Il Valdarno si fa sempre più fitto e rigoglioso quando il treno si muove da Arezzo in direzione Firenze. Lentamente si apre adombrato dai nuvoloni neri che in questa domenica di inizio ottobre sembrano a tutti i costi volerci ricordare che sì, la bella stagione è ormai alle spalle e l’autunno si prepara a penetrare impietoso le nostre giornate. Pioverà qualche ora più tardi, ma fortunatamente Giove Pluvio avrà l’accortezza di chiudere i rubinetti proprio pochi minuti dopo il fischio d’inizio. Salvando capra e cavoli e non guastando una giornata nel suo piccolo storica.

Sangiovannese-Montevarchi torna a disputarsi in campionato, con le due tifoserie di fronte, dopo ben dodici anni. Era la stagione 2003/2004 e sulla panchina della Sangiovannese sedeva un tale Maurizio Sarri.

Campanile, sfottò, rivalità. Ma anche tanta storia e radici che affondano in un passato lontano.

Basti pensare che l’incontro amichevole tra aquilotti e azzurri, disputato a San Giovanni Valdarno il 10 dicembre del 1944, rappresenta una delle pagine più nere e misteriose del calcio italiano. In quell’occasione le squadre vanno a riposo sull’1-0 per gli ospiti. Un risultato che non fa certo gioire lo stadio, occupato quasi esclusivamente da sangiovannesi. Nella ripresa l’arbitro decreta un generoso calcio di rigore a favore degli azzurri ma il portiere montevarchino neutralizza la massima punizione. È l’inizio della fine. Pesanti incidenti scoppiano in campo e sulle gradinate con le squadre che battono velocemente la ritirata negli spogliatoi. L’allenatore rossoblu Renato Pieraccioli tenta la fuga attraverso una finestra che dà direttamente sull’argine dell’Arno. Di lui non si saprà più nulla. E – sebbene in pochi al di fuori del Valdarno sappiano questa storia – la sua uccisione è sicuramente una delle prime morti legate al calcio nazionale.

Sono passati quasi ottant’anni eppure quella vicenda non è stata mai completamente chiarita. C’è chi dice che si sia trattato di un delitto legato alla funesta situazione politica che caratterizzava l’immediato dopoguerra italiano e chi sostiene addirittura che Pieraccioli sia stato bruciato nei forni della ferriera di San Giovanni. A lui è intitolata una tribuna dello stadio di Montevarchi, il Brilli Pieri. 

Ma oltre a questa vicenda, che ovviamente fuoriesce ampiamente dal contesto prettamente calcistico, tutti possono immaginare quanto grande possa essere l’astio tra due paesi divisi solo da una manciata di chilometri (da centro a centro sono circa 6) e compresi nel complesso comprensorio toscano che – storicamente – ha fatto del campanile e delle acredini territoriali dei veri e propri cavalli di battaglia.

Non è un caso se in tempi di magra per il calcio siano stati staccati circa 2.000 biglietti in prevendita. È ovvio, sarebbe stupido e anacronistico aspettarsi i derby degli anni ’80/’90/inizio 2000, ma la moltitudine di sciarpe azzurre che si vedono camminare per il centro storico di San Giovanni e attorno allo stadio danno la giusta idea di quanto questa sfida sia ancora molto sentita e attesa con trepidazione. Sebbene la Coppa Italia ne abbia già offerto un gustoso antipasto, disputato però al Brilli Pieri.

C’è quindi un’aria frizzantina che viene resa elettrica quando si sparge la voce che il murales all’esterno della gradinata sangiovannese, dedicato allo scomparso Marco Sestini (al secolo Vongolo), è stato imbrattato. Gli ultras azzurri raggiungono lo stadio in corteo scadendo numerosi cori contro gli avversari e sparpagliandosi nei pressi dello stadio per presidiare il proprio settore. Nel tardo pomeriggio, a partita conclusa, verrà divulgato un comunicato ufficiale con cui la Curva Sud Montevarchi prenderà nettamente le distanze dal gesto, condannandolo senza se e senza ma.

I supporter rossoblu hanno organizzato la propria trasferta in treno, optando per il regionale delle 14:07. Io e Marco ci avviciniamo alla stazione, con la pioggia che si fa sempre più fitta, speranzosi di imbatterci nel corteo ospite. Tuttavia ci basta dare un’occhiata ai monitor e scorgere i 30 minuti di ritardo del treno per fare immediatamente retromarcia, onde evitare di entrare anche noi a gara iniziata. Inutile dire che in questa occasione ha prevalso l’italica abitudine di ritardare l’ingresso degli ospiti, peraltro danneggiando i normali cittadini che viaggiavano sul convoglio. Ma ormai nel nostro Paese per “ragioni di ordine pubblico” tutto è possibile.

