Ci sono quelle cose che non sei convinto di voler fare, ma poi, come dice il nonno, le fai perché fanno esperienza. E se l’Inter ti accetta un regolare accredito di tribuna stampa senza tesserino di giornalista, allora ne devi approfittare. Anche se la partita si chiama Inter – Cittadella, anche se è appena il secondo turno di Coppa Italia, anche se in tutto lo stadio verrà aperto solo il primo anello, anche se, probabilmente, non vedrai ultras ospiti al seguito.

E allora pronti-via, si parte dal mio angolo di alta Lombardia in un’afosa giornata di Agosto, con una buona dose di entusiasmo che non guasta mai. Viaggio tranquillo per constatare che, nella metropoli, ci sono diversi gradi in più rispetto a dove sono partito. La partita è alle 18:30 e, a poco meno di due ore dall’inizio, ne approfitto per farmi una camminata dalla fermata Lotto della metropolitana fino allo stadio. È la prima volta, forse, che posso vedere con vera calma i tanti murales dell’ippodromo, le scritte ultras a bomboletta e gli adesivi attaccati su qualche palo, molti di tifoserie venute dall’estero in anni passati. Eh già, perché se il tempo della tripletta interista è passato da relativamente poco, i fatti di oggi fanno sembrare quei giorni dal sapore di gioie e trionfi lontani anni luce. Il tifoso interista soffre come ai tempi che furono, non vedrà l’Europa neanche dalla porta secondaria, e aspetta un magnate indonesiano per sognare di nuovo. Anche se l’Italia e, soprattutto, l’Europa insegnano: lo straniero porta trionfi ma anche tante sventure, come politiche repressive verso i tifosi, cambi di simboli, carobiglietti e, talvolta, stravolgimento dei colori sociali. Il biglietto per il paradiso a volte può essere talmente caro che ci si può persino accontentare di un cantuccio al purgatorio. Ma è prematuro parlarne.

Il presente di oggi, prima apparizione ufficiale dell’Inter davanti al suo pubblico, parla di una gara domenicale da prendere con le molle, dopo che, ieri, già diverse squadre di serie A hanno fatto figure poco consone al blasone che rappresentano. La ricostruzione della fu Ambrosiana è affidata a Mazzarri, uno dei tecnici più completi del panorama odierno, con giocatori che non sono delle star assolute, ma che forse creeranno meno problemi di gente come Cassano o Sneijder. Dalla parte opposta una squadra che conosciamo un po’ tutti, quel Cittadella ormai da 5 anni in pianta stabile in serie B e che, nel corso degli anni, è stata seguita ovunque da un manipolo di indomiti fedelissimi.

La prevendita è andata piuttosto fiacca ma in diversi decidono, all’ultimo, di recarsi allo stadio. Tanto che la biglietteria nord, al mio arrivo, è stracolma di gente, quasi tutta sorpresa di dover affrontare una coda del genere. Un po’ come quando vai alla posta alle 13 per evitare casini ma ti accorgi che tutti hanno avuto la tua stessa brillante trovata. I botteghini aperti durate la partita, l’ingresso gratuito per gli abbonati della squadra (che quest’anno, contro ogni previsione, sono 2.500 in più della stagione precedente, per un totale di 25.000) e i prezzi popolarissimi (5€ una curva, 10€ la tribuna arancio, 15 la rossa e appena 20 quella d’onore) hanno notevolmente invogliato il tifoso a vedere i propri beniamini per la prima assoluta a San Siro. Senza contare che, nonostante l’assenza di veri botti di mercato, c’è comunque una curiosità naturale verso il nuovo corso.

Ritiro il mio accredito senza problemi ma, prima di entrare, vado un attimo verso il settore ospiti. E sono fortunato, visto che assisto all’arrivo dei tanti tifosi del Cittadella che, originariamente, dovevano stare al terzo anello, prima di essere dirottati nel primo, accanto a qualche club interista e alla Banda Bagaj. La mia impressione è che tra di loro non vi sia nessun ultras, ma solo semplici tifosi, alcuni di certo occasionali, data la portata dell’evento per il piccolo centro padovano di appena 20.000 abitanti.

