Tra i tanti blog, siti web e pagine Facebook sull’argomento calcio & tifoserie, uno dei più interessanti ed originali è senza dubbio il blog Vamo’ lo’ pibe’, attraverso il quale i due curatori, Beppe “Ostialad” e Federico “El Bohemio” (con quest’ultimo che può vantare un’esperienza pluridecennale in giro per gli stadi di Buenos Aires e della sua provincia), ci portano a conoscere tutti gli aspetti del pianeta calcio argentino. Dalla storia delle squadre più famose a quella delle tifoserie storiche. Passando per le cronache relative alle faide interne che purtroppo oggigiorno, troppo spesso, le caratterizzano.
Ma soprattutto, il Blog Vamo’ lo’ pibe’ ci fa conoscere le notizie più curiose e significative che giungono ogni settimana dai campi di calcio della provincia più profonda e sperduta dell’immenso stato argentino, dalle periferie della capitale alle immense pianure della Pampa, fino ai paesaggi mozzafiato della Terra del Fuoco.
E a questo proposito, per chi volesse saperne di più sul calcio minore argentino, Federico “El Bohemio” è stato il curatore della versione sottotitolata in lingua italiana dello stupendo film-documentario “El otro futbòl”, del regista argentino Federico Peretti, un lungo viaggio che attraversa tutta l’Argentina alla scoperta dei campi di calcio meno conosciuti, ma nei quali pulsa ancora la più vera e sana passione per questo sport.
Per chi volesse saperne di più, basta semplicemente contattare il blog Vamo’ lo’ pibe’ o contattandolo sull’omonima pagina facebook o all’indirizzo vamolopibe.worpress.com.
La visione del film è consigliata ad un pubblico di tutte le età!
Noi, nel frattempo, abbiamo incontrato Federico “El Bohemio” per una chiacchierata davanti ad un buon “asado” e a del buon vino.
22 domande a bruciapelo, come 22 sono i protagonisti sul campo, per provare a conoscere un altro calcio. Anzi, “el otro futbòl”.
Fischio d’inizio, si comincia…
1) Come nasce e perché nasce il blog Vamo’ lo’ Pibe’? Gli apostrofi nel nome indicano la forma contratta di “Vamos los pibes”? Perché questa scelta “stilistica”?
Qual è, inoltre, l’idea di fondo che sta dietro a questo progetto? In quanti ci collaborano e quali sono le tue fonti, visto che riesci ad avere sempre notizie in tempo reale, che spesso addirittura anticipano ciò che viene pubblicato sulla stampa argentina, circa le vicende delle barras bravas?
L’idea di creare un blog sul tifo argentino è nata durante i mondiali del 2010 in Sudafrica. Io seguivo già da tempo diversi blog italiani tipo Terraces, In the crowd e Mentalità ruccutona. Di solito leggevo gli articoli ma non partecipavo mai alle discussioni, poi durante quei Mondiali sono state riportate alcune notizie che mi coinvolgevano, tipo la storia delle barras bravas “deportate” nelle carceri sudafricane e le storie secondo cui i sostenitori argentini erano pagati dal loro governo, così ho iniziato a partecipare attivamente anche alle discussioni di quei blog. È stato in quell’occasione che ho stretto amicizia con Beppe “Ostialad”, che mi ripeteva in continuazione che avremmo dovuto creare un nostro blog perché, mentre c’era tanta roba in rete sui casual e sugli ultras, al contrario non c’era ancora nulla sul calcio argentino e sui barras bravas. È stato così che, il 16/9/2010, abbiamo lanciato ufficialmente Vamo’ Lo’ Pibe’, il nostro blog.
Gli apostrofi, come si è intuito, prendono il posto delle “S” finali: c’era un murales dell’Atlanta, a Villa Crespo, con Lo’ Pibe’ a fianco dello stemma della squadra. Deriva dallo spagnolo questa usanza di “mangiarsi” le “S” finali quando si parla veloce, ed è anche un uso da gente non del tutto a proprio agio con il plurale, magari un po’ anche per ignoranza. Molti barras urlano sempre “Vamo’ lo’ pibe’!!!”, una frase che di solito si utilizza per dare la carica tipo il “carica ragazzi” nostrano prima di partire a cantare. Oppure, più semplicemente, quando si fa un coro di quelli che si ripetono ad oltranza, e quando finisce un giro, per non far spegnere il coro stesso, c’è sempre qualcuno che urla “Vamo’ lo’ pibe’, vamo’ que sigue loco!”.
Venendo al progetto, l’idea che ne stava alla base era di far conoscere ai ragazzi italiani il modello di tifo argentino, anche perché abbiamo notato che si aveva un concetto distorto rispetto a quella che è la realtà. Le poche notizie sul calcio argentino che arrivavano qui in Italia parlavano sempre e solo di scontri e di morti allo stadio, ed erano riportate da giornalisti italiani che, per cercare di fare colpo sui lettori, rimarcavano esclusivamente gli episodi di violenza negli stadi.
A lavorare al blog siamo in due, io e Beppe “Ostialad”. A volte è dura riuscire a starci dietro e perciò capita che non riusciamo ad essere sempre aggiornati come vorremmo. Il blog inizialmente è partito con notizie in prevalenza sulle barras e sugli scontri tra le tifoserie argentine ma poi abbiamo cominciato a parlare anche di musica e di culture di strada, oltre a raccontare storie di personaggi legati al mondo del calcio argentino o episodi particolari che hanno riguardato le squadre che ne hanno scritto la storia. Insomma, tutta roba rivolta a chi, come noi, ama il calcio. E quello argentino non è solo Boca e River o le partite che si vedono su Sport Italia. Tanta gente lo ha capito e ci segue.
