Contravvenendo a tutte le mie personali imposizioni etiche, decido di seguire anche io da vicino questo Santarcangelo – Padova: non mi sono mai piaciute le partite in gruppo con altri fotografi della rivista, preferisco in alternativa coprire qualche altro campo, anche meno interessante in termini ultras, pur di avere un evento in più nella nostra agenda settimanale. Ma questa volta arrivano amici da lontano per cui decido di fare uno strappo alla regola, soprattutto per il godereccio pre-partita enogastronomico su cui ci siamo accordati.
Appesantiti da una sessione plenaria di pappardelle al ragù di cinghiale, tagliate di manzo e tutto quel che di buono ha da offrire la prima collina riminese, riusciamo ad arrivare persino in buon anticipo al “Valentino Mazzola”. I restanti timori della vigilia vengono definitivamente fugati con parcheggio e accrediti rimediati con estrema facilità e velocità, la stessa velocità con cui guadagniamo il terreno di gioco. Merito anche, va detto, della perfetta organizzazione della locale società che forse, come capita in provincia o nei campi minori in genere, oltre all’attenzione logistica in sé, fa tesoro di un modo di fare e vivere il calcio genuino e spensierato, lontano anni luce dalle esasperazioni del calcio maggiore, dove persino gli steward si trasformano in arroganti sceriffi, dove l’isteria generale raggiunge livelli davvero parossistici, insopportabili.
Se fin qui tutto è andato ben oltre le mie e nostre più rosee aspettative, a primo impatto rimango invece un po’ deluso dalla presenza padovana, almeno per quel che riguarda il mero dato numerico. Ma a sangue freddo la questione va valutata più nel dettaglio: è vero che il Padova arriva in Romagna da indiscussa capolista, ma bisogna ricordare che – oltre agli scarsi stimoli ultras che può dare Santarcangelo – questa trasferta è rimasta lungamente in bilico e solo giovedì è arrivato il definitivo via libera per la vendita dei biglietti del settore ospiti. Si poteva far meglio, sicuramente, ma le attenuanti vanno riconosciute. I dati della vigilia parlavano di 80 biglietti staccati, ma ad occhio le presenze sono nettamente maggiori.
Stilisticamente, il settore ha l’inconfondibile impronta fortemente “british” che da tempo caratterizza gli ultras padovani. A parte quella degli “U-PD”, per dimensione e fattura un po’ più vicina agli standard degli striscioni vecchio stampo, per il resto son tutte pezze di piccola metratura, per lo più croci rosse su campo bianco con piccole scritte in riferimento a località di provenienza dei vari gruppi, oltre ad altri motti più originali come “Special guest” o alla pezza della Juventude che fa il verso alla nota marca di abbigliamento “Paul & Shark”.
Nemmeno il tifo vocale vero e proprio è altrettanto entusiasmante. Beninteso, a cantare cantano sempre, nulla di imputabile in termini di continuità, con lo zoccolo duro che non molla mai, ma in quanto a potenza non raggiungono quasi mai picchi eclatanti, e a parte i primi minuti e qualche fiammata durante momenti particolari della gara, il loro tono sarà molto dimesso, circoscritto – come già detto – solo al nucleo centrale degli ultras. Meglio, ma notevolmente meglio nel secondo tempo e ne gioverà anche la loro squadra, che non aveva iniziato nel migliore dei modi ma che ha poi ribaltato la contesa a proprio favore.
Da segnalare un coro in ricordo di Stefano Furlan subito dopo il quale, a scanso di equivoci, ribadiscono il proprio astio verso Trieste, così come non hanno dimenticato di sottolineare quello verso Vicenza. Colore garantito da 4/5 bandierine oltre a una bandiera leggermente più grande, ma apicale in tal senso è stato il momento della sciarpata, sicuramente ben riuscita. In definitiva un buon secondo tempo che riscatta un primo al piccolo trotto e una prestazione globale che raggiunge la sufficienza, ma è lecito aspettarsi di più da una tifoseria di tale spessore e tradizione. Al netto – lo ribadisco – di tutte le attenuanti quali la vendita dei biglietti chiusa fino al giovedì e la mancanza di degni dirimpettai a far da stimoli.
