In questi anni mi sono trovato spesso a commentare il Derby della Capitale. Al centro della sua narrazione ho sempre anteposto la particolare liturgia che le due tifoserie seguono quasi in maniera ossessionante prima, durante e dopo questa sfida. Roma è una Capitale atipica, con una mentalità se vogliamo provinciale sotto tanti punti di vista, in cui la sua gente per forza di cose ha dovuto preservare e temprare uno spirito ruvido, diffidente e amaramente ironico. “Cattivo” sotto diversi punti di vista. Giusto per far fronte ai tanti avventori che sul suo suolo, con le sue bellezze e con il suo potere storico/politico ci hanno mangiato e ne hanno divorato i lati più umani e vivibili.

Città Eterna, con un passato glorioso e imperiale e con un presente spesso difficoltoso e sottotono. Di cui fondamentalmente interessa a pochi. Uno status di Capitale più utile ai suoi “gestori” che ai suoi cittadini. Subissati dall’incuria, dalla prepotenza e dalla strafottenza di classi dirigenziali che non solo non l’hanno mai amata, ma dietro le parole di circostanza ne hanno per lo più impoverito l’anima. Del resto non è un caso se nella storiografia di questa città si contano ben 9 “Sacchi”, opere di ruberie e devastazione che saltuariamente hanno devastato Roma. Ma a mio avviso queste incursioni clamorose realizzate da popoli “barbari” hanno una loro naturale prosecuzione su chi, ieri come oggi, si è seduto sugli scranni più alti del Campidoglio.

Tutto ciò per dire che il romano vede nel calcio l’ultimo avamposto di purezza legato alla sua città. Ed è per questo che nel tifo e nel pallone sfoga tutto il suo orgoglio di appartenenza. Mi è già capitato di dirlo, ma sovente mi capita di parlare con persone che hanno lasciato Roma da tanti anni e che pur con la morte nel cuore non ne rimpiangono i suoi disastri, ma solo la possibilità di poter seguire da vicino la propria squadra del cuore. Ecco perché il “forestiero” forse capisce poco la follia collettiva che si scatena attorno a questa sfida e ancor meno la poca predisposizione alla sportività e al bon-ton durante quei novanta minuti. Atteggiamenti che poi si protraggono in città per il resto dell’anno. Una stracittadina vinta con risultato pesante può lasciare strascichi per mesi. Ed è il gioco delle parti, è un qualcosa socialmente accettato. Che rimbalza di bar in bar, di radio in radio, tra colleghi, tra compagni di scuola. Se vogliamo persino stressante da sopportare mentalmente. È figlio di un amore e di una passione esagerata, che va oltre le righe. Se ai romani togliessero il calcio – credetemi – eliminerebbero una gran parte della loro vita irrazionale e affettiva. E questo non succede in altre città, pure dove il derby è vissuto con enfasi. Anche perché qua di trofei se ne sono sempre visti ben pochi e tutto sommato, ancora oggi, a fine campionato poter dire di aver battuto la storica rivale conta e crea appagamento.

Un appagamento provinciale, direte voi. Certo. Ma qua torniamo al discorso iniziale: noi siamo una Capitale provinciale, nessuno lo prenda come un insulto. A Madrid pensano ai campionati e alle finali da disputare, a Londra la parola derby è relativa – se si pensa al palmares e alla miriade di squadre londinesi esistenti – a Lisbona la solo bacheca di una tra Sporting e Benfica basta per far impallidire quelle di Roma e Lazio messe insieme. A Glasgow la rivalità è aspra, ma la base è ampiamente differente da quella romana. Perché qua la rivalità è prettamente calcistica. Non è foraggiata da chissà quale diversità ideologica, religiosa o sociale. E infatti non è una caso che fino a qualche anno fa la parte più folkloristica della stracittadina fossero gli striscioni (in parte soppiantati oggi dalle scritte pre e post gara), in cui era racchiusa l’essenza dello spirito cinico e sarcastico capitolino. Forse il paragone andrebbe fatto con i derby balcanici (Atene e Belgrado su tutti) dove antropologicamente i tifosi brandiscono tra le mani un credo sportivo (e non solo, sic!) che riflette le rispettive tradizioni di popoli che dello sport hanno sempre fatto una ragione di vita.

Si gioca il derby numero 178 nelle competizioni ufficiali. Le due squadre arrivano a questo match con alle spalle una stagione sinora non esaltante. Mourinho e Sarri galleggiano ai margini della zona Champions, che tuttavia sembra difficilmente raggiungibile. Mentre i giallorossi vogliono continuare a giocarsi le proprie chance in Conference League, reduci dal sin troppo difficoltoso passaggio ai quarti ottenuto in settimana contro il modesto Vitesse.

Gli oltre cinquantamila tagliandi disponibili sono andati sold out in breve tempo, il che la dice lunga su quanta voglia di calcio ci sia in città e su come questa sfida sia tornata su ottimi livello di calore negli ultimi anni. Le restrizioni applicate dal 2010 in poi – con la Tevere riservata ai soli tesserati – ne avevano un po’ spento l’ardore, mentre negli ultimi anni è bello constatare un ritorno al passato, sia dal punto di vista numerico che per quanto riguarda il colore e le coreografie.