Le fonti da cui attingiamo le notizie di cronaca sono sempre le stesse, Olè per quello che riguarda la Primera Division e il calcio di Buenos Aires, e Ascenso del Interior per i fatti di cronaca che avvengono nelle regioni interne dell’Argentina. Quei due siti ci danno lo spunto per la notizia, poi cerchiamo in rete altri articoli e commenti sui fatti, per avere una visione più aperta prima di scriverne.
Dopodiché, utilizziamo le nostre conoscenze all’interno delle barras, che ci forniscono sempre qualche notizia o aggiornamento di prima mano. Il riuscire, a volte, a giocare d’anticipo rispetto alla stampa argentina è dovuto anche al fatto che sia io che Beppe siamo persone da stadio, frequentiamo gli spalti da una vita e quando tu frequenti per molto tempo una barra o un gruppo ultras, riesci a capire meglio le personalità dei componenti e come ragionano a seconda delle situazioni. Capisci come si muovono i gruppi e anche come si muovono polizia, dirigenti e i politici locali.
Noi abbiamo cercato sin dall’inizio di trasmettere la nostra esperienza in ogni articolo del blog. Certo, sarebbe molto più facile fare una traduzione delle notizie che circolano sul web (oggigiorno con il “translate” lo fai in due secondi) ma non ci piace. Quel tipo di lavoro lo lasciamo fare ai giornalisti precari dei grandi mass media. Di fatto, non ci interessa postare subito l’articolo per guadagnare lettori, preferiamo metterci un giorno in più ma raccontare la verità dei fatti. Secondo noi la credibilità di un media non dipende dalla velocità con cui viene data l’informazione ma dai suoi contenuti. Dare una notizia in anteprima, senza averla verificata, non vuol dire informare. Per averne la conferma, basti pensare al caso di Gabriele Sandri. Subito si era parlato di un tifoso ucciso a seguito di scontri tra ultras laziali e juventini, di coltelli, di scene di guerriglia urbana e di devastazioni in autogrill e poi alla fine è venuto fuori che si trattava di un poliziotto che si era messo a sparare da una parte all’altra dell’autostrada.
Penso sia diventato proprio questo il nostro punto forte, chi ci segue sa che noi siamo persone da stadio e che, a differenza di altri siti che scrivono sul calcio argentino, noi certe realtà le abbiamo vissute in prima persona e le viviamo ancora oggi, tutte le volte che andiamo in Argentina.
2) Leggendo i contenuti del tuo blog si capisce subito di essere al cospetto del massimo esperto italiano di “barras bravas” argentine. Raccontaci di te, per quanti anni hai vissuto in Argentina prima di trasferirti in Italia? Quale o quali squadre seguivi a Buenos Aires? Eri un semplice sostenitore della tua squadra del cuore oppure eri attivamente impegnato all’interno di una “barra”? Oltre a seguire attivamente e con costanza la tua squadra del cuore, hai visto all’opera anche altre tifoserie dal loro interno?
Sono nato a Buenos Aires, città nella quale ho vissuto per 30 anni prima di trasferirmi in Italia.
Ho iniziato da piccolo a frequentare gli stadi di Buenos Aires. Mio padre era un vecchio abbonato del River Plate e mia madre mi raccontava che, quando era incinta di me, è andata con lui al Monumental (la casa del River Plate) fino a che non è arrivata all’ottavo mese di gravidanza. Poi, quando sono nato io, mio padre mi ha portato per la prima volta allo stadio Monumental che avevo appena un mese di vita. Un vero “malato” di calcio mio padre, che durante il fine settimana mi portava a vedere il River, l’Atlanta allo stadio di Villa Crespo (un suo zio era un vecchio tifoso, anche lui come me “malato” dei Bohemios), l’Argentinos Juniors e il Club Sportivo Italiano. Insomma, tutte le squadre che giocavano nella zona nord della città noi le andavamo a vedere.
Nel 1979, l’Atlanta retrocesse nella vecchia Primera B e ho visto piangere e star veramente male lo zio di mio padre, che all’epoca aveva più di 70 anni. Il suo amore e il suo attaccamento alla maglia mi hanno colpito e così ho scelto l’Atlanta come prima ed unica squadra, chiedendo subito a mio padre di diventarne socio. All’inizio seguivamo i Bohemios solo durante le partite casalinghe ed in qualche trasferta, di quelle che si potevano fare con un bimbo di 6-7 anni al seguito. Eravamo abbonati in tribuna ed io, durante le partite in casa, guardavo piu “la popular” che la partita stessa. Soprattutto, restavo lì a guardare ogni volta che facevamo una trasferta e c’era la possibilità di essere vicino a “los pibes de la barra”.
Nel 1983, appena finita la scuola, feci le vacanze estive all’interno del Club; tre mesi tra amici, calcio, piscina, etc. (tutto quello che una polisportiva possa offrire) e proprio nell’anno in cui l’Atlanta ritornò in serie A (anche se solo per una stagione). Con delle emozioni così forti, un amante del calcio non può non diventare un supertifoso della propria squadra.
