivendosi via mail. Giusto? Sbagliato? Difficile dirlo, con ogni modalità si sarebbe comunque scontentato qualcuno. Personalmente credo che la cosa più corretta da fare sarebbe stata quella di dare i tagliandi tramite prelazione. Premiando chi aveva partecipato ad almeno tre delle sei trasferte effettuate (tra cui spiccavano le tutt’altro che semplici Lugansk e Sofia, oltre a quella in terra norvegese per l’appunto).

La vendita dei restanti tagliandi approntata dalla Uefa è stata invece un qualcosa di vergognoso, in piena armonia con l’organo che se n’è fatta carico. Titoli acquistabili sul sito della federazione a cui pochissimi italiani sono riusciti ad accedere. Questo perché l’organo egemone del calcio europeo ha ben pensato di favorire l’acquisto agli albanesi e non a caso quei pochi romanisti che sono riusciti nell’impresa di acquistare un posto hanno avuto la prontezza mentale di scaricare una VPN fingendosi residenti in Albania o mettendo comunque la residenza nella terra della Aquile. Il risultato finale è stato sotto gli occhi di tutti: biglietti venduti su internet a prezzi decuplicati (anche 1.000 Euro) e bagarini ovunque (e dico ovunque) in giro per Tirana, con biglietti venduti a non meno di 350 Euro. Congratulazioni vivissime alla Uefa, il cui modus operandi è stato talmente discutibile e precario da far venire più di qualche dubbio sulla sua buona fede.

Parallelamente a questo aspetto grottesco, tuttavia, c’è stata ovviamente l’ondata finale di un entusiasmo che pervadeva la città già da dopo i Quarti di Finale. Dopo 31 anni (Coppa Uefa 1991 persa contro l’Internazionale) si è materializzata l’opportunità di contendersi un trofeo europeo. Ed è palese che a pochi è importato se si trattasse di una Champions o di una Conference. Anche la remota chance che l’AS Roma alzasse una coppa oltre le Alpi è stata sufficiente ad accendere una miccia incredibile, che in tanti hanno visto come un possibile riscatto proprio per quelle finali perse nel 1991 e nel 1984, contro il Liverpool. Ora, è chiaro che parliamo di un valore diverso. Ed è chiaro che ragionando a bocce ferme non si possa paragonare la Coppa dei Campioni a questa competizione. Ma davvero, contestualmente, non si capisce quanto per il tifoso romanista fosse fondamentale scacciare i fantasmi delle sconfitte e di un digiuno di vittorie che durava ormai da circa quindici anni? Perché entrati in quest’ottica è facile capire l’esplosione di gioia, probabilmente molto più grande e sentita rispetto a chi quest’anno ha alzato al cielo la coppa dalle grandi orecchie. Sarà anche forse perché questi ultimi ormai hanno molti più clienti e turisti al seguito che tifosi…

Molti di quelli che non sono riusciti a prendere un biglietto hanno comunque deciso di partire e oggi posso dire con relativa certezza che nessuno è rimasto fuori. Bagarini o non. In fondo siamo pur sempre italiani e per decenni abbiamo fatto scuola anche sul come entrare negli impianti senza un titolo d’accesso. Di necessità, virtù!

Per raggiungere la sede della finale opto per un percorso tutto sommato snello, almeno rispetto al mio recente passato: treno per Verona e aereo per Tirana. Al ritorno pullman per Pristina e aereo per Roma. Fortunatamente riesco ancora a muovermi con una certa astuzia, evitando i prezzi fuori da ogni ragione cui hanno dovuto sottostare migliaia di persone per volare dall’altra parte dell’Adriatico.

