Nella Provincia di Salerno, nell’area meglio nota come Cilento, sorge Castellabate, comune italiano di 8.655 abitanti, composto da varie frazioni; Santa Maria di Castellabate, collocata nella parte bassa della città, è la maggiore. Nella cittadina cilentana, famosa per il film “Benvenuti al sud”, gioca la Polisportiva Santa Maria, club fondato nel lontano 1932 su iniziativa di Valentino Izzo, l’allora podestà di Santa Maria di Castellabate.

La Polisportiva Santa Maria del Cilento, i cui colori sono il giallo ed il rosso in onore dell’Urbe Roma, disputa i propri match nell’impianto intitolato all’ingegnere Antonio Carrano, illustre personaggio locale che a partire dagli anni Cinquanta diede il via al percorso di rifondazione dello storico sodalizio giallorosso. La storia recente della Polisportiva sembra essere ancora legata a quel glorioso passato: l’attuale presidente, Francesco Tavassi, infatti, è nipote dell’ingegnere Carrano. I muri dietro la porta riecheggiano quella che è la storia e la tradizione del club, i murales rievocano la storia attraverso i simboli calcistici e i volti noti del club.

Oggi la Polisportiva Santa Maria del Cilento, grazie all’impegno, non solo economico, dell’attuale proprietà, è riuscito a coronare il sogno di approdare in serie D, passando dai campionati regionali alla quarta serie, un lusso per il piccolo centro cilentano. Queste piccole realtà però, spesso si scontrano con problemi infrastrutturali che ne limitano le possibilità o, peggio ancora, ne impediscono di vivere appieno i sogni. Accade, infatti, che squadre neopromosse siano costrette a cercare ospitalità altrove, vanificando di fatto le aspettative, legittime, di intere comunità che dopo aver cullato il desiderio della promozione si vedono costrette a seguire i propri beniamini in trasferta sempre, anche quando i match teoricamente si dovrebbero disputare in casa. La Lega di serie D (ma più in generale chi governa il calcio) spesso pone requisiti d’accesso ai vari livelli di categoria che di fatto annullano quanto invece ottenuto sul campo e, non di rado, accade che al salto di categoria corrisponda anche il “trasloco”: vuoi giocare in serie D?, allora trovati uno stadio a norma, più grande, più spazioso e più comodo, capace di contenere migliaia di spettatori, che, alla prova dei fatti, mai e poi mai andranno a popolare l’impianto, vuoi per lo scarso appeal della categoria, vuoi perché il bacino d’utenza è talmente piccolo che il problema non è la capienza ma le potenzialità che la piazza in questione potrebbe offrire. Insomma, rinuncia alla tua casetta da 50 mq e cerca una da 200 mq, anche se poi ci andrai a vivere da solo. I paradossi del calcio “moderno”, molto formale e poco orientato alla sostanza. Non ci stupiamo quindi se, tanto per citare un esempio recente, questa estate abbiamo assistito al caso Lecco, club quasi escluso dalla serie B per un “paio di tornelli” non a norma.

Avrà prevalso il buon senso, oppure sarà passato tutto in sordina nei temuti uffici, ma è bello sapere che la Polisportiva Santa Maria giochi i propri match a Santa Maria del Cilento e non per esempio nella vicina Agropoli come invece è costretto a fare il Gelbison, club a pochi km da Castellabate. I giallorossi, per fortuna, sono riusciti a rimanere tra la loro gente, e di per sé questa è una notizia, perché nel paese dei cavilli e delle regole rigide, ottenere di vivere il sogno della serie D a casa propria è sì una notizia.

Il club cilentano disputa dunque le proprie gare nel piccolo impianto di casa che, oltre ad avere una tribuna per i tifosi locali ridotta, ha un settore dedicato ai tifosi ospiti che può contenere poco più di 200 tifosi; la bassa capienza non sembra essere tuttavia un problema, infatti almeno fino ad oggi non si sono registrati sold out e la gestione dell’ordine pubblico, nonostante l’assenza di tornelli o telecamere, non ha creato particolari grattacapi alle forze dell’ordine. Volendo si può fare, insomma.

Sarebbe, insomma, altrettanto bello se un domani anche il Sassuolo, il Feralpi Salò o tante altre realtà sportive potessero giocare gli incontri casalinghi tra le mura della propria città e non perennemente in trasferta.

Passando alla cronaca del tifo da Altamura arrivano circa 150 altamurani festanti e felici di incitare la propria compagine che ha riconquistato proprio la domenica precedente il primato. Quando le squadre scendono in campo il loro settore, basso e stretto, si colora di sciarpe e bandiere; anche questa è una notizia, perché nella nuova deriva che accompagna il movimento ultras essere colorati è quasi diventata un’onta e si preferisce girare in forma anonima, quando poi di anonimo c’è poco, se ci si veste con marche tutte uguali e tutti in una forma perfettamente riconoscibile.

La partita è un monologo biancorosso, i murgiani chiudono il primo tempo con un secco 2-0, mentre nel secondo dilagano, rifilando altre tre reti al malcapitato portiere avversario. Il tifo ovviamente cambia spartito a seconda dell’andamento della gara: quando la squadra soffre si prova a far sentire il fiato sul collo degli avversari, quando i propri beniamini dominano per 5-0 allora si abbassa la guardia e si pensa più a divertirsi.

I padroni di casa non puntano sui numeri, sono oggettivamente pochi, ma dopo qualche minuto dall’inizio provano a farsi sentire e anche se in numero ridotto, sfoderano una buona prestazione. Sul 5-0 staccano pezze e striscioni e assistono in religioso silenzio agli ultimi istanti della partita, riservando qualche fischio ai propri giocatori che mestamente guadagnano gli spogliatoi.

Michele D’Urso