All’inizio ero un semplice sostenitore, poi nel 1986 ho lasciato il mio posto in tribuna per trasferirmi nella “popular”. Le trasferte le facevo quasi tutte, le più “facili” con la Barra, quelle più difficili, avendo appena 13 anni, ovviamente dovevo per forza farle con mio padre.
L’impegno all’interno della propria tifoseria arrivava da solo, bastava frequentare i pibes sia allo stadio che nella vita sociale del club. Erano altri tempi e i Barras erano gente del Club; gente che tu vedevi giocare a calcio, fare l’asado, erano sempre impegnati nella vita sociale del Club stesso e la domenica o il sabato si faceva gruppo e si partiva per la trasferta. Una volta ti toccava portare le bandiere, altre volte i tamburi, i bombos, etc. Loro sapevano chi eri, ti venivano incontro e ti integravi facilmente, non c’era il business che c’è adesso!
I capi della Barra, prima di una trasferta, parlavano coi dirigenti e, in alcuni casi, si riusciva ad ottenere i soldi per pagare uno o due pullman. Se non c’erano quei soldi si viaggiava coi mezzi pubblici. Per entrare allo stadio bisognava contrattare, ciò vuol dire che di solito, in settimana, le squadre si mettevano d’accordo per il numero di biglietti “gratis” e se le nostre richieste superavano quella quantità, allora si faceva una colletta per pagare i biglietti che mancavano. A volte non c’erano per niente biglietti gratuiti e non c’erano nemmeno i soldi per pagarli tutti, così alcuni di noi pibes entravamo in curva e facevamo una colletta tra gli altri “tifosi” presenti nel settore. La gente all’epoca collaborava volentieri perché sapeva che i soldi servivano per far entrare i pibes dell’Atlanta, ragazzi che venivano a tifare la loro stessa squadra (considera che in Argentina, in generale, c’è molto più pubblico “sportivo” che va in trasferta, mentre in Italia, fino a prima dell’introduzione della Tessera del Tifoso, in trasferta andavano prevalentemente gli ultras e qualche semplice tifoso). Era tutto un altro mondo, all’interno di una barra conoscevi tutti, la gente era nata e cresciuta all’interno del Club, si andava in trasferta solo per i colori e per l’orgoglio del proprio barrio.
Ho visto da vicino la vecchia barra dell’Excursionistas (che milita in Primera C Metropolitana, la C2 di Buenos Aires) dai primi anni ‘80 fino ai primi anni ‘90. Abitavo a 200 metri dal loro stadio e ci andavo quando non giocava l’Atlanta. Erano molto belli da vedere sia in casa che in trasferta, numeri importanti per quella categoria.
Dal 1995 al 2002 mi è anche capitato di seguire l’Aldosivi di Mar del Plata. L’ho seguita più che altro per simpatia, poi ho scoperto che un mio vecchio amico che era sparito dalla curva dell’Atlanta si era trasferito proprio a Mar del Plata e seguiva l’Aldosivi. Ci siamo incontrati in curva il giorno della promozione del “Tiburon” in Primera B Nacional (la serie B argentina).
Le ultime tifoserie con cui ho avuto qualche rapporto ultimamente sono state La 12 del Boca Juniors e La Barra del Huracan. Un altro mondo. La 12 è sempre stata un passo avanti a tutti a livello “affari e business”. Sono stati i primi ad organizzare il Modello Barra Brava così come se ne parla oggi. Con quelli dell’Huracan ho avuto la fortuna di condividere una partita nel loro stadio proprio quest’anno. Nonostante il brutto momento che stanno attraversando a livello calcistico, sono una gran Barra, molto legata al quartiere di Parque Patricios, gente bella tosta e decisa, da rispettare, organizzati benissimo e molto attenti a coinvolgere anche le nuove leve per evitare rischi di faide inutili all’interno della loro curva.
3) Una volta giunto in Italia, hai seguito e segui ancora qualche squadra di calcio del nostro Paese? Hai militato o perlomeno conosciuto da vicino qualche realtà ultras italiana? Cosa ne pensi del modo di tifare che abbiamo in Italia e che si è così tanto diffuso nel resto dell’Europa, in contrapposizione al cosiddetto “stile inglese”?
Fin dal mio arrivo in Italia (10 anni e 5 mesi fa) ho seguito l’A.C.Reggiana 1919. A dire la verità la seguivo da ancora prima, da circa 30 anni, praticamente da quando ho scoperto che era la squadra della città in cui erano nati mia madre e mio nonno. All’inizio era molto dura seguirne le vicende ed i risultati. Da bambino aspettavo sempre con ansia il ritorno di mio padre dal centro di Buenos Aires, dove acquistava Onze (rivista di calcio francese) e il mitico Guerin Sportivo, poi dai primi anni 2000 grazie ad Internet tutto è diventato più semplice. Ho avuto così la possibilità di conoscere un gruppo di ragazzi, tra i quali anche alcuni appartenenti ai gruppi ultras della Sud di Reggio Emilia, che mi hanno dato una mano aiutandomi a trovare una sistemazione nel momento in cui sono venuto a vivere in Italia. Quindi, posso dire di conoscere molto da vicino la realtà ultras della mia città e di quasi tutte le squadre gemellate (l’altro giorno ho fatto i conti e sono ben 116 gli stadi che ho visto dal vivo in Italia al seguito della Reggiana, quasi tutti di serie C1 e C2!). Poi, grazie al blog A Casual Life (oggi Terraces) ho stretto conoscenze con ragazzi di Milano, Roma e del resto d’Italia. Da questo continuo scambio di informazioni che avveniva tramite i blog Terraces e Mentalità Ruccutona è nata – come dicevo – l’idea del mio blog sul calcio Argentino, Vamò Lo Pibe.