Conoscevo già l’Albania, essendoci stato in vacanza qualche anno fa e avendone ricordi più che positivi. Ciò che più colpisce è l’accoglienza a dir poco calorosa (bagarini e qualche speculazione infame da parte di albergatori disonesti a parte) che questo popolo riserva agli italiani. In noi vedono quelli che li hanno salvati e aiutati nel momento del bisogno e questa riconoscenza è talmente palpabile che risulta persino difficile trovare qualcuno che non parli almeno qualche parola della nostra lingua. Sono molte le generazioni ad esser cresciute davanti ai nostri canali televisivi, così come in tanti sono ormai quelli ad avere un filo diretto con l’Italia grazie alla presenza di parenti e amici. Credo sia un caso quasi unico nel mondo.

Paradossalmente si può dire che al giorno d’oggi questo trend si sia quasi invertito. Con tantissimi connazionali che vengono da queste parti per fare affari e piantare radici. Del resto se l’Albania resta un Paese in crescita ma dalle forti contraddizioni e ancora dalla forte identità rurale, Tirana è una città che mantiene il passo con Capitali europee ben più prestigiose e da qui ai prossimi anni può diventare veramente un punto di riferimento economico e sociale non solo per i Balcani.

Questa simpatia si riflette ovviamente anche nel tifo e manco a dirlo la quasi totalità degli autoctoni sosterrà i colori giallorossi. Addirittura accanto allo stadio c’è un grosso telone con la gigantografia del murales presente a Testaccio che ritrae Mourinho in motorino con la sciarpa giallorossa e la scritta “Benvenuto nella piccola Roma”. Ma ciò che la dice veramente lunga su quanto a Tirana non vogliano minimamente contemplare una vittoria del Feyenoord è la scelta delle differenti fanzone: striminzita, totalmente esposta al sole (37 gradi percepiti) e con musica tecno a volume altissimo per gli olandesi; immensa, disposta nel bellissimo Gran Park con lago artificiale, ricca di ombra e stracolma di bar e chioschetti quella dedicata ai tifosi italiani.

Sulle tensioni relative alla sera prima del match mi limito a dire che nel pomeriggio le solite esagerazioni degli olandesi in preda all’alcol hanno provocato la reazione degli albanesi. Con tafferugli nel centro e qualche fermo tra i tifosi biancorossi. Mentre su fronte giallorosso, malgrado diversi cortei in giro per la città, le turbolenze non si sono registrate con i supporter avversari bensì con la polizia. Da qui alcuni fermi e diversi ragazzi rispediti in Italia la mattina successiva.

Devo dire la mia sulla gestione dell’ordine pubblico? Complessivamente trovo che non sia stata neanche pessima (per quelli che sono gli strumenti da queste parti), ma è evidente la totale impreparazione (fisica e mentale) della polizia, degli steward e del sistema organizzativo tutto. L’Albania è un Paese molto diverso da altri Stati balcanici. Qui non siamo in Serbia o in Croazia, dove le forze dell’ordine sono abituate a fronteggiare un certo tipo di tifoserie. Qui in generale tutto si svolge nella calma, con ritmi blandi e un tacito accordo: tu non dai fastidio a me, io non do fastidio a te. Chiaro che con tifoserie rodate e turbolente in giro le cose potessero andare differentemente.

Per spiegare lo spirito del poliziotto medio albanese devo raccontare un episodio accaduto anni fa nel centro di Valona, quando perdendomi con l’automobile a causa delle indicazioni del tutto sbagliate mi innervosii e non poco, sfogando tutta la mia frustrazione su un agente fermo in un angolo. Un atteggiamento che da noi mi avrebbe comportato non pochi problemi, ma che in quell’occasione vide l’uomo in divisa scusarsi varie volte, quasi implorando il perdono perché lui non sapeva come aiutarmi!

Per farvi capire quanto questa finale di Conference sia l’evento dell’anno vi basta pensare che il comune di Tirana per la giornata del 25 maggio ha indetto festa cittadina. Strade chiuse e nessuno al lavoro (salvo i locali, chiaramente) o a scuola. Dall’aeroporto alla stradina più periferica ci sono riferimenti al match e nella Piazza Skënderbeu (dedicata all’omonimo eroe nazionale, condottiero nella guerra di liberazione dagli ottomani) sono stati allestiti tutta una serie di giochi e chioschetti tesi a intrattenere le due tifoserie. Per me che amo gli stadi fatiscenti e i dintorni sgangherati magari non sarà il massimo, ma razionalmente capisco che per loro è davvero una sorta di riscatto sociale.

