Ho a più riprese affrontato il tema del caro prezzi su queste pagine. Lo ritengo uno dei primi cinque mali dell’evoluzione (involuzione?) del sistema calcistico italiano negli ultimi anni. Nonché la seconda fonte di discriminazione nei confronti dei tifosi (dopo quella perorata da divieti e restrizioni che vertono su un mero fattore geografico).
Al contempo ho sempre sottolineato come l’innalzamento dei tagliandi abbia trovato in Italia un terreno fertile: poca la resistenza dei gruppi organizzati, assente quella dei tifosi normali. Una vera e propria manna per le società che lentamente hanno trasformato stadi spesso fatiscenti in vere e proprie miniere d’oro, ma soprattutto in luoghi accessibili di tanto in tanto. Proprio come avviene al Teatro dell’Opera a Roma o alla Scala a Milano. Elemento fondamentale per la sostituzione del tifoso assiduo ma non abbonato con quello occasionale in tutto e per tutto.
“Sì ma ci sono gli abbonamenti a prezzi convenienti”. Potrebbe rispondere, nella fattispecie, un tifoso romanista. A ragione, nessuno dice il contrario. Ma questo non rende meno ignobile la smisurata crescita dei prezzi, né giustifica la totale assenza di interesse per una battaglia che dovrebbe riguardare l’intera collettività dei tifosi. Perché? Semplice: posto che il prezzo degli abbonamenti – per una basilare logica di mercato – sarà anch’esso portato a crescere, dovrebbe essere per tutti inaccettabile che qualcuno non possa vedere una partita di calcio dal vivo perché costretto a tirar fuori 60 Euro per un Distinto in occasione di un Roma-Internazionale qualsiasi. E un po’ tutti dovrebbero volere sempre e comunque stadi pieni e popolari. Cosa al momento alquanto difficile.
Purtroppo l’egoismo e la cecità di fondo costituiscono una grande zappa sui piedi, che alla lunga tutti pagheranno in maniera salata. Si pensa davvero che con eventuali stadi nuovi gli abbonamenti resteranno a prezzi contenuti? L’esempio dello Juventus Stadium è lampante e non c’è motivo per cui non debba essere emulato altrove.
Se proiettiamo il nostro sguardo oltre le Alpi non possiamo non menzionare la battaglia sempre viva e lungimirante portata avanti dai tifosi tedeschi. Una comparazione esplicativa se si pensa che gli stadi teutonici sono tra i più moderni ed economici dell’Europa occidentale. Qualche settimana fa i tifosi del Bayern Monaco (la Baviera è inoltre una delle regioni più ricche del Paese) hanno inscenato l’ennesima protesta contro il caro prezzi, puntando il dito contro l’AEK Atene, reo di aver fatto pagare ai sostenitori tedeschi quasi il doppio dello stesso settore occupato da quelli greci. Cosa non consentita dalla UEFA Safety and Security regulations e per cui il club ellenico potrebbe esser costretto a rimborsare il sovrapprezzo.
La Roma – per buona pace di tutti – è stata purtroppo una delle prime società a favorire l’effetto domino dei prezzi stellari nel nostro Paese. Quattro anni fa realizzai un piccolo approfondimento sull’aumento sistematico dei tagliandi per i tifosi giallorossi. Da notare come rispetto ad allora il costo sia ulteriormente (e corposamente) incrementato: basti pensare che per un big-match come Roma-Napoli nella stagione 2014/2015 una curva era venduta a 30 Euro, mentre per l’odierno Roma-Internazionale lo stesso settore costa ben 45 Euro. Addirittura 60 un Distinto. Ovviamente (sic!) non erano previsti sconti per ambedue le categorie. Se poi qualcuno avesse voluto seguire il match dalla Tribuna Tevere avrebbe dovuto sborsare minimo 85 Euro.
Dieci anni fa, per la stessa partita, ma valida per la finale di Coppa Italia, una curva costava 18 Euro mentre un Distinto 28. Stesso stadio, stesse squadre. Ma una coppa in palio.
Considerazione primaria: come accennato, questa politica ha avallato il rincaro portato avanti ormai da tutte le società di Serie A. Anche negli stadi più decadenti e improbabili si arriva difficilmente a pagare un settore ospiti sotto i 30 Euro, anche per partite dallo scarso valore/livello sportivo. Mentre se è vero che da un paio di stagioni la Roma cerca di rendere le gare di seconda fascia un po’ più accessibili, è altrettanto vero che il prezzo delle curve difficilmente scende dai 25 Euro (35 i Distinti) e le gare di Champions sono veri e propri “bagni di sangue” per i portafogli dei malcapitati supporter non abbonati.