Dello stile Italiano mi sono sempre piaciuti le coreografie del prepartita (inesistenti in Argentina), i fumogeni e i bandieroni che si sventolano nelle curve, oltre ai cosiddetti “treni” che venivano fatti dalle curve abbinando battimani e tamburi (questi ultimi purtroppo sono ormai spariti dagli stadi). Secondo me quello che manca nelle curve italiane è la creazione di nuovi cori, sono anni che si va avanti sempre con gli stessi, mentre ad esempio in Argentina in una sola annata vengono fuori una marea di cori nuovi. Dal mio punto di vista siete penalizzati dalla lingua, troppo difficile per fare cori con delle rime potenti, parlo nel senso di cori che abbiano una musicalità; quello che non sono riuscito a capire ancora è se questa musicalità c’è oppure se fa parte del vostro stile il cantare un verso, prendere fiato, e cantare un altro verso. A differenza dei cori argentini, che hanno come caratteristica quella di andare avanti ad oltranza.
4) Quali differenze sostanziali hai notato, ammesso che ce ne siano, tra il modo di sostenere la propria squadra qui in Italia e il modo di tifare che c’è in Argentina? Esistono, come qui da noi in Italia, tifoserie organizzate anche nell’ambito di altri sport diversi dal calcio (basket, futsal, pallavolo, pallamano, rugby, etc.)?
Penso che la differenza principale stia nel fatto che in Italia a sostenere la squadra sono solo gli ultras e la curva. La tribuna guarda la partita tranquillamente seduta sui seggiolini mentre in Argentina a volte la tribuna, essendo più vicina al settore ospite, è più “calda”. Laggiù andare allo stadio vuol dire andare a tifare per 90 minuti in qualsiasi settore ci si trovi.
I barras bravas esistono solo nel calcio, negli altri sport ci sono hinchadas (tifoserie) che fanno il tifo in casa e basta. Il più seguito, dopo il calcio, è il basket ma è impossibile seguire la squadra in trasferta nella Liga Nacional. Considera che giocano tutte assieme, nello stesso torneo, squadre della Patagonia e del nord dell’Argentina e così la distanza minima da percorrere per andare in trasferta è di circa 800 km. Nella pallacanestro esiste qualcosa a livello di barras per le squadre di Mar del Plata, e così, spesso e volentieri, succedono incidenti seri tra il Penarol, formazione che rappresenta la zona centro/sud della città e il Quilmes, che rappresenta i quartieri del centro/nord. Altrettanto spesso, alle tifoserie di queste due squadre, si uniscono le barras bravas delle squadre di calcio di Mar del Plata, visto che calcisticamente non c’e un derby dal 1996, il Basket è diventata una seconda scelta abbastanza valida. Quelli dell’Aldosivi vanno con il Penarol mentre quelli dell’Alvarado sostengono il Quilmes. La pallavolo è seguita ma anche qui vale lo stesso discorso del Basket: sugli spalti solo gente che fa coreografie e cori nelle partite importanti e zero trasferte. Solo il Rugby, con il derby di San Isidro (quartiere più “fighetto” della periferia nord di Buenos Aires, vicino a Tigre) muove un grande pubblico per la sfida tra SIC (San Isidro Club) e il CASI (Club Atletico San Isidro) che regala spettacolo nelle curve in tubolare, ma si tratta solo di coreografie e sfottò. Attenzione però al futsal (o Calcio a 5), la Lega di Buenos Aires ha una marea di squadre, che spesso coincidono con le squadre di calcio a 11 più famose e seguite. Inoltre, tanti barras bravas o pibes de le hinchadas giocano a calcetto, così che ogni tanto si accende qualche zuffa in campo. Il futsal è uno sport dove si può assistere ad incontri con poca polizia e ad alta “fermentazione”, e negli ultimi anni alcune partite sono state sospese per incidenti o addirittura fatte giocare a porte chiuse.
5) Che differenze hai riscontrato tra l’essere parte di un gruppo ultras italiano e l’essere parte di una “barra” in Argentina?
Forse, l’unica differenza tra il fare parte di un gruppo ultras italiano rispetto ad una barra argentina sta nell’attaccamento al Club. Questo penso sia dovuto al fatto che mentre una squadra in Italia è ormai parte di una impresa commerciale privata (strutturata giuridicamente come società di persone o di capitali), in Argentina invece la squadra rappresenta il quartiere e si mantiene con il contributo dei soci, funzionando come una polisportiva. Di conseguenza, mentre in Italia i gruppi si riuniscono in una loro sede o magari in un certo pub, in Argentina i ragazzi vivono all’interno delle strutture del proprio Club, sono sempre in giro per le palestre, in piscina o sui campi da calcio. I colori li “senti” in un modo diverso, più tuoi, mentre dal mio punto di vista, in Italia vivi più il gruppo, hai un attaccamento prima al gruppo e poi alla squadra.
