Tra la vasta omologazione del nostro movimento ultras, ci sono sfide che ancora mantengono intatto il loro fascino e continuano a evidenziare stili, modus vivendi e concezioni curvaiole distinte e differenti. Quella tra romanisti e milanisti è senza dubbio una di queste contrapposizioni. Un confronto che pone i due protagonisti agli antipodi del vivere lo stadio e induce a diverse riflessioni, spesso e volentieri anche dettate dal gusto personale. Questo perché – come mi disse un anziano e scafato caporedattore di una nota agenzia stampa – “l’imparzialità non esiste. Esiste l’obiettività, ma anche nella minima forma, in ogni battuta, in ogni lancio e in ogni articolo si capirà sempre da che parte sta chi scrive”. E dato che la scrittura è una delle maggiori forme di introspezione, ma anche di messa alla berlina della propria “intimità”, non posso che condividere.

Obiettivamente, per dirne una, la Sud di Milano raccoglie oggi i frutti di un grande lavoro volto alla propria riorganizzazione in fatto di tifo. I rossoneri sono riusciti, nel corso degli ultimi anni, a lavorare sulle proprie pecche, aggiustando il tiro e portando il livello della propria presenza allo stadio in alto. Sicuramente se prendiamo a metro di paragone le metropoli, attualmente i milanisti primeggiano. Se analizziamo solo ed esclusivamente l’aspetto canoro nella sua intensità, continuità e compattezza. Dato di fatto incontrovertibile, che anche oggi avrà la sua conferma con una grande prestazione, suggellata da quei 3/4 tormentoni che coinvolgono davvero tutti e che riecheggiano nell’Olimpico in maniera notevole. Lo stile “Est Europeo” è una scelta chiara e marcata, sicuramente tra i primi ad importarlo nel Belpaese, utlizzandolo per rimodellare profondamente il proprio approccio allo stadio.

Certo, non può mai essere tutto oro quel che luccica. E qui, vedi sopra, entra in gioco il giudizio personale. Se vocalmente la sponda rossonera di Milano è ineccepibile, personalmente non impazzisco per la sua, ormai, spiccata attitudine mediatica. Una sovraesposizione che talvolta può risultare stucchevole. E non tanto perché “l’ultras è clandestino” (ormai questi sono motti che, piaccia o meno, appartengono a un’era geologica ahinoi lontana) quanto perché come movimento dovremmo soppesare l’utilizzo di alcuni strumenti, che poi, alla lunga, si rivelano veri e propri boomerang. Inoltre, l’emulazione di una militanza ultras troppo “social” non può mai essere un bene, soprattutto in piazze più piccole, dove dovrebbe ancora regnare un certo modo genuino di fare aggregazione curvaiola. Sì, è vero, l’ultras è di sua natura “eccentrico”. Parliamo di un insieme di persone che hanno scelto di essere al centro dello spettacolo e che, nel bene o nel male, faranno sempre parlare di loro. Ma credo ci siano anche modi e limiti. Se si accetta di trasformare a tuttotondo una trasferta, una prestazione di curva o anche semplicemente una propria festa in una sorta di Grande Fratello 3.0, forse si è andati un po’ oltre la sacrosanta “espansività” degli ultras.

Così come – sempre parere personale – ci sta esordire con un coro irrisorio nei confronti dei Fedayn. Può far parte dello sfottò più “spinto”, che da sempre contraddistingue queste due piazze. Tuttavia lascia un po’ l’amaro in bocca, pensando alla storia di una grande tifoseria come quella rossonera, che vanta gruppi leggendari come la Fossa e le Brigate – ora esposti a mo di feticcio ai lati della Sud di San Siro -, e che ha sovente rappresentato un baluardo per la militanza ultras. Magari – impressione mia, non imparziale dunque – oggi il silenzio sulla faccenda sarebbe stato più indicato. Un po’ come nella gara d’andata, quando non vedendo i romanisti arrivare a causa degli incidenti occorsi nel pomeriggio con i napoletani in autostrada, i milanisti intonarono senza alcuna esitazione “Dove sono gli ultrà”. Ma ripeto, ci può stare. Fa parte del modo diverso di vivere la curva e l’ultras. Ciò che per qualcuno può essere uno sfottò qualunque, per altri è un tracimare quella “cavalleria” che teoricamente questo mondo dovrebbe preservare. Almeno a volte. Un po’ come fatto dagli stessi milanisti sulla vicenda “De Laurentis”, quando al San Paolo presero apertamente le parti dei napoletani, in quel momento anteposti al loro presidente.

Poi è chiaro: lo storico tra queste due tifoserie non è “normale”. Parliamo di una rivalità che nel suo trascorso annovera un ragazzo morto e un odio che per tanti anni ha preso una strada ben superiore a quello della semplice inimicizia dettata dal campanile o da ragioni di curva. E di certo, da par suo, la Sud romanista durante la sua storia può aver peccato di eccessi rivedibili e di errori di valutazione. Non stiamo dando patenti di moralità, perché davvero sarebbero in pochi a uscirne vittoriosi. Ma soprattutto perché credo che un mondo come quello ultras, che si definisce libero e irriverente, non possa pensare di essere al passo con il concetto di moralità odierna. A tratti a dir poco esacerbato e ridicolo.

Tornando all’incipit dell’articolo e rivolgendo lo sguardo ai romanisti, ciò che sicuramente risalta agli occhi – se comparati ai dirimpettai – è la loro tribalità. Una sorta di “sana” ignoranza, che fa della Sud una curva magari umorale, emotivamente instabile, ma di certo “selvaggia” e dedita alla causa giallorossa in maniera quasi ancestrale. I cori non vengono eseguiti in maniera quasi robotica, come tra le fila rossonere, ma il sostegno nel suo essere ondivago si mantiene su ottimi livelli. Cavalcando gli immortali cavalli di battaglia e caratterizzandosi per il tanto colore utilizzato, sia durante l’inno che per vari tratti della sfida. E su questo aspetto, probabilmente, i capitolini mantengono una linea più “godibile” rispetto ai lombardi, che salvo qualche bandierone e gli stendardi mostrati a inizio partita, sembrano essere più asciutti.

A più riprese viene ricordato Antonio De Falchi, al quale sia la Sud che il gruppo posizionato nella Nord alta dedicanoo diversi cori, uno striscione e una piccola “coreografia” nella zona Brigata De Falchi.

Quello che ne viene fuori, dunque, è un confronto ruvido. Bello per lo spettatore neutrale. Sicuramente carico di contenuti per gli amanti del tifo organizzato. La base ideale per molteplici spunti di riflessione. Cosa non più comune in una Serie A dove il livello va sempre più verso il basso e le diversità tendono a sparire, in luogo di una linea piatta che davvero a volte fa passare ogni voglia di mettere piede allo stadio.

In campo l’epilogo è di quelli folli: la Roma trova il vantaggio al 94′ con Abraham, ma gli uomini di Pioli riescono a ristabilire la parità tre minuti più tardi, con Saelemaekers. In entrambe le occasioni le rispettive esultanze sono davvero degne di nota.

Si finisce con gli ultimi sfottò e gli applausi scrosciati sui rispettivi fronti, per due squadre che hanno comunque onorato gli impegni e che sognano ancora in chiave europea, in vista delle due semifinali da disputare.

Simone Meloni