La prima notizia dell’ultima giornata romanista all’Olimpico è l’assenza del tifo organizzato juventino per la sfida che – di fatto – assegnerà ufficialmente lo scudetto ai bianconeri. L’esoso costo del settore ospiti (70 €) non è stato digerito dagli ultras della Vecchia Signora, che hanno preferito dire “basta” a un rincaro che spesso li vede protagonisti.

Una speculazione sulla passione che tuttavia colpisce l’intera Italia del pallone in maniera trasversale. Domenica scorsa ho pensato a lungo a cosa può aver provato chi si è trovato a tirar fuori minimo 45 Euro per una curva in cambio di uno spettacolo non certo edificante. Una partita con ritmi blandi, più simile a un’amichevole in molti suoi passaggi. Una classica sfida di fine campionato. Tutt’altro che meritevole di quella cifre imposte al botteghino (ammesso e non concesso che una bella partita debba per forza significare salasso per acquistare un tagliando).

Il vero problema, tuttavia, continua ad essere l’accettazione silenziosa da parte dei tifosi. Gli stessi che vengono considerati clienti dovrebbero, allora, agire da tali.

Nei Paesi anglosassoni è molto diffusa la cultura del “complain”. Il “reclamo” per qualsiasi cosa. Vado al supermercato e mi vendono un prodotto scadente? Faccio complain e quasi sicuramente ho diritto a una sostituzione. Vado al ristorante e per i miei gusti la pietanza o il servizio non sono buoni? Faccio complain e come minimo avrò uno sconto in cambio.

Ora, lungi da me celebrare la cultura d’Oltremanica, ma ho riportato questi casi per parafrasare un semplice concetto: tu mi consideri un cliente? Allora voglio essere trattato a modo. Se il cliente ritiene un servizio troppo caro può fare, per l’appunto, complain. E se questo non va a buon fine, allora, conviene passare alle maniere “forti”. Finché c’è richiesta ci sarà domanda. Quando questa richiesta finirà per non rispondere più a una domanda esosa allora le cose forse cambieranno.

Per dirla in parole povere, occorrerebbe quella coscienza di classe che il tifo italiano non è mai veramente riuscito a sviluppare. Non lo ha fatto in vicende cruciali come la tessera e i biglietti nominali, gli resterebbe l’ultima chance a disposizione: il caro prezzi.

La protesta dei supporter sabaudi è sacrosanta, ma se non viene seguita da un’adesione massiccia, da iniziative tematiche e da una protesta vibrante, finirà per risultare del tutto inutile.

Bisogna esigere la creazione di un tetto massimo per i settori ospiti. Esattamente come accaduto in Inghilterra ultimamente, dove i tifosi provenienti da fuori non pagano più di 30 Sterline. È del tutto incomprensibile e fuori luogo pagare un biglietto per il Distinto dell’Olimpico 70 Euro o quello per il settore ospiti di Empoli, Pescara, Crotone e via dicendo, minimo 35. Se i primi ad accorgersene e reagire non sono quelli che il rincaro lo subiscono sulla propria pelle, non si può pretendere che lo faccia chi siede nella stanza dei bottoni.

Nella mia militanza di stadio ho sempre ritenuto il rialzo del prezzo dei tagliandi una delle cose più classiste, ingiustificate e discriminanti che ci potesse essere. Spesso anche più della repressione, dettata in molti casi dall’ignoranza. Colpire un individuo – o l’intera collettività – al  portafoglio è quanto di più becero ci possa essere. Parliamo di calcio, è vero, non di un qualcosa di primario e vitale. Ma proprio perché la sua frequentazione e la sua estrazione viene dal contesto popolare questo atteggiamento va analizzato socialmente. E a livello sociale è una martellata bella e buona a chi vorrebbe permettersi almeno una volta alla settimana un paio d’ore di svago dopo una settimana di lavoro e problemi quotidiani.

Non facciamo l’errore di minimizzare. Perché è proprio minimizzando, procrastinando e facendo spallucce che negli ultimi venti anni abbiamo assistito a un profondo cambiamento del nostro ambiente. Inteso non solo come stadio, ma come piazza di incontro tra giovani e generazioni.

Uno spettacolo pubblico deve essere accessibile a tutti. Che sia cinema, teatro o una partita di pallone. Parliamo di senso civico. Sia da pare di chi deve evitare cifre assurde che da parte di chi si deve schierare apertamente e nettamente contro questo scempio.

È vero, società come la Roma applicano tariffe più che vantaggiose negli abbonamenti. Ma è giusto che io abbonato pensi soltanto al mio orticello non vedendo mai al di là di esso? Anche perché spesso parliamo delle stesse persone che in trasferta poi ci vanno e si trovano a pagare cifre astronomiche. È una mannaia che colpisce tutti. Ultras, tifosi assidui e tifosi occasionali. Per questa ragione bisognerebbe combatterla assieme.

Il supporter è concepito ancora come carne da macello. Come il cretino che “tanto allo stadio ci va lo stesso” (cosa relativamente vera, peraltro). E sì che i modi per dimostrare il contrario ci sarebbero. Basterebbe, in alcune occasioni, mettere da parte campanile e fanatismo, per preservare spazi e movimenti che in Italia ancora riescono ad aggregare minimamente i giovani di ogni strato sociale.

Ai fatalismi o alla sorte è meglio non credere. Il destino può essere solcato anche con le proprie mani. Basta una buona dose di senso civico e voglia di “lottare” con intelligenza e lungimiranza.

Testo Simone Meloni

Foto Cinzia Lmr