Veniamo ordunque a questi dirimpettai, sui quali non avevo la benché minima aspettativa. E le aspettative spesso condizionano tantissimo, come forse mi hanno condizionato nel caso dei padovani da cui mi aspettavo molto. Dei “Casualmente ultras”, per dirlo senza peli sulla lingua, non ho una grandissima considerazione. Già il nome, di per sé, suona male: non capisco se goliardicamente si ritengano degli “Ultras quasi per caso” o se invece ammicchino al casualismo d’Oltremanica, ma scriverlo su uno striscione dietro il quale si raccolgono a ritmo di tamburo e con un tifo di chiara matrice italiana, risulta quantomeno un ossimoro.
Ma senza voler spaccare il capello in quattro con della filosofia spicciola, che lascia pure il tempo che trova, bisogna pure ammettere che stanno crescendo, come numero e, se non come qualità, senza dubbio come continuità del tifo. Chiaramente, non sono nemmeno lontanamente confrontabili con i padovani e se rimaniamo sotto il cono di luce dell’ortodossia, si fa persino fatica a definirli “ultras” nel senso stretto del termine, ma diciamocelo chiaramente: quanto ha rotto il cazzo l’ortodossia dei wannabe? Quanti danni ha fatto l’esasperazione della cosiddetta “mentalità”? Quanto eccessivamente sul serio si son presi in tanti negli ultimi anni? Persino la goliardia è diventata una posa autoreferenziale, se non peggio una sciatta imitazione, come o persino peggio di quelli che giocano a fare i “duri & puri”™ a priori, in qualsiasi occasione e imponendolo come un dogma universale a cui tutte le tifoserie del globo devono omologarsi. Abbiamo perso per strada la sana ignoranza, non quella becera dei “bomber” delle pagine Facebook, ma quella che ci faceva vivere con spensieratezza il calcio e lo stadio, quella per la quale non si rischiava di rimaner paralizzati ad ogni passo cercando di capire quale comma delle leggi del grande codice non scritto si violava con un dato comportamento.
Loro, i santarcangiolesi, alla stessa maniera disinvolta e genuina vanno allo stadio e si divertono. Dite che non sono ultras? Loro si divertono lo stesso, a differenza di chi ha immolato il divertimento in nome di una liturgia barocca e di un gioco delle parti, un gioco di ruolo che sembra sempre più frutto di un copione recitato a forza, non appunto un momento a suo modo ludico e divertente. Chiaramente la virtù e la verità stanno nel mezzo, non è che adesso Santarcangelo diventa un modello ispirativo come la “Fossa dei Leoni” d’antan, ma riappropriarsi del divertimento è indispensabile in tempi in cui l’impegno più evidente di Osservatorio, Casms e dei vari sgherri del Viminale è proprio quello di soffocare, sotto una nera cappa funerea, ogni moto di vitalità che nasce e si muove in maniera spontanea, spesso collettiva, dal basso.
Ad inizio partita si presentano, visto il clima carnevalesco, con parrucche gialle e blu oltre ad una serie di palloncini di stesso colore. Un bandierone, qualche bandiera più piccola e una sciarpata saranno le successive note cromatiche a completamento della loro prova. Il tifo canoro non è nulla di eclatante, specie in termini di originalità, ma cantano praticamente per tutta la partita. Con più di qualche pausa e senza picchi di potenza clamorosa, ma con una costanza che non avevo riscontrato loro mai in nessuna delle precedenti occasioni. Calano un po’ sulla lunga distanza e subiscono il ritorno nel secondo tempo dei padovani, ma contestualizzando e usando le dovute proporzioni una lode per la loro prestazione la meritano sicuramente.
In campo, a sorpresa, è il Santarcangelo a passare al 19′ con Sirignano, ma è una gioia effimera, che dura giusto cinque minuti, tempo che il romagnolissimo Nico Pulzetti rimetta le cose nel loro ordine naturale. Conclusosi in equilibrio la prima frazione, il pronostico della vigilia troverà piena realizzazione nel secondo tempo, con i goal di Capello a dieci minuti dalla ripresa delle ostilità e il definitivo sigillo, sempre dello stesso Capello, dal dischetto alla mezz’ora.
Bello e caloroso l’abbraccio finale fra squadra e tifosi biancorossi dopo il triplice fischio finale: la capolista continua la sua marcia serrata e spietata a quasi 20 punti di distacco dalle inseguitrici. Senza offesa per nessuno, sempre a proposito di ordine naturale delle cose, ma le improbabili favole calcistiche degli ultimi tempi e le loro assurde tifoserie ci hanno ormai stuprato la pazienza: è ora che nel calcio che conta ci tornino le compagini che lo meritano. Per tradizione, per storia, per i loro ultras.
Testo di Matteo Falcone.
Foto e video di Francesco Passarelli e Gilberto Poggi.