Partiamo da un presupposto che tanti ignorano pur di cavalcare stereotipi vecchi quanto il mondo: dimostrare il proprio dissenso, esprimere il proprio parere e dare la propria idea, anche se non conforme a quella comune, non è e non può esser percepito come un atto di lesa maestà. Che sia calcio, politica o vita di tutti i giorni.

Penso che prima di iniziare qualsiasi discorso vada messo in chiaro proprio questo basilare concetto di convivenza democratica.  Un qualcosa che sembra ormai essere sfuggito a molti, soprattutto a quei fantomatici “cani da guardia” di suddetti diritti, quali dovrebbero essere i mezzi di comunicazione.

Va quasi di moda additare come “stolto rompicoglioni” chi prova a criticare e porsi dubbi su una data situazione o far sentire la propria voce “difforme”. In questo contesto, non stiamo qua a ripeterlo, è quasi naturale che ogni gesto degli ultras, anche una virgola messa al posto di un punto, susciti lo sdegno ipocrita di quella parte di popolino (villani ripuliti) che si ergono a depositari del pensiero “dritto” e della morale comune. E che troppo spesso occupano le redazioni dei giornali (e non solo quelli italiani, va detto per correttezza).

Cosa è successo prima, durante e dopo Roma-Sampdoria di così grave e pericoloso da far scattare comunicati della Questura, titoloni di alcuni giornali e prese di posizione del momentaneo capitano Alessandro Florenzi?

Bomboni in campo? Feriti? Morti? Invasioni? Minacce?

Nulla. Nulla di tutto ciò.

È successo che l’Olimpico (e non solo la Curva Sud, lo sa bene chi frequenta lo stadio) ha preso la sua netta posizione nei confronti della società e della squadra. Posizione di contrasto verso chi – secondo la maggior parte dei tifosi – non sta onorando la maglia. Posizione di contrasto verso chi, sempre secondo molti, con la sua gestione, le sue uscite infelici e il suo modo di fare talvolta sbruffone, talvolta menefreghista, ha gettato un’ombra sulle tradizioni del club e su quel senso di appartenenza che ha sempre contraddistinto il pubblico giallorosso.

Hanno tirato dollari con la faccia di Pallotta. In città è stato esposto qualche striscione a tema. Allo stadio è stato fatto qualche coro. Al termine della partita – persa 0 a 1 – è stato ribadito tutto il proprio dissenso.

Niente di eclatante sia chiaro. Tutto nei limiti dell’accettabile, molto distante dalle contestazioni vere e proprie a cui eravamo abituati anni fa.

Eppure tanto è bastato per far dissotterrare l’ascia di guerra, mai veramente sepolta, nei confronti del settore popolare romanista. Per minacciare ulteriori giri di vite e controlli ferrei (come se ora si entrasse allo stadio senza venire perquisiti).

A che pro dunque un giornale a tiratura nazionale, con particolare presenza nella Capitale, dedica intere pagine a “L’allarme Curva Sud” o a “La rivolta delle tifoserie per i controlli più severi”? Ma quando è successo tutto ciò? Perché noi, che Roma la viviamo quotidianamente e lo stadio ancor più, non ce ne siamo ancora resi conto.

La rivolta per i controlli più severi? I tifosi di Roma hanno portato avanti una battaglia contro la cieca repressione del periodo “barriere” con un’esemplare compostezza e un’altrettanto inappuntabile civiltà. Benché, al loro rientro, abbiano continuato a essere bersaglio di multe e sanzioni per aver lanciato un coro dalla balaustra e aver voluto rendere l’ambiente più caldo e rumoroso. Col solo intento di aiutare la propria squadra del cuore.

Semmai qua le rivolte, quelle aspre e senza quartiere, sono condotte proprio contro i tifosi. E non si vede l’ora di poter rincarare la dose. Vittime designate di ogni tipo di nefandezza istituzionale e continuamente infangati da un sistema mediatico che, in un posto normale, verrebbe deriso dopo una settimana di contenuti simili.

Parte della stampa romana ritira fuori storie di dieci anni fa, parla di accordi tra i gruppi, di capi della Curva Sud e mette nomi e cognomi in bella vista. Come mai osa fare per casi di cattiva politica, omicidi, mala sanità e criminalità organizzata che avvengono spesso in città. Inoltre non cita mai (M-A-I) una fonte. Mai una ricostruzione logica. Mai un’argomentazione a questi fiumi di inchiostro.

