Non me ne voglia nessuno se il primo tema trattato non è quello del tifo o del risultato calcistico. Bensì quello della scelta cromatica relativa alla terza maglia da gioco. Una divisa che per una sera ha travestito la Roma da Palermo o Juventus, scegliete voi in base alle vostre simpatie. Pur volendo comprendere a malincuore l’esigenza del calcio contemporaneo di adottare una terza casacca per scopi meramente commerciali e pur riconoscendo all’attuale dirigenza giallorossa di aver avuto un occhio di riguardo su tante tematiche care ai tifosi, in questa circostanza credo che si sarebbe potuto fare davvero molto meglio.

Casacca, simbolo, nome e colori sono elementi imprescindibili. Più importanti persino di qualsiasi risultato calcistico. E per quanto rivedere l’acronimo ASR su queste divise sia stato bello, è stato comunque vanificato dall’accozzaglia cromatica che nulla ha a che vedere con novantacinque anni di storia dell’Associazione Sportiva Roma. Qualcuno potrebbe contestarmi che già in passato si sono usati colori inappropriati, come il verde e il blu. Atteso che prendere ad esempio un qualcosa di brutto o sbagliato avvenuto tempo addietro per giustificare un errore attuale è alquanto puerile, aggiungo che suddetti colori potevano richiamare due delle tre squadre che fondendosi hanno dato vita all’attuale club (Fortitudo e Alba). Mentre gli inserti rosa su una maglia nera sono solo ed esclusivamente un pacchiano vezzo stilistico.

Comprendo che ormai un po’ tutto si debba adattare al gusto individuale e ciò che rappresenta la tradizione – quindi comune a tutti – non vende o vende meno. Troverò sicuramente chi dirà che la terza maglia privilegi ovviamente il fattore economico su quello storico e persino alcuni tifosi curvaioli correranno ad acquistarla, magari anche solo perché lo sponsor tecnico è New Balance. Ma la domanda che mi faccio è: possibile che ad ogni sgarro verso fattori identitari e tradizionali l’unica reazione generale, ormai, debba essere il mesto: “Ci sta, siamo nel 2022. Le società sportive sono aziende vere e proprie”? Concetto che per determinati argomenti condivido pure, ma che quando travalica la decenza mi sembra più una resa incondizionata a ogni cambiamento. Anche al peggiore. E se domani si cambiasse nome in FC Rome 1927 o Nestlé Rome FC? Anche quello “ci starebbe”? Chiaramente è un esasperazione sul tema, ma non un’utopia considerate le tante storie che lo sport di oggi ci restituisce.

La verità sta nel mezzo. E se in determinati casi neanche si esprime minimamente il proprio parere, neanche si lascia intendere che maglie mimetiche, con colori astrusi e pacchiani o addirittura con abbinamenti cromatici che richiamano a rivali storiche, sono un pugno alla storia della società, allora si dà il lasciapassare per fare anche peggio.

Passi lo speaker con le sue urla sguaiate, passi la musica assordante nel pre partita e quella kitsch ai gol siglati (un conto è il coro goliardico creato dai tifosi su “La Roma sì, il Feye no”, un altro è fare il karaoke sparando ogni volta “Never going home”), passi tutto il circo commerciale che ormai domina il calcio (almeno quello di Serie A e delle competizioni europee). Ma penso che a tutto ci sia un limite e su tematiche del genere vale ancora la pena essere oltranzisti. Anzi, più che essere oltranzisti, direi che si tratta di avere amor proprio.

A tamponare lo scempio con cui i giocatori della Roma sono scesi in campo ci ha provato la Curva Sud, con una prova maiuscola, che conferma quanto gli impegni europei ormai stimolino molto più rispetto a un campionato nazionale spesso asettico, senza sussulti e privo del confronto curvaiolo che un tempo rappresentava il sale di ogni italico fine settimana. Tanti battimani, cori tenuti a lungo e un’ottima intensità che ha spinto la Roma – nella ripresa – a travolgere il club finlandese con un perentorio 3-0. Da segnalare, complessivamente, la buona prova sonora di tutto lo stadio, che conferma la sua costante partecipazione alla partita creando frastuono e colore. Sintesi di una passione popolare che fortunatamente ancora emerge prepotente a queste latitudini.

Nel settore ospiti prendono posto circa duecento tifosi che, a inizio gara, espongono un telone raffigurante il nome del club. Gli va riconosciuto di aver provato per tutti i 90′ a farsi sentire, impresa ardua anche a causa dell’ottima forma dello Stadio Olimpico. Ci sarebbe da fare un piccolo approfondimento sul movimento ultras finlandese, da qualche anno in progressione un po’ come in tutta la zona scandinava. Tra l’altro proprio il derby di Helsinki – qualche settimana fa – è stato teatro di violenti scontri, che hanno portato all’interruzione della gara per qualche minuto. Motivo del contendere la sottrazione dello striscione Klubpaati (gruppo portante degli ultras dell’HJK) da parte dei rivali cittadini del HIFK. Ma lascio questo approfondimento alla gara di ritorno, dove sicuramente ci saranno anche più elementi visivi per capire vizi e virtù dei supporter finnici.

Al triplice fischio la Roma incamera i primi tre punti di questa Europa League e prende un po’ d’ossigeno dopo la sconfitta iniziale contro il Ludogorets, anche se sarà un cammino tutt’altro che semplice verso la qualificazione.

Le piogge pomeridiane anziché rinfrescare la Capitale l’hanno resa una piccola Bangkok, con tasso d’umidità altissimo. Abbandonando l’impianto di Viale dei Gladiatori come sempre mi imbatto nelle chiacchiere dei tifosi e avverto in più di qualcuno un po’ di malcontento per la terza maglia. La cosa un po’ mi rasserena. Se non altro ancora una piccola percentuale dotata di buon gusto e che non apprezza divise degne dei tamarri frequentatori delle discoteche nei tardi anni novanta esiste ancora!

Simone Meloni