6) All’origine, i gruppi ultras italiani si distinguevano dal resto dei tifosi oltre che per il modo di tifare, anche per l’uso di strumenti coreografici e di supporto al tifo, come gli striscioni con i nomi dei gruppi oppure quelli di incitamento e/o contestazione, tamburi, torce, fumogeni, coriandoli, rotoli di carta, bandiere e a volte anche bandieroni copricurva. Poi a partire dagli anni ‘90, ha preso sempre più piede uno stile di tifo cosiddetto “all’inglese”, che ha portato alla graduale scomparsa di quel tipo di strumenti del tifo dalla maggior parte delle curve italiane e infine, in tempi più recenti, la repressione poliziesca ha fatto il resto: quanto di tutto questo viene utilizzato dalle “barras” argentine per colorare il proprio settore? Quali sono gli elementi coreografici tipici del modo di tifare di una “barra”?
Dello stile italiano i primi strumenti arrivati in Sud America furono i bandieroni copricurva, penso siano stati copiati dalla curva napoletana, all’epoca in cui alla televisione argentina facevano vedere le partite del Napoli di Maradona. Quel bandierone che copriva la curva piaceva un sacco a Buenos Aires, e poi giocava il “diez”, quindi La 12 de “El Abuelo” raccolse i soldi per far fare il primo “telon”. Ultimamente ho visto qualche fumogenata, vedi l’ultimo Boca-River sospeso per qualche minuto a causa del fumo. Come elemento tipico delle coreografie argentine potrei citare i coriandoli ed i rotoli di carta (non carta igienica ma rotoli da scontrini oppure quelli che si utilizzavano nelle vecchie calcolatrici della Olivetti), che vengono lanciati prima della partita. In una curva non possono mancare i bombos (tamburi simili alle grancasse della batteria, che vengono suonati con un pezzo di tubo di gomma, di quelli che si usano per annaffiare le piante). Alcuni bombos hanno anche il piatto sopra che si colpisce con un altro piatto tenuto in mano, per creare un ritmo. Poi ci sono i famosi trapos, che sono le bandiere, di solito quei pezzi di stoffa (trapo, in spagnolo) dove si scrive il nome del quartiere o, spesso, una frase di una canzone rock che descrive la squadra. I tirantes, che sono trapos lunghissimi che si attaccano alla rete di recinzione e salgono in verticale verso gli ultimi gradoni della curva, i barras salgono sulle transenne para-avalanchas (anti-caduta) e prendendo il tirante in mano si mantengono in equilibrio e tifano.
Adesso, da qualche anno, va di moda il trapo lungo, una sorta di striscione tenuto in mano dai pibes che stanno sopra la transenna para-avalanchas, con su il nome della barra, tipo “La butteler”, “Los Borrachos del Tablon”, “Jugador nr. 12”, etc.
Un’ultima cosa importante è l’abbigliamento, mentre in Italia si va sempre più verso la moda del “casualismo”, in Argentina siamo all’Anti-Casual. Non si può andare in curva senza i colori della propria squadra e i barras vestono con tuta e maglia/polo della propria squadra. Il “casualismo” da noi è vestire la maglia di una squadra europea, quindi si possono vedere ragazzi con i pantaloni della tuta della propria squadra e, sopra, la maglia di una squadra italiana/spagnola/inglese; vanno molto quelle dell’Adidas, gli argentini sono amanti de “la marca de las tres tiras” (il marchio delle tre strisce, come recitava una pubblicità degli anni ‘80).
7) Il movimento ultras italiano, soprattutto negli anni ‘80 e ‘90, si è contraddistinto anche per la capacità di riuscire a realizzare veri e propri spettacoli coreografici che hanno coinvolto intere curve, se non quando l’intero stadio: è mai stato realizzato qualcosa del genere anche dalle “barras bravas” argentine?
L’unico spettacolo coreografico è il lancio dei papelitos, coriandoli e rotoli di carta; si utilizza per salutare l’ingresso della squadra in campo. Questo avviene fin dai Mondiali del ‘78, quando un fumetto invitava tutti i tifosi a salutare l’ingresso in campo della Seleccion argentina coi papelitos. Ultimamente va di moda il “fantasma del descenso (il fantasma della retrocessione)”. Funziona così, nelle ultime giornate di campionato, per prendere in giro le squadre rivali che lottano per non retrocedere o che sono già retrocesse, la tifoseria di casa provoca qualche piccolo incidente per costringere l’arbitro a fermare la partita e, a quel punto, avviene una piccola invasione di campo da parte di alcuni tifosi che entrano sul terreno di gioco travestiti con lenzuoli bianchi che riportano i simboli o i colori della squadra rivale, invocando appunto il fantasma del descenso!
8) Ritieni che la passione per la propria squadra e l’attacamento alle sorti del proprio club siano più sentite in Argentina che in Italia?
Penso che la passione e l’attaccamento alla squadra siano forti in Argentina quanto in Italia per le grandi squadre, mentre per quel che riguarda le squadre più piccole, secondo me, i tifosi argentini sono più legati, e ti spiego il perché. In Argentina, mentre in un grande Club si dà tutto per scontato perché hanno uno staff tecnico (e non solo) di professionisti, in una squadra di calcio cadetta, sono i tifosi che in settimana fanno i lavori per il Club; tagliano l’erba del campo, mettono a posto lo stadio, lavano le maglie dei giocatori. Insomma, tutti quei lavori che in una società professionistica vengono fatti da dipendenti stipendiati, in una di serie cadetta, quando mancano i soldi, sono gli stessi tifosi a farli, dando così il proprio contributo sia monetario che in ore/forza lavoro. In questo modo ti senti molto più coinvolto nelle sorti della squadra, perché la vivi come se fosse davvero tua.
