Per il sempre poco simpatico anticipo delle 12:30, la Roma ospita il Monza davanti a oltre sessantaduemila spettatori, di cui cinquecento provenienti dalla Brianza. Numeri importanti su ambo i lati, che da una parte confermano il trend che ormai perdura da un paio di stagioni, mentre dall’altra mettono in evidenza una tifoseria che dal suo approdo in massima categoria ha sempre fatto il suo, a discapito dei tanti detrattori che forse poco ricordano la tradizione della piazza biancorossa e si soffermano solo ed esclusivamente a giudicare i numeri.

Giocare con la luce del sole – in una giornata, peraltro, calda – è una rarità in quest’epoca di calcio spezzatino e sicuramente un piacere anche nel poter percepire bandiere, striscioni e colori al naturale. Pensare che anni fa, quando raramente si disputavano le Coppe europee a Roma, andare allo stadio in notturna era un vero fattore alternativo. Quasi un appuntamento di gala rispetto alla “classica” domenica del pallone. Oggi che il calcio è diventato un prodotto invasivo, a tratti insopportabile per la sua presenza ingombrante e assidua sui mezzi di comunicazione, qualcuno ci rimane anche male nel dover varcare i cancelli quando il tramonto è ancora lontano. 

Del resto, andando ad analizzare il periodo storico, gli ostacoli a cui gli Ultras debbono far fronte per cercare di mantenere viva la fiammella della propria militanza, nonché una certa purezza e genuinità delle fede, sono davvero molteplici. In queste settimane più che mai è ritornato in voga il cosiddetto calcioscommesse (o presunto tale, a meno che Corona non ricopra anche il ruolo di giudice insindacabile), che sembra aver sorpreso tutti quelli che gravitano attorno alla sfera di cuoio. Eppure, senza voler per forza fare l’avvocato del Diavolo, ammetto di ignorare sufficientemente la faccenda. O per meglio dire: non mi sorprende. Da quando si può scommettere su tutto, da quando il fantacalcio ha preso il sopravvento sul calcio giocato e da quando la ludopatia (ahinoi) è entrata giocoforza nelle dipendenze più diffuse di quanto si possa pensare, la notizia che dei ragazzi in maglietta e pantaloncini vengano coinvolti in simili scandali non è forse la cosa più peregrina e sorprendente di questo Mondo. 

Intendiamoci: pur facendo distinzione tra patologia e semplice vizio, non sto giustificando chi si è eventualmente macchiato di tale errore. Ma la domanda viene spontanea: il mondo del tifo (organizzato e non) può davvero fare morali senza guardarsi attorno e dentro sé? Perché chiunque assista a una partita di Serie A avrà fatto caso alle esultanze che seguono ai risultati provenienti da altri campi. Dove magari ha segnato la squadra (magari pure acerrima rivale) su cui si è puntato o il giocatore che si ha nella rosa del Fantacalcio. Certo, radicale come punto di vista ma davvero questo è molto più pulito dal punto di vista morale di un giocatore che scommette sulla propria squadra? Andrebbe peraltro aperta un’ulteriore parentesi: ancora pensiamo che esistano (almeno ad alti livelli) personaggi che sposano la causa solo per passione e amore dei colori? E non voglio fare il retorico discorso del “Tifiamo solo la maglia”, ma appurare un dato abbastanza ovvio a qualunque normodotato: i professionisti del 2023 sono al 99 percento dei lavoratori, che ovviamente vivono come banderuole in preda al vento e all’offerta più conveniente. Eppure la storia recente ce l’ha insegnato: che sia Masiello o Doni, le uniche bandiere a cui ci si dovrebbe affezionare sono quelle sventolate in curva. Al netto delle poche eccezioni esistite ed esistenti, sia chiaro. 

A proposito di bandiere, tornando alla gara di oggi, molto significativa è la cerimonia che all’intervallo viene svolta sotto la Curva Sud per premiare i cinquant’anni di carriera in giallorosso di Bruno Conti. Uno che di gioie e bocconi amari in salsa giallorossa ne ha davvero vissuti a iosa. Il ragazzo che viene da Nettuno (e al quale intere generazioni di tifosi che neanche l’hanno mai visto giocare dedicano il celebre coro che lo mette in contrapposizione all’ex laziale Giordano Bruno) ha incarnato varie stagioni del club, passando dall’essere uno dei giocatori più virtuosi ad allenatore valido e riconosciuto. Ecco perché penso che oggi sia stato giusto tributarlo con un giro di campo e, ancor più, con le due bandiere che gli sono state date in mano per esser sventolare sul tartan dell’Olimpico, proprio come avveniva nei prepartita anni ottanta: quella con la scritta Curva Sud e quella realizzata in suo onore, con la sua foto e il numero 7 stampati. 

Sul tifo: buona la prestazione dei supporter lombardi che non smettono mai di incitare la propria squadra, mettendosi in mostra con due sciarpata e rendendo onore alla propria squadra che esce sconfitta di misura solo grazie a un gol realizzato da El Shaarawy al 92′. Non altrettanto di valore, invece, la performance della Sud, che soprattutto nel secondo tempo tende forse a perdersi troppo dietro le fatiche di una squadra che annaspa malgrado la superiorità numerica. Di certo da un settore dal tale potenziale e dalla sconfinata passione è legittimo attendersi qualcosa di più. 

Significativi quanto belli gli striscioni in ricordo di Stefano e Cristian, papà e figlio che nove anni fa persero tragicamente la vita in un incidente stradale, tornando a casa da Roma – Bayern Monaco e per ricordare Stefano Cucchi, di cui proprio oggi cade il quattordicesimo anniversario dall’uccisione avvenuta per mano delle forze dell’ordine. 

Da segnalare anche l’incessante sventolio di un paio di bandiere palestinesi, che lasciano ben intendere quale sia il pensiero comune su fatti extra calcistici che in questo momento stanno interessando la geopolitica mondiale. 

Al triplice fischio urlo liberatorio dell’Olimpico, che con la vittoria tiene scia al gruppone di testa. Per il tignoso Monza di Palladino, malgrado la sconfitta, ennesima conferma di quanto ormai bene si sia calato nella realtà della massima divisione.