Ovviamente dopo aver fatto un paio di foto alla piazza l’importante è fiondarsi in qualche negozietto locale che fa burek (sfoglie con dentro formaggio e carne), qofte (polpette) e un’infinita serie di grigliate. Il tutto bagnato dalla birra. Ecco, in questo credo che non ci sia finale che tenga: bisogna allontanarsi dalle zone preallestite e seguire gli sciami di vecchietti albanesi, che non possono sbagliare.

A proposito di stadi. Ho già sottolineato come organizzare una finale in questo impianto sia stata una decisione avventata da parte della Uefa. Se non altro per la capienza davvero ridotta. Ciononostante l’Arena Kombetare (Arena Nazionale) – ribattezzata Air Albania Stadium – da queste parti è un vero e proprio vanto. Inaugurata nel 2019 al posto dello storico stadio Qemal Stafa (pensato e realizzato peraltro dall’architetto Gerardo Bozio durante l’occupazione italiana negli anni ’20), secondo il volere di chi l’ha creata dovrebbe avere una forma che richiama alla mappa politica dell’Albania. Un senso identitario accentuato dal mix cromatico rosso e nero che fa riferimento alla bandiera nazionale. Al momento ospita le gare interne delle due squadre cittadine: FK Tirana e Partizani Tirana.

Tornando alla finale: la totalità dei tifosi è in città nella tarda mattinata di mercoledi. Qualche ora prima del fischio d’inizio. A questo punto – come accennato – la divisione è creata dalle fanzone e rispetto al giorno precedente non si registra alcuna tensione. Mentre la pratica del bagarinaggio viene espletata tranquillamente davanti stuoli di inermi e sornioni poliziotti albanesi, con il passare delle ore la tensione del pre partita comincia a salire. Qualcuno smette di bere, altri passeggiano nervosamente per le stradine del Grand Park. Fin quando un corteo preceduto dagli ultras si muove alla volta dello stadio, situato poche centinaia di metri più in là. Sono le 18:30 circa e il serpentone romanista si avvia sulle gradinate.

In molti hanno a malapena visto una finale di Coppa Italia. Per altri il massimo è stata la semifinale con il Liverpool di qualche anno fa. Mentre chi ha i capelli bianchi e qualche ruga sul viso oggi ti dice chiaramente che non può andare per sempre male e che almeno la gioia di ricordarsi a vita questa serata se la vuol permettere. Una sensazione di emozione mista a tensione comincia a prendere possesso anche di me. Io che in genere vivo in modo distaccato cose importanti e cruciali della mia vita e che quasi mai mi faccio prendere dall’irrazionalità, di fronte a questa giornata mi sento quasi impotente. Da una parte vorrei finisse subito, dall’altra ho sperato che non arrivasse mai. Ha rappresentato uno spartiacque e un puntino sul calendario per il quale sapevo che ci sarebbe stato un “prima” e un “dopo”. Ma a questo punto non è più il momento di farsi domande, prendo il mio pass e mi dirigo verso il manto verde dell’Arena Kombetari.