Come purtroppo da consuetudine l’effetto discoteca – con musica a palla e canzoncine buone giusto per l’Eurovision – tende a smorzare la voce delle due tifoserie nel pre partita. Andando a prendere il posto di quello che un tempo erano i classici sfottò. Ora ditemi voi se non è meglio un bel coro di scherno, magari pure becero, rispetto agli assoli di Achille Lauro o di chissà quale altra vocetta da reality show. Ovviamente il tutto è coronato dalle sempiterne urla “gallinacee” dello speaker, intento ad annunciare le formazioni o – peggio ancora – a dare il la ai tifosi per fargli alzare il tono della voce durante i vari inni (senza che ce ne sia bisogno chiaramente). Manco fossimo al Cocoricò in piena stagione balneare…

Poco prima che le squadre facciano il loro ingresso in campo la Nord propone la sua scenografia: migliaia di cartoncini compongono un’aquila in volo con lo striscione sotto che recita: “Le aquile non volano a stormi”, una provocazione agli avversari, a sottolineare quanto la massa non sia loro necessaria, incarnando lo spirito del rapace che solitariamente domina i cieli non avendo bisogno di altri suoi simili per farlo. A differenza di altre volte, in cui i laziali hanno presentato coreografie impeccabili dal punto di vista della riuscita, forse questa volta la resa finale non è delle migliori. Va detto pure che oggigiorno fare una coreografia con soli cartoncini (al netto delle capienze di ridotte) è davvero un’opera ardua.

Il colpo d’occhio del pubblico giallorosso è notevole. La Sud realizza la propria coreografia all’ingresso in campo delle squadre: un telone con la Lupa Capitolina campeggia al centro mentre ai lati si levano migliaia di cartoncini giallo ocra e rosso pompeiano, il tutto completato dalla frase “La Lupa Capitolina sostiene con ardore chi di Roma porta i colori sul cuore”. Semplice e ben riuscita. Va detto che dopo diverse stagioni in cui il tifo romanista aveva rinunciato alle coreografie o ne aveva realizzate limitatamente alla parte bassa, nelle ultime annate ha saputo ridar vita a ottimi lavori. Magari non troppo elaborati, ma efficaci e con poche sbavature. Tornando finalmente a coinvolgere anche i distinti. Il lavoro dei gruppi si percepisce e infatti i presenti seguono con disciplina tutte le indicazioni.

Davvero bello anche il colpo d’occhio della Tribuna Tevere, dove vengono sventolati diversi bandieroni lato Curva Sud, una sciarpata in tutto il settore durante l’inno e parecchio movimento nel lato Curva Nord, dove prendono posto i ragazzi che generalmente occupano la parte di Nord adiacente al settore ospiti.

La partita in campo ovviamente influisce anche sull’andamento del tifo. La Roma va in vantaggio dopo soli 56 secondi, con Abraham che è lesto ad approfittare di un’incertezza del portiere laziale sugli sviluppi di un corner. Sempre il giocatore inglese raddoppia al 22′ mentre al 40′ Pellegrini cala il tris direttamente su calcio di punizione. La Roma affannata e in difficoltà vista nella partite contro Udinese e Vitesse sembra un lontano ricordo e ovviamente la sua gente è a dir poco galvanizzata. Mentre la Lazio appare spaesata e fatica ad approntare qualsiasi tipo di reazione, anche a causa di un approccio al match palesemente sbagliato.

La Nord prova a spronare i suoi, ma in questo genere di derby è sempre difficile risalire la china. E francamente io non la vedo come una nota di demerito. La stracittadina – proprio per quanto detto in fase di introduzione – è una sfida vissuta con anima e cuore e quando la propria squadra non è in giornata e finisce per subire gli odiati rivali è complicato superare la delusione. Questo è il bello dell’andare allo stadio con lo spirito del tifoso, prima ancora che quello ultras. Vediamo spesso tifoserie polacche o russe “impartire” lezioni di tifo, quasi robotizzate. Senza lasciar trasparire la gioia o la delusione per quanto avviene in campo. Io ribadisco che per me la passione è ben altro e l’ultras prima di tutto resta sempre un grande tifoso dei propri colori e non un burattino che “deve” cantare per partecipare e rendere godibile lo spettacolo. Il sussulto d’orgoglio dei laziali è tutto nella bella sciarpata finale che, a risultato ormai acquisito, coinvolge anche i Distinti.

Nel secondo tempo gli uomini di Mourinho abbassano i ritmi e fanno correre a vuoto la Lazio, sfiorando tuttavia il 4-0 ancora con Abraham. Con il passare del tempo la Sud e l’ambiente in generale si caricano sempre di più, sventolando e colorando la porzione giallorossa di stadio. Da sottolineare oggi i diversi striscioni ironici esposti dai romanisti ma anche le tante piccole coreografie realizzate dai Nel Nome di Roma, dai Roma e dai Royalist. Il tutto a “base” di bandierine. Penso che in questa fase storica ciò che davvero non si possa appuntare agli ultras giallorossi sia la dedizione al colorare il proprio settore.

Al triplice fischio ovvio tripudio romanista, con i cori della Sud che tuttavia continuano a essere attutiti dalla “hit” lanciata dagli altoparlanti. E mi si passi l’eterna lamentela, pure se le canzoni sono quelle di Lando Fiorini e Nino Manfredi, ma non è sufficiente il classico Grazie Roma? Perché rincoglionire letteralmente i tifosi? Soprattutto in un momento che dovrebbe essere solo ed esclusivamente loro?

Ovviamente il derby continuerà in settimana, come da tradizione cittadina. Ma c’è un ultimo aspetto da sottolineare: quest’oggi l’AS Roma ha fatto scendere in campo la squadra con il vecchio stemma, quello con la Lupa che sormonta le tre lettere ASR. Un ritorno tanto invocato negli anni dai tifosi, che se fosse permanente rappresenterebbe una piccola vittoria da parte del pubblico e un’opera di intelligenza basilare da parte dei dirigenti, in piena controtendenza a chi li ha preceduti e decise per il cambio di stemma.

Simone Meloni