Forse uno dei derby più strani e inverosimili da quando vivo lo stadio Olimpico.
Partiamo da un presupposto: i tredici provvedimenti cautelari che in settimana avevano colpito altrettanti esponenti della tifoseria romanista, relativi all’aggressione di un anno fa ad alcuni turisti svedesi con simpatie laziali. Ovviamente minata l’attesa per questa sfida di campionato che – dopo il prologo di Coppa Italia – si presentava con le due curve nuovamente piene e il ritrovato entusiasmo delle due tifoserie, pronte a beccarsi, sbeffeggiarsi e darsi battaglia a suon di cori. Non è andata così.
È complicato giudicare i fatti. L’uomo della strada (e a Roma per la strada una volta ci crescevi sempre e comunque, apprendendo abbastanza bene regole e balzelli) conosce i propri limiti e le proprie responsabilità. Sa che ogni causa produce un effetto. Certo, nella fattispecie tredici diffide erano già state emesse e – parere personale – imporre degli obblighi di dimora aggiungendo una sorta di arresti domiciliari in occasione delle partite della Roma è stata una grande forzatura. Un qualcosa che probabilmente non sarebbe accaduto se i protagonisti non fossero stati tifosi di calcio.
Ovviamente – senza giri di parole e d’ipocrisia – sappiamo tutti che il confine tra ingiustizia e “dazio” da pagare in seguito a determinate azioni è sottile e leggero. Nella fattispecie le due le cose si intersecano. Per farla breve: chi commette un reato è normale che paghi, ma il tutto deve essere commisurato allo stesso e non prescindere dalla classe sociale di appartenenza e dal clamore mediatico suscitato dal reo.
Sabato sera – a poche ore dal fischio d’inizio – si sparge, prima sui social e poi sui siti d’informazione romanista, il messaggio del gruppo Roma: non si tiferà per protesta contro i provvedimenti presi dal Tribunale di Roma. Derby in silenzio. Facile commentare per chi di solito è abituato ad additare il tifo organizzato come la feccia del calcio, oppure a strumentalizzare l’operato delle curve per riempire d’inchiostro i propri editoriali. Più difficile per chi conosce un po’ le dinamiche di curva e deve in tutti i modi descrivere i fatti nella maniera più obiettiva e veritiera possibile.
Immagino quanto sia complicato recitare il ruolo di gruppo guida in una realtà come quella romana. La folle repressione, una tifoseria da sempre animata e turbolenta anche al suo interno e tante scelte difficili – e spesso impopolari – da prendere. Pertanto non sono nel ruolo di giudicare suddetta scelta. Tuttavia non l’ho condivisa. Soprattutto per un motivo semplice: il serio rischio di mettersi contro tanti tifosi che a poche ore dalla partita più sentita dell’anno si sono sentiti disorientati. E questo alla lunga potrebbe risultare dannoso se si pensa che l’omogenea levata di scudi contro le barriere aveva portato sulla stessa linea d’onda tifosi di ogni genere, spesso ben differenti nel modo di vivere lo stadio.
La libertà personale è la più grande cosa che noi tutti possiamo avere e quando questa viene lesa va assolutamente difesa e rincorsa, fino allo sfinimento. Eppure ritengo che questa fosse una fattispecie un po’ differente. Una di quelle classiche situazioni in cui le Curve mostrano solidarietà con quindici minuti, mezz’ora o un tempo di gioco per poi farsi sentire ancora più forte, facendo tremare il settore e chi vede negli ultras le proprie cavie da laboratorio.
Il derby poi si sa, è una partita che sposta. E ogni singolo aspetto finisce per determinare la vita di chi frequenta gli spalti durante questo match. Fino a mettere tifosi della stessa squadra gli uni contro gli altri. Proprio nel momento che più di tutti dovrebbe unire per far fronte al “nemico” comune.
È accaduto anche questo. Con una parte della Sud superiore che, nella ripresa, ha provato ad intonare alcuni cori per spronare una squadra che in campo aveva disperato bisogno di qualcuno che la scuotesse e la parte inferiore a reclamare il silenzio. Mentre il resto della tifoseria si è cimentata in fischi e improperi durante il coro per i diffidati lanciato dalla parte inferiore. È una situazione complicata da descrivere, perché non si limita al classico diverbio tra la curva e i distinti, figlio della contrapposizione tra tifoso più acceso e passionale e quello che – ad esempio – abbandona lo stadio anzitempo quando la squadra perde.