Qualche stadio l’ho frequentato. Qualche partita l’ho vista. Qualche derby bollente europeo l’ho vissuto. E qualche emozione l’ho provata. Ma è difficile spiegare cosa si prova nell’entrare in campo e trovarsi addosso alla curva in cui sei cresciuto, a due passi dai giocatori che si stanno scaldando. Che pure se tu ai giocatori non hai mai dato peso, pure se li hai sempre visti come la parte meno importante dello spettacolo, stavolta ti fanno impressione. E vorresti dirgli che non si devono azzardare a tornare in Italia senza la Coppa, perché a Roma c’è uno stadio pieno senza che si giochi una partita e migliaia di persone che da anni aspettano di festeggiare qualcosa. Vorresti pure ricordargli che a noi il mese di maggio non ha mai portato tanta fortuna e che hanno l’opportunità, non dico di rovesciarla ‘sta condizione, ma quantomeno di scalfirla e cominciare a invertire la rotta. La realtà è che tra tutte queste cose dopo cinque minuti di permanenza a bordocampo entro in trance e faccio fatica persino a orientarmi e capire dove mettermi per non ricevere rimbrotti ma al contempo fotografare al meglio.

Ok. Cerco di riprendermi un momento, perché in fondo devo pur sempre scattare gli ultras. E non posso fare figuracce “bucando” striscioni esposti o momenti fondamentali. Da una parte e dall’altra. Guardo la curva del Feyenoord e le migliaia di bandiere biancoverdi che pian piano la colorano. Questa scelta cromatica, che spesso accompagna le partite degli olandesi, è legata ai colori della città. Addirittura dal 2001, in seguito a un accordo con i tifosi, il club si è impegnato ad avere sempre una maglia che richiami al gonfalone comunale.

Sui supporter del Feyenoord cerco di esprimere in maniera articolata e obiettiva il mio parere. Su tre volte che li ho visti non mi hanno mai fatto una grande impressione. Hanno la nomea di essere una tifoseria tosta e “pesante” ma – a conti fatti – se togliamo l’atto di vandalismo nei confronti della Barcaccia (del quale, giustamente, anche oggi si sono vantati sfilando in corteo fino allo stadio dietro allo striscione Barbari) non si sono mai registrati problemi veri e propri con i romanisti. Malgrado di occasioni ce ne siano state. Questa volta a Tirana come nella gara di ritorno a domicilio qualche anno fa. Non metto in dubbio che in patria siano poco simpatici da incontrare, così come appurato in alcune gare internazionali quest’anno. Ma allo stato delle cose, i fatti dicono che sono un po’ tanto fumo e poco arrosto. Peraltro le varie bandiere sottratte ed esposte nel settore romanista possono solo suffragare quanto scritto.

Voi direte: si salvano almeno col tifo, giusto? Beh non proprio. Oltre la coreografia e la torciata (oggettivamente molto bella) non è che propriamente siano stati assordanti. Pochi cori e scaglionati durante tutta la partita. Molto bello lo striscione “Roma vaffanculo” con una bandiera della Roma rigirata sopra, ma si può dire che è davvero tutto troppo poco. Sicuramente ottimi selezionatori di musica tecno e bella l’idea di affittare una discoteca tutta per loro il giorno prima del match. Peccato che stiamo parlando di ultras, non della Febbre del Sabato Sera! Di strada anche solo per avvicinarsi a ciò che gli ultras italiani ancora oggi rappresentano ne hanno davvero tanta!

Quando le squadre entrano in campo anche i romanisti compongono la loro coreografia. Cartoncini gialli e rossi che vanno a realizzare la scritta AS ROMA 1927. Non era facile fare un qualsiasi tipo di scenografia quest’oggi visto il settore a ferro di cavallo loro assegnato. Al primo colpo d’occhio appare chiaro come numericamente ci siano più italiani/tifosi della Roma presenti, mentre nella Tribuna Sud (quella occupata dai giallorossi) fanno bella mostra tutte le pezze del tifo organizzato capitolino. Va detto che sebbene non sia un amante degli stadi moderni, questo è davvero bello e una tifoseria calda a ridosso del campo può fare tutta la differenza del mondo.