9) Che livelli ha raggiunto, oggi, la violenza nel futbol argentino? Cosa hanno fatto finora nel tuo Paese, a livello di leggi e repressione poliziesca, per cercare di contenere questo fenomeno? Che efficacia hanno avuto quei provvedimenti e cosa hanno in cantiere per il futuro?
È molto difficile parlare del livello di violenza raggiunto, perché la stessa società Argentina in generale ha raggiunto un altissimo livello di violenza. Se in una città ti sparano per rubarti un paio di scarpe, non si può pretendere che il calcio sia tranquillo, soprattutto con quello che significa per gli argentini.
Se parliamo di scontri e violenza, nei primi anni ‘80 era molto peggio, parliamo del periodo subito dopo la dittatura militare, cioè a partire dal 1983, quando ci fu la rinascita della democrazia e una diminuzione del controllo da parte della polizia; le barras bravas erano ancora gruppi di persone che seguivano semplicemente le sorti del club e non si parlava nemmeno di giri d’affare loschi come adesso; erano solo dei ragazzi che si trovavano nel club e da lì partivano per seguire la squadra in trasferta, poi La 12 di “El Abuelo” cambiò tutto. Jose Barrita “El Abuelo” ha inventato, chiamiamolo così, “El Barra Moderno”. Il suo pensiero era del tipo: “se nel mondo del calcio tutti mangiano, perché noi che siamo la parte più bella dello spettacolo dobbiamo rimanerci fuori???”. Prese il via un “modello” nuovo di barras, estorsioni a giocatori e dirigenti per avere soldi, biglietti gratis, trasferte pagate, e per legittimare tutto questo ci vollero le pistole.
Tifosi del Racing e del River furono ammazzati per creare timore e farsi rispettare, inizia così una spirale che non si fermerà più. Un altro problema è la stampa, che inizia a parlare della violenza nel calcio inglese e del modello inglese per allontanare i violenti dagli stadi. Nasce inconsciamente la corsa a vedere se siamo più “cazzuti” degli Hooligans. Anche se i Barras iniziavano a diventare personaggi pubblici, in quel momento si poteva fare ancora qualcosa per stroncare subito le Nuove Barras, infatti nacque la LEY DE LA RUA, disegnata dal deputato Fernando De La Rua (lo stesso che poi diventerà il presidente della repubblica che poi scapperà in elicottero). Questa legge, come la diffida italiana, prevedeva l’allontanamento dagli spalti e, per reati specifici da stadio, la condanna veniva raddoppiata. La legge verrà applicata solo nei confronti di pochissime persone, perché anche in quel periodo di democrazia, i politici di turno si resero conto che le Barras servono. Servono per fare campagna elettorale. Sono un elemento di forza, e avere sempre a disposizione un gruppo di persone che per soldi sono disposte a fare qualsiasi cosa per loro, va sempre bene.
Se parliamo di violenza negli stadi non possiamo non parlare della polizia. In Argentina la polizia, o meglio il servizio d’ordine, viene pagato dalla squadra che gioca in casa. Quindi, per esempio, un poliziotto per il servizio stadio, la domenica viene pagato il doppio e con gli stipendi bassi, l’agente ha interesse ad andare allo stadio per poter arrotondare la paga. Il capo della polizia decide, in base all’importanza della partita, la quantità di poliziotti da utilizzare e la squadra che gioca in casa, il venerdì precedente, deve preparare l’assegno per le forze dell’ordine. Questo è un tassello fondamentale del perché non si faccia niente per combattere le barras.
Infatti, per mantenere la Polizia, che solitamente è una spesa pubblica, una considerevole fonte di finanziamento proviene dai servizi d’ordine pubblico durante le partite di calcio, e quindi, se tutto filasse liscio, ci vorrebbero meno poliziotti e di conseguenza meno incassi per le FdO. Se invece succedono casini, alla prossima partita ci vorranno ancor più poliziotti e quindi entreranno molti più soldi nelle loro casse.
Quindi, la violenza strumentalizzata diventa un affare per tutti, barras bravas che ci mangiano sopra (e ci guadagnano molto di più), i politici locali e le forze di polizia.
Parlando sempre di misure preventive, si potrebbe citare la metà degli anni ‘90, quando il famoso Giudice Perrota vietò gli striscioni e le bandiere più grandi di 2 metri per 1, e l’ingresso dei bombos e dei tamburi. Il divieto in questione è durato solo due o tre giornate! Secondo la “visione” di questo giudice, la gente si ammazzava per colpa dei trapos e dei bombos!
Sempre a metà degli anni ‘90, la Federcalcio Argentina e la Polizia hanno obbligato i club di Primera Division a montare gli impianti di videosorveglianza. I club calcistici hanno speso milioni di pesos per installare le telecamere ma, per assurdo, nemmeno quando hanno scoperto un tifoso del Banfield con la pistola in mano, puntata alla tempia di un altro barra del Banfield nel corso di una faida interna, l’hanno arrestato. Il barra poi era stato identificato da commercianti di Banfield come lo stesso tizio che aveva commesso una serie di furti (e alla fine di tutto non si è fatto nemmeno un giorno di galera).
