Partiamo dalla fine. Da quel video e da quelle immagini che qualcuno ha con soddisfazione sparpagliato in rete, malgrado i volti in primo piano senza l’adeguata, e necessaria, censura. Non vogliamo certo stendere un trattato su come si debba fare informazione, non ne abbiamo la presunzione, né la possibilità. Di certo è curioso appurare come, quando si tratti di tifosi, manifestanti e categorie prive di santi in paradiso, immagini, nomi, cognomi, indirizzi e luoghi di lavoro, vengano resi pubblici senza scrupolo alcuno e senza alcuna esitazione. Mentre quando a commettere reati, o prodursi in comportamenti al limite della legalità, sono esimie figure, dal politico al rappresentante istituzionale, si sceglie spesso di criptare persino la voce, in eventuali interviste.

Noi, al momento dell’accaduto, semplicemente non c’eravamo. Avevamo abbandonato la zona del Matusa da qualche minuto. Quindi non ciarliamo su cose non viste, al limite possiamo attenerci a quanto reperibile in giro e, per l’appunto, a quel video cui facevamo riferimento prima. Ovviamente sempre avendo il beneficio del dubbio e prendendo con le molle anche i singoli segni di interpunzione trovati in giro per la rete o sulla carta stampata.

Qua nessuno vuol difendere comportamenti violenti o asserire che non si debba informare del loro avvenimento, ma ovviamente quello che si invoca è innanzitutto un modo sano di rendere note le cose e, soprattutto, un modo imparziale, mettendo alla berlina falle e difetti di ogni singola componente in un avvenimento. È sicuramente facile fare click e visite a cascata con un video sensazionalistico. È più difficile analizzare un fatto, approfondendo tutte le sue mille sfaccettature, anche se si rischia di puntualizzare l’ovvio ed essere invisi a certi lidi.

Oggi sul banco degli imputati ci sono i tifosi dell’Internazionale. Dipinti come bestie, violenti, cancro sociale e chi più ne ha più ne metta. Non sta a noi difenderli o incolparli, per quello ci saranno le aule giudiziarie, anche se sappiamo bene che prima, con tutta probabilità, arriveranno le diffide, come da copione e come ignorato da chi in questo Paese invoca la legalità anche mentre dorme. Sicuramente sta a noi sottolineare come l’ineffabile Questura di Frosinone, che negli anni può vantare azioni ferree e di tolleranza zero (andando a memoria ricordiamo il Daspo di gruppo per i tifosi salernitani privi di tessera del tifoso qualche anno fa, e quello nei confronti dei supporter baresi, lo scorso anno, procedimento peraltro annullato in gran parte) si sia fatta trovare nuovamente impreparata di fronte a un evento che, anche l’Osservatorio, aveva evidenziato ad alto rischio (pur non essendoci un reale motivo pregresso per farlo, prima dell’incontro).

Nonostante i proclami, infatti, dopo il match con il Verona è la seconda volta che i tifosi ospiti giunti nel capoluogo ciociaro riescono ad eludere, con relativa facilità, il dispositivo di sicurezza posto in essere dalle autorità locali. Se fossimo in un regime di dialogo, tra cittadini, politici e istituzioni, la prima cosa cui si dovrebbe rendere conto è proprio questa. Invece si sceglie, più facilmente e senza possibilità di contraddittorio, la via delle veline e dei comunicati sibillini, a cui nessuno può rispondere, ma che la maggior parte delle testate si affretta a riportare sulle proprie colonne, senza uno minimo di commento o di scetticismo. Manco fossero i dispacci di un regime totalitario.

Il fatto, almeno ci sembra, è sempre lo stesso: ormai in Italia si è capaci, al massimo, di vietare e reprimere i tifosi nei loro aspetti più folkloristici e veraci, avendo perso anche il minimo contatto con la realtà e non essendo più in grado di fare regolare ordine pubblico. È l’aspetto scandalistico a tenere banco, tutto deve essere spettacolarizzato al massimo, quando un ritorno alla giusta dimensione di ogni cosa, gioverebbe sicuramente a tutti. Difficile che qualcuno si prenda responsabilità e faccia mea culpa, ci si limita a ridurre il tutto a un semplice ed infinito dibattito da talk show, con la Massaia di Voghera vista come prima fruitrice e unico untore dell’opinione pubblica.

Sbattere il mostro in prima pagina è sport nazionale. Cercare di capire, indagare, approfondire è invece opera ai più sconosciuta. E ci si lamenta quando i tifosi, o altre categorie spesso dipinte sommariamente come il male nazionale, non vedono di buon occhio i media e il loro operato. Come se non sapessimo, noi, di avere un potere non indifferente con una penna in mano. Soprattutto in un Paese baronale e mediaticamente arretrato come l’Italia, dove informazione e giustizia viaggiano troppo spesso sugli stessi binari. La verità è che la figura del giornalista, soprattutto se in seno a grandi testate, è facilmente avvicinabile a quella del politico nell’immaginario collettivo. Totalmente avulsa dalla realtà dei fatti e dal contesto sociale, e spesso impegnata a mostrare i muscoli, inutilmente e senza un reale fare educatorio, nei confronti del cittadino.

Per la nostra linea editoriale, per il nostro modo di vivere il calcio e i tifosi, spesso ci troviamo a puntualizzare l’ovvio. Ma è ugualmente importante farlo. Rispettando quelle regole che dovrebbero aiutare tutti a leggere e scrivere materiale di buona qualità, sempre nel rispetto del prossimo e della nostra etica. Ma soprattutto non propagandando idee o concetti per partito preso e in base ai nostri pregiudizi.

Ci spiace non soffermarci troppo su una giornata, quella prettamente calcistica e curvaiola, che avrebbe tanto da raccontare. Dalla pioggia finissima e invadente che ha investito il Matusa conferendogli un clima da match retrò, con la gente pronta ad attaccarsi alle recinzioni per intimorire gli assistenti di linea e i pali e le traverse a impedire ai giallazzurri di sbloccare il risultato. Cosa che, come succede spesso in questo sport, non ha mancato di fare Icardi, regalando il successo ai meneghini. Non ci soffermiamo sulla coreografia del settore ospiti e sul tifo della Curva Nord, ancora una volta capace di gettare il cuore oltre l’ostacolo e giurare sostegno incondizionato ai propri giocatori, nonostante classifica e difficoltà.

Ci saranno altre occasioni.

Simone Meloni.