Gli ultras della Roma partono subito a spron battuto e nel primo tempo sono autori di una prova canora ottima. Performance galvanizzata dal gol di Zaniolo che al 32′ porta in vantaggio gli uomini di Mourinho. La parte giallorossa dello stadio esplode, mentre il gioiellino ex Inter corre per tutto il campo andando a prendersi l’abbraccio del pubblico. Molto significativo che la rete arrivi nell’esatto momento in cui la Sud sta esponendo uno striscione di sostegno per i diffidati e per chi non è potuto essere presente. Un’esultanza che quindi abbraccia idealmente anche tutti quei ragazzi costretti a tornare indietro in mattinata.

Finisce il primo tempo e ne approfitto per rifiatare un attimo mettendomi seduto su uno sgabello gentilmente offerto da uno steward. Quindici minuti che passano velocemente, con le due squadre che rientrano in campo per dar vita agli ultimi, rispettivi, quarantacinque minuti della stagione.

E sono quarantacinque minuti a dir poco tirati e tesi. Gli olandesi capiscono che devono provare il tutto per tutto e si riversano copiosamente nell’area avversaria. Il Var annuncia il controllo per un possibile rigore e penso non ci sia stata una persona, su sponda romanista, che in quel momento non abbia pensato al crollo di ogni sogno. Incredibilmente si continua a giocare. E il Feyenoord continua ad attaccare a testa bassa. Rui Patricio para tutto quello che c’è da parare, mostrando una volta per tutte la differenza nell’avere un portiere tra i pali anziché la svariata serie di “citofoni” che hanno difeso la porta della Roma negli ultimi venti anni. Il tifo della Sud continua a farsi sentire, anche se ovviamente adesso la tensione blocca qualche ugola. Eppure la Roma riuscirebbe pure nell’alleggerire la pressione e in un paio di occasioni sfiora quello che sarebbe il gol del ko: prima Veretout e poi Pellegrini impegnano severamente l’estremo difensore avversario. Poi Abraham viene trattenuto dall’ultimo uomo Senesi ma ingenuamente non si lascia cadere e getta alle ortiche un’opportunità fondamentale.

Gli ultras della Roma gettano il cuore oltre ogni paura e nell’ultimo quarto d’ora lentamente coinvolgono tutti. Man mano che il fischio finale si avvicina, malgrado i dirimpettai cingano d’assedio la Roma. Ma Mourinho si conferma a dir poco impeccabile nelle finali europee e al 5′ di recupero, quando il direttore di gara sancisce la fine delle ostilità, il boato di Tirana è talmente forte e liberatorio da unirsi a quello dell’Olimpico. A distanza di sessantuno anni la Roma torna ad alzare un trofeo continentale al cielo. Ed è la più grande e inaspettata soddisfazione che questa tifoseria potesse provare.

Mi giro e vedo gente con gli occhi lucidi, ma anche persone che si abbracciano talmente forte da non respirare più. È il classico momento in cui tutti capiscono poco di tutto quello che sta succedendo. Non se ne capacita forse neanche la squadra, che all’impazzata corre per il campo. La parte dello stadio destinata ai tifosi olandesi si svuota e l’Arena Kombetari rimane interamente in mano ai romanisti, che ora festeggiano a gran voce la coppa che si leva al cielo durante la premiazione, prima che siano i calciatori stessi a portarla sotto al settore per farla toccare a tutti. Pure per me che non ho mai amato le premiazioni questa ha un sapore speciale e va ben al di là del cerimoniale e della canzoni irrorate dagli altoparlanti. Vedi gente adulta, grande, con anni di stadio e militanza alle spalle, chiamare Pellegrini per abbracciare lui e il trofeo come fossero ragazzini increduli di ciò che stanno vivendo. E se al calcio dobbiamo qualcosa – ancor più di quanto ci debba lui per farlo essere ancora uno sport dal contorno emozionante – penso che sia proprio questa sensazione di eterna giovinezza che riesce a trasmetterci nel bene e nel male. Perché col passare degli anni i sentimenti e le emozioni tendono a segregarsi, mentre sulle gradinate qualche volta riemergono prepotenti e ci ricordano chi siamo!