Poi, un bel giorno, si scopre che l’unica ditta in grado di montare gli impianti di videosorveglianza, era di proprietà del genero di Julio Grondona, boss dell’AFA (la Federcalcio argentina) e che l’importo dei preventivi era stato quadruplicato.
Dopodiché, tutto torna alla normalità fino al 2007, quando in occasione dello spareggio promocion tra Nueva Chicago e Tigre, con quest’ultimo arrivato terzo nella B Nacional, lo stesso Tigre vince la partita in trasferta e i tifosi del Nueva Chicago invadono il terreno di gioco. Si verificano gravi incidenti e addirittura muore un tifoso del Tigre. A seguito di questi scontri, per cercare di fermare la violenza, si decide di vietare le trasferte, ma in Primera Division non è nemmeno proponibile e quindi lo si fa solo a partire dal Nacional B e fino alle serie minori. In Primera Division vengono giusto ridotte le capienze dei settori ospiti fino ad un massimo di 4.000 posti e, hops!, chi ci guadagna? La Barra Brava casalinga, che con settori ospiti a capienza ridotta ha sempre più biglietti omaggio da rivendere, e con i tagliandi nelle mani dei Barras, il prezzo ovviamente sale e gli incassi dei gruppi sono ancora più grandi!
Il divieto di trasferte nelle serie inferiori si è però interrotto l’anno in cui il River Plate è retrocesso in serie B Nacional, ma solo ed esclusivamente per quella categoria.
Tornando agli avvenimenti del 2007, sempre in quello stesso anno è nato il Derecho de Admision, una sorta di diffida, anche se è veramente comico come strumento in sé e soprattutto come viene utilizzato. Mentre il Daspo in Italia viene imposto da rappresentanti dello stato (polizia, carabinieri, magistratura, etc.), in Argentina la polizia chiede al club di segnalare le persone indesiderate. Ovviamente, nessun presidente di nessuna squadra ha presentato l’elenco dei propri Barras (provate a pensare come poteva finire per lui e per la sua famiglia…). Perciò, in questa maniera, il Derecho de Admision funzionerà solo nel momento in cui un atto di violenza verrà commesso da un tifoso normale (ad esempio, uno spettatore della tribuna che lancia una bottiglietta in campo), quindi da parte del classico agnello da sacrificare per far vedere che c’è collaborazione, ma se un barra ammazza qualcuno dentro lo stadio… nessuno avrà visto niente!
Nei casi più importanti, come la faida all’interno de La 12, è stato imposto dal giudice il Derecho de Admision ai più violenti, ma sono misure prese più che altro per accontentare la stampa e l’opinione pubblica.
Giusto per farti un esempio di come vanno realmente le cose, poco tempo fa io sono entrato nella curva di una delle squadre più importanti di Buenos Aires (oggi in B Nacional) assieme al capo della loro barra colpito da Derecho de Admision, senza biglietto e da una porta laterale, scavalcando così tutti i controlli.
L’ultima idea in ordine di tempo per combattere la violenza è la tessera AFA PLUS, in vigore dall’anno prossimo, varrà solo per assistere alle partite della Primera Division e della Seleccion, per assistere alle quali tutti i tifosi si dovranno registrare. Contrariamente a quanto avviene oggi in Italia con la “tessera del tifoso”, questa tessera argentina verrà consegnata a tutti. A meno che si scopra che il richiedente è un latitante ricercato dalla giustizia argentina o ricercato dall’FBI statunitense. Con questa tessera si potranno acquistare i biglietti e servirà per entrare negli stadi. Altra differenza con quanto avviene in Italia con la tessera del tifoso, laggiù tutti i Barras la faranno, tanto ormai sono tutti conosciuti e non si pongono altri problemi. L’unica cosa che cambierà con questa tessera, è che se prima i biglietti si acquistavano nei botteghini degli stadi, d’ora in avanti bisognerà comprarli nei punti vendita autorizzati e, di conseguenza, ci saranno da pagare i diritti di prevendita dei biglietti, che andranno ad ingrossare le casse dell’AFA.
10) Esistono amicizie tra “barras” o comunque un qualcosa di assimilabile ai nostri gemellaggi tra tifoserie? Quali sono quelli più longevi e maggiormente sentiti?
Sì, esistono le amistades (amicizie) tra Barras, non è una cosa ben vista dagli altri perché si dice che più amici hai in giro, meno “palle” hai. La differenza rispetto alle amicizie/gemellaggi in Italia, si basa solo sul fatto che il rituale si rinnova solo quando le due squadre gemellate si affrontano in campionato o quando la squadra amica gioca un derby e ha bisogno di “rinforzi”. In Argentina non esistono le feste delle curve o i memorial per ricordare i ragazzi scomparsi, quindi non ci sono altre occasioni, come avviene in Italia, in cui si ritrovano le tifoserie gemellate.
Il gemellaggio più vecchio, nonchè il primo in assoluto, è stato quello tra Quilmes e Nueva Chicago, nato il 4 Marzo 1973. Prima di allora le due tifoserie si scontravano, ma ragazzi di entrambe le Barras si sono incontrati nel UOM (Union Obrera Metalurgica), il sindacato degli operai metalmeccanici, e si sono resi conto che oltre all’amore per il calcio, avevano in comune la passione per la politica e l’amore per il Partido Justicialista e per la figura di Peron. Il 4 Marzo 1973, alla prima occasione in cui si incontrarono in campionato, organizzarono un bell’asado in amicizia. L’Asado prima della partita è l’offerta del padrone di casa all’amico gemellato. Una tradizione tipica in Argentina.