È difficile spiegare al tifoso medio – e non solo – il silenzio in una partita come questa, in una stagione dove la Roma viene dalla pesante eliminazione in Coppa Italia, subita sempre ad opera della Lazio. Io penso che i fischi non volessero essere un oltraggio nei confronti di chi ricopre un ruolo fondamentale in curva ed è spesso vittima di una repressione ingiustificata, ma uno sfogo contro un decisione mal digerita, che agli occhi di molti è passata come cedere la “propria casa” ai nemici di sempre.
Ci sarà stato poi, senza dubbio, pure chi è voluto andare oltre, annoverando tale decisione tra le “tante” volte a “salvaguardare i propri interessi”, come qualcuno ha detto durante la protesta per le barriere. Ma la maggior parte credo che volesse soltanto tifare la Roma nel derby e sicuramente, dopo due anni di sciopero (sacrosanto), è difficile pretendere che a due partite dal rientro l’ambiente metabolizzi ancora un silenzio, soprattutto nella sfida più emblematica della stagione. La psicologia del tifoso è tanto semplice quanto complessa e articolata. E il mio non condividere questa decisione si rispecchia anche nel rischio di giustificare le prese di posizione – pregiudizievoli e in malafede – di chi in questi mesi ha additato la protesta come una messinscena per difendere i già citati “chissà quali interessi”.
Tutto ciò ovviamente ha contribuito a creare un clima dimesso, malgrado ci fossero le premesse per un derby interessante, con la Tevere nuovamente popolata in maniera decente grazie alla vendita dei biglietti slegata dal contestuale possesso di tessere del tifoso e affini. È proprio in quel settore che ha albergato l’unica forma di tifo romanista in questa strana domenica di fine aprile. I ragazzi che generalmente popolano la Nord alta si sono dilettati in un paio di coreografie contro i dirimpettai, facendosi forti con quell’identità che sempre hanno tenuto a tutelare e mettere in risalto.
Ovviamente diversa la situazione in casa laziale, con la Curva Nord che sin da subito fa intuire la realizzazione di una coreografia. Per l’occasione un distinto del settore riservato ai biancocelesti è rimasto chiuso e sono circa 8.000 i biglietti totali finiti nella mani dei sostenitori laziali. Forse un numero non eccelso, sebbene ormai le stracittadine da sold out siano un lontano ricordo. Anche a causa di campionati che spesso finiscono con due mesi di anticipo e sfide – come questa – che hanno un valore sportivo del tutto relativo. Senza dimenticare il prezzo tutt’altro che abbordabile dell’Olimpico.
Ma questo è un discorso applicabile ad ambo le tifoserie: anni fa il derby si sarebbe potuto giocare anche in amichevole di 15 agosto, sugli spalti ci sarebbero stati comunque moltissimi spettatori.
Per quanto riguarda la scenografia, la Nord ricalca quella realizzata in Coppa Italia, sbeffeggiando gli avversari con le due date che hanno segnato la storia dei derby recenti: il 26 maggio 2013 (finale di Coppa Italia) e il 4 aprile 2017 (semifinale di Coppa Italia), il tutto con uno stendardo raffigurante un fantasma griffato Irriducibili a impersonificare l'”incubo” dei tifosi giallorossi. Molto bella l’idea, anche se dovendo fare una appunto c’è da dire che la realizzazione poteva essere migliore, a causa di uno dei due teli con le date che si è aperto con difficoltà e i cartoncini forse un po’ disuniti.
A livello canoro il sostegno degli ultras laziali viaggia a fasi alterne, con momenti di buona intensità e minuti di stanca. Sicuramente una performance al di sotto di quella registrata nella semifinale di ritorno della Coppa Italia. Belle e sentite restano invece le esultanze ai gol che regalano alla Lazio una strameritata vittoria per 3-1, così come merita menzione il coro spontaneo “rigore rigore” fischiato ogni qual volta un giocatore romanista si accascia al suolo, in seguito al penalty generosamente concesso ai giallorossi e a uno non fischiato in favore della squadra di Inzaghi.
Finisce così con la festa laziale e la rabbia del pubblico romanista un derby che non passerà certo agli annali per lo spettacolo visto sugli spalti.
Simone Meloni.