Mi giungono immagini di una Roma che trabocca di gioia e festeggiamenti. Mentre qui, a mezzanotte, i giocatori ancora sono in campo a ballare e cantare con i tifosi. Due momenti distanti diverse centinaia di chilometri ma talmente uniti nell’impeto di gioia da essere un tutt’uno. “Ci è bastato vincere una volta per dire che avevamo vinto più di tutti quanti”, recita il famoso epitaffio del compianto Giorgetto. Ed è la verità. L’incontenibile verità di una tifoseria che da anni aspettava solo di far saltare il tappo dello spumante e darsi alla pazza gioia. Perché se per i quadri dirigenziali ovviamente questo non può essere un arrivo, ma un punto di partenza, per i tifosi è giustamente una liberazione. Ed è più che sacrosanto festeggiare fino allo sfinimento.

Quando anche Abraham si decide a lasciare il campo la totalità della massa giallorossa comincia a defluire. Manco a dirlo nei dintorni dello stadio è tutto un brulicare festante, con gente che già si lancia sulle note di Never Going Home nella sua versione modificata “La Roma sì e il Feye-no!”. Prossimo tormentone estivo per tutti i canali dell’AS Roma, ufficiali e non!

C’è chi stacca dai muri i manifesti celebrativi della finale. Chi se li attaccherà in camera e chi li utilizzerà come strumento erotico nei momenti di magra. Da Roma continuano ad arrivare le immagini del centro storico stracolmo e del Circo Massimo tornato a tingersi di giallorosso dopo tanti anni. Conoscendo le potenzialità della mia città in queste occasioni, una piccola percentuale di me è dispiaciuta dal non potervi assistere. Ma per come sono fatto, per quello che è il mio excursus di vita, non avrei mai resistito nel non presenziare a un simile evento. Perché mi rimarrà scolpito dentro negli anni e lo potrò raccontare. Ma soprattutto l’ho vissuto e tanto vale a darmi una gioia immensa.

Quando il taxi mi lascia all’appartamento sono le 2.45 di notte. Ho solo il tempo di farmi una doccia e dormire un’oretta scarsa. Non mi interessa, i miei bioritmi avranno la loro dose di calma una volta tornato a casa. Adesso la stanchezza è l’ultimo dei pensieri. E così quando la sveglia suona imperterrita neanche la maledico, ma mi sbrigo a vestirmi e scendere ancora in strada. Le gambe sono affaticate ma è una di quelle fatiche che trasmette felicità. Com’era iniziato questo articolo? Con il mio assaporare lucidamente la bellezza di questi due giorni trascorsi su suolo albanese. Riguardo le foto fatte col cellulare e saluto l’unico signore che a quest’ora cammina per le strade. Qualche locale sta chiudendo solo ora. Vorrei un pezzo di burek ma devo ovviamente rinunciarci.

Il mio pullman per Pristina buca pochi chilometri fuori Tirana, fermandosi un’ora dal gommista con tutti i passeggeri sopra. Poco male, in assenza del roaming riesco a connettermi dal WiFi dell’officina e comincio a rivedere tutte le immagini e i video relativi alla finale. Attorno il paesaggio albanese è aspro, assolato. E già caldissimo malgrado non siano neanche le nove. Penso a quanto sia da “Simone Meloni” questa situazione e scoppio in una risata solitaria che mi fa guardare storto da una passeggera kosovara seduta poco distante da me. Poco male. Dovrò aspettare fino alle 22 per il mio aereo di ritorno e non potrò assistere al pullman scoperto della Roma per le vie della città, ma rifocillarmi con una maxi grigliata e camminare per le strade di Pristina con la mente ancora sintonizzata sulla coppa che mi passa accanto e la mia mano che si allunga per toccarla mi rallegra da qualsiasi pensiero negativo o insoddisfacente!

Testo e foto Simone Meloni
Per alcune foto di premiazione e coreografia si ringrazia Andrea Alampi