Altro gemellaggio molto sentito è quello tra le squadre del Tigre e del Deportivo Moron, nato nel 1975, quando le tifoserie si scontrarono pesantemente e la polizia represse violentemente, allora i ragazzi si unirono per combattere la polizia e così nacque questa amicizia, molto vecchia ma che è ancora in piedi.
Altri gemellaggi storici sono quelli tra Colon e Lanus, Rosario Central e Chacarita, Almirante Brown e Defensores de Belgrano, per citare i più importanti. Negli ultimi anni si sono sciolte altre amistades, sempre per problemi interni alle varie barras, come quelle tra San Lorenzo e Rosario Central oppure tra Newell’s e Independiente.
La squadra che vanta più amistades, curiosamente, è il Chacarita Juniors, che nei primi anni ‘80 era una delle barras più violente. Hanno più di quindici amicizie in Argentina e alle amicizie in tutto il Sudamerica.
Di idee esattamente opposte possiamo nominare il Boca Juniors e il suo striscione “Nunca Hicimos Amistades” (Non abbiamo mai fatto amicizie) e l’Atlanta “Amistades Jamas” (Amicizie Mai!).
11) Ci sono similitudini tra il modo di tifare che c’è nel campionato argentino, rispetto a quanto avviene in altri Paesi del Sud America (Uruguay, Cile, Brasile, etc.)?
Sì. Possiamo dire che in Sudamerica, facendo un paragone con l’Europa per quel che riguarda la contrapposizione tra il modello italiano e il modello inglese, troviamo il modello argentino e quello brasiliano. Il secondo non si è mai diffuso molto fuori dal Brasile, le tifoserie o meglio Torcidas sono una grande famiglia o gruppi dove i membri appartengono a una sorta di Scola do Samba.
I barras bravas, al contrario, si può dire che abbiano esportato il modello in tutto il Sudamerica e in Messico. Non che prima non esistesse nulla, anzi, in tutto il Sudamerica c’erano gruppi di tifosi al seguito delle squadre di calcio che si potevano paragonare a quello che sono i Centri di Coordinamento o i Clubs di Tifosi qui da noi in Italia. Diciamo che, ad un certo punto, ci sono stati dei personaggi di tifoserie sudamericane che sono andati in Argentina per imparare il “modello” Barras Bravas, soprattutto come fare a guadagnare con il calcio e far diventare il tifo un gran business. Hanno imparato tutto del modello argentino, dall’organizzazione all’interno della curva, a come fare i “trapos” (bandiere) e i cori. I canti da stadio argentini, grazie alla loro creatività, si sono diffusi velocemente in tutto il Sudamerica, aiutati dal fatto che in quasi tutto il continente si parla la stessa lingua, lo spagnolo, e quindi basta solo prendere il coro e cambiare il nome della squadra o della barra e in un batter d’occhio la canzone è già fatta.
Il Modello Barrabrava, qualche hanno fa, è sbarcato addirittura nella Major League Soccer statunitense, grazie agli argentini e ai tanti cittadini sudamericani che dopo la crisi economica si sono trasferiti negli USA. Solo che lì da loro non si verificano scontri e tantomeno c’è gente che vive guadagnando grazie alla propria tifoseria, anche perché sarebbero già finiti in galera. Però si vedono gruppi di latinos seguire le varie squadre e fare tifo.
Dal mio punto di vista, in questo momento, i migliori allievi del modello argentino sono i colombiani, nel senso che da loro ci sono molte realtà calcistiche importanti, a differenza dell’Uruguay dove sono fermi al solito binomio Nacional – Penarol, del Cile con Colo Colo – Universidad o del Paraguay con Cerro – Olimpia e del Peru con Alianza Lima – Universitario. I colombiani hanno una decina di tifoserie “serie” e sono quelli che hanno legato di più con le barras bravas, al punto da avere amicizie e gemellaggi con tifoserie argentine da sempre molto importanti.
Un altro posto dove, incredibilmente, è sbarcato il modello argentino, è il Giappone, grazie ad un personaggio (Keigo Yamamoto) fanatico di Maradona e del Boca Juniors. Questo giapponese ha viaggiato attraverso l’Argentina per imparare il modo di tifare (apprendendo fortunatamente solo la parte sana) e una volta rientrato in Giappone ha creato un suo gruppo Ultras Obri, al seguito del Avispa Fukuoka, con uno stile di tifo che è un mix tra ultras italiani (aveva un sito dove si poteva addiritura vederlo in Italia al seguito di Lazio, Atalanta, Roma e a San Siro) e barras bravas argentini.
Dopodichè, ha aperto un blog sul calcio, ha formato una squadra di calcetto, ha lanciato un brand di abbigliamento barra-brava/ultras che, se non sbaglio, si chiama “Fanatika”.
Personalmente, mi viene la pelle d’oca nel sentire i giapponesi cantare canzoni da stadio argentine e non proprio in termini positivi.
Intervista realizzata da Giangiuseppe Gassi
Foto tratte dal web e dall’archivio personale di Federico “El Bohemio”