E menomale che c’è chi si pavoneggia dietro lo slogan “Il calcio è di tutti”. Pensate se fosse solo per pochi: al botteghino toccherebbe presentarsi con la Carta Oro!
Eppure la cosa sembra interessare a pochi. Di certo non si può pensare che l’input venga dai club, i quali operando ormai da anni nell’ottica del rapporto azienda/cliente vendono i loro prodotti a chi li compra. Esempio: se io negoziante faccio passare un paio di scarpe da 10 a 60 Euro nel giro di poco tempo e tutti (o quasi) continuano a comprarlo, tanto meglio per me. Posso fare uno sconto ogni tanto, sui modelli meno buoni, ma su quelli ben lavorati tenderò sempre più ad alzarne il prezzo. Del resto la mia resa migliora, il cliente è comunque contento (o quanto meno sta in silenzio e se storce il naso in fondo sono problemi suoi, tanto continua a comprare!) e di anno in anno potrò sempre puntare sul suo essere supino per rendere le mie scarpe veri e propri gioielli.
A qualcuno piace chiamare ciò consumismo, ad altri calcio moderno. In ambo i casi – oltre a slogan di facciata – non mi pare di vedere un grande fermento sociale/intellettivo in grado di costruire campagne volte a sovvertire l’ordine delle cose.
Chiaro, dovrebbero essere le istituzioni calcistiche a intervenire spingendo per un tetto massimo. Esattamente come avvenuto in Inghilterra. Ma la mia domanda è: leghe e Federazione sono interessate a iniziare una campagna che risulta per certi versi ideologica? Questi sono gli stessi apparati che negli ultimi anni si sono seduti al tavolo con i vari Osservatori per promuovere ed approvare scelte repressive o seriali divieti di trasferte. Sono pertanto complici – e sovente artefici – della vera discriminazione che caratterizza il nostro sport nazionale (altro che i cori da sfottò).
Dico una cosa utopica, a mero titolo informativo: la spinta dovrebbe partire dal basso. Da chi è vittima di suddetti cambiamenti. Ergo, dai tifosi. Ma in quanti se ne rendono conto? In quanti sono davvero interessati? In quanti hanno una coscienza di classe e una mente lungimirante per capire che ciò che non si combatte oggi perché non ci tange da vicino ce lo ritroveremo domani come nemico insormontabile? Non sarebbe neanche difficile, basterebbe guardarsi alle spalle e imparare dal passato (anche recente).
Stagioni or sono si sono fatti boicottaggi e scioperi per ragioni ben più risibili.
E sempre rimanendo sulla stessa onda, l’Olimpico di oggi presenta numeri importanti malgrado i costi e il momento della Roma tutt’altro che positivo. Sono circa 50.000 i presenti, con un’ottima rappresentanza interista.
La Sud torna a colorarsi con qualche fumogeno e dopo diverso tempo il cuore del tifo giallorosso offre finalmente una discreta prestazione, che sembra andare di pari passo con la dispendiosa gara disputata dalla squadra in campo. Oltre al tanto colore (che oggettivamente è l’unica cosa a non mancare mai nelle ultime due annate) a più riprese gli ultras capitolini tirano fuori la voce in modo unanime. Anche rispolverando vecchi cori mai sopiti nella mente del tifoso romanista.
Su fronte interista, devo essere sincero, una prestazione tutto sommato migliore di altre volte. Al netto della tanta massa “gitante” che come sempre funge da zavorra per le tre “big”, la parte inferiore del settore tifa praticamente tutto il tempo seguendo ottimamente il ritmo del tamburo e facendo bello sfoggio dei propri bandieroni. Come di consueto tanti gli insulti scambiati con i dirimpettai, strascico vitale di una delle rivalità più vecchie e ricche di storie da raccontare della nostra Italia calcistica.
In campo le due squadre si affrontano a viso aperto e alla fine lasceranno il manto verde sul risultati di 2-2. Tra gli applausi di un Olimpico che sembra aver apprezza la performance degli uomini di Di Francesco.
Testo Simone Meloni
Foto Cinzia Lmr