Posso quindi entrare allo stadio, dall’ingresso stampa dove si accede in maniera molto veloce. Passo prima di tutto per il media center, fornito di ogni ben di dio gastronomico. So che questo è un lavoro sporco ma qualcuno lo dovrà pur fare, e mi sacrifico tra spumanti e torte. Ma rimango un dilettante di fronte agli habitué che, con classe e nonchalance, arraffano come fossero a digiuno da giorni. Ho molto da imparare. Salgo in tribuna stampa, al secondo anello, dove posso stare in posizione tranquilla e isolata, il che mi permette di scattare senza intoppi e con ottima visuale. Impossibile non notare la fila occupata da giornalisti giapponesi al seguito del loro idolo Nagatomo, così come, per me che ho l’occhio allenato, non possono sfuggire i tre posti riservati, con tanto di cartello, alla “polizia scientifica”. Posto che verrà occupato da un agente ormai prossimo alla pensione, che metterà in bella vista la sua macchina fotografica ma, almeno stavolta, non la userà mai. Certo, mi fa veramente strano un fotografo poliziotto che ha uno zoom simile al mio (e quindi non potentissimo), quando ormai ogni singolo angolino dello stadio è sorvegliato dalle telecamere.
Ma torniamo alla cronaca che ci interessa, ovvero quella delle tante voci del tifo. I dati ufficiali danno oltre 17.000 spettatori, io a occhio direi di meno, ma ammetto che non ho nessuna visuale sulla tribuna rossa situata sotto a me. La curva Nord, con gli striscioni al completo, presenta molti vuoti, con gente seduta ai lati e nelle parti più alte dell’anello. Come da decenni a questa parte, è dai Boys SAN che parte prevalentemente il sostegno della curva. All’entrata in campo della squadre proprio il gruppo portante cala un piccolo bandierone copricurva, mentre intorno vengono sventolate numerose bandiere. Lo sbandieramento sarà ininterrotto per la durata intera dell’incontro. I Cittadellesi, come già ampiamente previsto, sono tanti ma senza ultras e solo uno sparuto gruppetto all’ingresso, con bambola gonfiabile di babbo natale al seguito, decide di seguire in piedi l’andamento dell’incontro. Per onorare lo storico momento dei granata, una coreografia a cartoncini viene alzata da quasi tutti i tifosi ospiti, con l’aggiunta di tre stendardi dedicati ad allenatore, presidente e direttore sportivo. Questione di mentalità. Così come è questione di mentalità lo striscione esposto di lato da un club nerazzurro: “Notti magiche in crociera, Rige uno di noi anche stasera”. L’effetto su di me è che mi fa venire voglia di andare al mare sul serio, ma da qui non è questione di pochi chilometri. Oltre a giustificare la repressione, perché se fossi stato uno steward una roba del genere non l’avrei fatta entrare neanche se faxata presso tutte le questure d’Italia, alla faccia di Rige e della sua crociera. Più inerente uno striscione, sempre di un club, un po’ più a destra: “Raffaele non ti dimentichiamo, in nerazzurro ti rivogliamo”, dedicato al giovane portiere classe ‘93 Raffaele Di Gennaro, trasferitosi proprio questa estate dall’Inter al Cittadella.

Cittadellesi praticamente tutti seduti che, di tanto in tanto, intonano qualche semplice coro, e Curva Nord la quale, dalla parte opposta, incomincia a sostenere, in maniera piuttosto convinta, l’undici schierato da Mazzarri che, probabilmente, non è quello che partirà titolare all’inizio del campionato. A spingere di più, neanche a dirlo, la titolata squadra di casa, mentre il Citta prova a spingere con le sue armi migliori, ovvero velocità e dribbling. Ne esce una partita piuttosto piacevole, finché, al 18°, l’eterno outsider Jonathan non manda, con un pregevole colpo di testa, in vantaggio l’Inter, coi tifosi assiepati sugli spalti che possono festeggiare, anche se con una certa compostezza, il primo gol ufficiale della stagione della Beneamata. Continua lo sventolio di bandiere, principalmente sopra agli striscioni Boys e Ultras, così come continua il sostegno vocale incondizionato da parte di buona parte della curva.

Il Cittadella però ha più di un motivo per crederci, visto che, dopo il gol preso, comincia a rendersi pericoloso davanti alla porta di Handanovic. La partita si chiude virtualmente alla mezz’ora, quando Pecorini commette un ingenuo fallo in piena area su Palacio e rimedia un’espulsione forse un po’ eccessiva. Fatto sta che Palacio stesso va dal dischetto e segna, mettendo l’ipoteca sulla partita. Che il Cittadella non c’è più lo si vede dalle tante azioni, una dopo l’altra, confezionate subito dopo il raddoppio dall’Inter. Verso la fine del primo tempo comincia un po’ a calare il sostegno della Curva Nord mentre, di fronte a loro, arrivano alla spicciolata almeno un altro centinaio di ritardatari veneti: a loro neanche la soddisfazione di crederci per un quarto d’ora abbondante. Resta difficile capire quanti sono gli ospiti: la stragrande maggioranza è posizionata sopra agli striscioni granata ma molti altri tifosi sono sparpagliati per tutto il resto della curva. Dovessi azzardare un numero, direi oltre 300, anche in base a quanto visto all’esterno dello stadio. Peccato per l’assenza del tifo organizzato, che dopo il 2-0 dell’Inter si sente ancora di più, visto che l’incitamento per il Citta scende a zero. Il primo tempo, quindi, finisce col doppio vantaggio dei nerazzurri i quali, vantaggio numerico a parte, hanno dato vita a una prova fluida e convincente.

Con la pratica già archiviata, il secondo tempo è una mera passerella per i giocatori di Mazzarri, col Cittadella che, per lo più, pensa a non prenderle ulteriormente e a salvare almeno la faccia. La curva di casa ricomincia da subito a tifare e la qualità dell’incitamento sembra notevolmente migliorata rispetto all’ultima frazione del primo tempo.

Passata la tensione per capire come è questa nuova Inter, si può passare alla festa, completata in campo dalle reti di Palacio al 14° e di Ranocchia al 18°. Sul 4-0 l’Inter decide di tirare il freno a mano, di non affondare e di risparmiare preziose risorse per l’imminente campionato. Ad un quarto d’ora dal termine la Nord, autrice di una buona prova, intona cori per i diffidati e, di seguito, a favore di Varese e contro i Catanesi, anche in riferimento agli scontri di Varese-Catania, amichevole di pochi giorni fa. Al fischio finale dell’arbitro Irrati tutti possono applaudire l’Inter anche se, si sa, sfide ben più dure attendono Palacio e compagni.

Stefano Severi.