Ora, ragionare per benaltrismo non ci deve appartenere. Si tratta di un esercizio di convenienza e anche distorsivo. Di certo non può valere il simposio secondo cui “se nel posto x succede il fatto y allora non debbo parlare della variante z perché meno importante”. Se un fatto configura notizia utile per la cronaca è sacrosanto che venga riportato. Ma se si decide di riempire buona parte del proprio giornale con un collage di notizie vecchie, condite dalla solita retorica sul tifo organizzato, come possiamo non pensare male degli autori o dei loro editori?

Cosa ci rappresenterebbero costoro? Immagino che per parlare di stadio, calcio e tifo abbiano una lunga esperienza in merito. Immagino che conoscano l’argomento. Perché se così non fosse sarebbe grave giornali storici e dalla larga tiratura si avvalgano di penne che non sanno neanche di cosa parlano.

Volendo astrarci dalle fandonie promulgate a mezzo stampa, occorre anche calarsi concretamente nei fatti. Per evidenziare, in particolar modo, l’atteggiamento dei giocatori a fine partita. La Curva chiama la squadra sotto al settore, con il chiaro intento di fischiarla e mostrare il proprio disappunto. I giocatori tirano dritto, salvo Nainggolan che vorrebbe andare sotto al settore popolare. Florenzi lo trascina via. Nel dopo partita spiegherà: “Ci è stato detto di non avvicinarci alla curva per ragioni di ordine pubblico”.

È vero, c’è una regola, che viene confermata anche da una nota della Questura nelle ore successive. È l’articolo 12 comma 8 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC: “Ai tesserati è fatto divieto di avere interlocuzioni con i sostenitori durante le gare e/o di sottostare a manifestazioni e comportamenti degli stessi che, in situazioni collegate allo svolgimento della loro attività, costituiscano forme di intimidazione, determinino offesa, denigrazione, insulto per la persona o comunque violino la dignità umana”.

Tuttavia una domanda sorge ugualmente: addirittura non si sarebbe potuto andare neanche al margine del campo, in linea con la porta, a prendersi due fischi e poi rientrare negli spogliatoi? Da uomini. Nell’articolo si parla di “interlocuzioni”, cosa che sarebbe stata ovviamente impossibile a 50/60 metri di distanza.

Veramente qualcuno avrebbe potuto ritenere ciò disdicevole? Perché se così è – ribadisco un concetto affermato diverse volte – sarebbe più giusto che sotto le curve i giocatori non ci andassero mai. C’è una bella differenza tra il ricevere una minaccia e i giusti improperi di chi regolarmente paga biglietti, abbonamenti e viaggi per veder tradite le proprie aspettative.

Troppo facile prendersi l’abbraccio dei tifosi solo quando le cose vanno bene. Sembra quasi – passatemi la frase retorica e melensa – che oltre a essere un corpo in prossimità di voluta espulsione, i tifosi oggi debbano essere gli unici a pagare ogni tipo di situazione, anche quelle più ridicole e farsesche. Ultima ruota del carro? Magari, vorrebbe dire che quanto meno nessuno gli desterebbe simili e perverse attenzioni.

La volete sapere tutta? Il peggior messaggio che si può far passare è proprio questo. Il continuo scrollarsi le spalle di fronte alle proprie responsabilità. Che insegnamento si può dare ai ragazzi delle giovanili per il prosieguo della propria carriera, se non capiscono il peso delle maglie che indossano e i sogni dei tifosi che si celano dietro (ovviamente è un discorso che va be al di là di Roma)?

Allora regnasse l’indifferenza sempre. Tanto, duole dirlo ma è la verità, salvo rare eccezioni ai giocatori di oggi non interessa nulla della maglia, dei tifosi, della città e di tutte queste cose che purtroppo sono avulse al calcio del 2018 e ai suoi meccanismi, più affini a uno show televisivo americano che a uno sport nel vero senso della parola.

Ci sia indifferenza ma non si condanni a prescindere, non si facciano diventare urgenze nazionali, delle normali contestazioni che nel calcio sono sempre esistite e non si capisce perché a Roma debbano sempre diventare la goccia che fa traboccare il vaso.

Un ultimo focus voglio dedicarlo ai tifosi ospiti. Gli ultras doriani tornavano all’Olimpico dopo diversi anni, grazie alla trasferta dichiarata, proprio all’ultimo, aperta anche ai non possessori di tessera del tifoso. Certo, i numeri dei tempi che furono sono solo un vago ricordo, tuttavia il contingente blucerchiato si contraddistingue come sempre per i tantissimi bandieroni, il supporto incessante e l’approccio al tifo davvero bello a vedersi. Un ritorno gradito, che quanto meno dona al settore ospiti un po’ di verve, rispetto alla generale piattezza che lo contraddistingue.

Testo Simone Meloni
Foto Cinzia Lmr