Pertanto quando le due squadre fanno il proprio ingresso in campo degli ospiti ancora non v’è traccia. In compenso i sangiovannesi fanno scendere sul proprio settore la coreografia ed è obiettivamente un bel vedere: un telone centrale riproduce fedelmente una delle prime formazioni del calcio locale attorniato dall’acronimo STIV (Società Toscana Industria Vetraria). Questa azienda, che aveva il merito di ingaggiare i migliori talenti cittadini, fece debuttare per la prima volta in un campionato ufficiale San Giovanni Valdarno e può considerarsi, in poche parole, la progenitrice dell’attuale club.

Comincia la sfida in campo, mentre quella sugli spalti è inizialmente monca. Il Montevarchi trova quasi subito il gol del vantaggio, ironia della sorte proprio mentre il grosso dei suoi tifosi sta facendo l’ingresso nel settore ospiti.

Ora il derby è al completo e finalmente il duello sulle gradinate si accende. Per giudicare onestamente ma anche contestualmente bisogna sempre ricordarsi dell’involuzione che tutto il movimento ultras, e il tifo per il calcio in generale, ha patito negli ultimi tre lustri. Al netto di ciò mi sento di dire che quanto visto al Fedini è sicuramente da spot per la Serie D e anche per qualche partita di categorie maggiori spesso grigia e smorta.

Il settore di casa torna a riempirsi come ai bei tempi e questo, se da una parte rende più difficile il compito di chi coordina il tifo, dall’altra regala un colpo d’occhio davvero buono. Tante le manate, belli i bandieroni sempre in altro e da sottolineare un tifo che non cessa mai nella zona centrale (quella occupata dagli ultras) mentre nel secondo tempo, anche a causa del raddoppio montevarchino, i lanciacori avranno qualche difficoltà in più nel trascinarsi dietro il resto dei presenti. Meritano sicuramente menzione le numerose sciarpate effettuate e qualche striscione di sfottò diretto ai dirimpettai.

Sul fronte ospite i rossoblu impiegano logicamente qualche minuto a compattarsi, posizionare le pezze e cominciare a cantare. Un diesel che minuto dopo minuto ingrana fino a girare appieno nella ripresa, forte anche del risultato. Una prestazione colorata da due bei bandieroni tenuti in alto, dalle belle esultanze e dall’ottima intensità messa in mostra nei secondi 45′. Classico tifo di stampo italiano e ottimo l’approccio alla curva. Per loro si tratta certamente di una rinascita, dopo il fallimento che giocoforza aveva fiaccato anche il movimento curvaiolo.

Tantissimi i cori contro gli aretini, quasi a voler sottolineare come il vero derby per loro sia quello contro il cavallo rampante. Benché non manchino le invettive contro i sangiovannesi, segno tangibile che quando si vive gomito a gomito, in contesti come questi, un’atavica antipatia è difficile da scalfire. E in fondo è giusto così.

Avevo lasciato i ragazzi di Montevarchi in un pomeriggio di 13 anni fa, al di fuori dello stadio Tre Fontane, per una sfida che li vedeva opposti a quello scempio calcistico che fu la Cisco Roma. Ricordo che andammo a vederli assieme a un amico, rimanendone piacevolmente impressionati, soprattutto dalla vena goliardica mostrata in numerosi momenti della partita. Li ho ritrovati ancora in degna forma (sempre con le dovute differenze rispetto al mondo ultras di 13 anni fa) e con la voglia di tornare su ottimi livelli.

Unica postilla: non vedere neanche una torcia o un fumogeno in una simile partita è davvero avvilente. Ma del resto non posso certo biasimare i ragazzi dei gruppi organizzati. Avere la telecamera della polizia puntata addosso per 90 minuti è sufficiente per rinunciare a qualsiasi velleità pirotecnica. Del resto viviamo in un Paese dove le priorità sono sempre ben chiare.

Al fischio finale ovviamente tripudio montevarchino e delusione sangiovannese. Tuttavia le due squadre vengono chiamate sotto i rispettivi settori e accolte da applausi e cori di ringraziamento. In questo genere di partite l’emotività e l’orgoglio hanno la meglio su tutto il resto. Per questo è bello vedere le due fazioni scambiarsi “attestati di stima” ben oltre la fine del match, con lo speaker dello stadio costretto (dalle forze dell’ordine) a invitare i tifosi di casa a lasciare la gradinata per favorire il deflusso degli ospiti.

Deflusso che avverrà con un bel corteo fino alla stazione.

Prendiamo il treno assieme ai tifosi rossoblu, ghignando per l’annuncio di Trenitalia che giustifica la lunga sosta e il copioso ritardo maturato a Montevarchi con la più classica delle italiche scuse: quella per “ordine pubblico”.

Mando così in archivio il derby del Valdarno. Conscio di aver assaporato un po’ quell’aria di calcio minore sanguigno e verace che costituisce ancora l’ossatura più vera e sentimentale dei nostri stadi. Me ne vado da San Giovanni contento di poter annoverare questa sfida nella mia personale lista (che peraltro non ho mai avuto da buon disordinato cronico).

Mi cade per l’ultima volta l’occhio sull’Arno. Sembra quasi esser rinfrancato nell’aver rivisto due sue figlie fronteggiarsi con tanta foga.

Simone Meloni.