Tra le vecchie tradizioni del calcio italiano c’è senza dubbio quella degli spareggi. Gare da dentro o fuori che in caso di parità di punti in classifica, assegnavano l’ultimo posto utile per rimanere in Serie A, quello per l’accesso a una coppa europea se non addirittura lo scudetto (cosa successa una sola volta fino a oggi, con il titolo vinto dal Bologna contro l’Inter nella sfida di Roma datata 1963/1964). Dopo che il calcio moderno aveva eliminato anche questa spietata quanto affascinante pratica (ultimo atto in massima serie: lo spareggio per non retrocedere fra Bologna e Parma nel 2004-05 che arrise ai ducali), da quest’anno la Lega ha deciso di ripristinarla e subito si è resa necessaria per decretare l’ultima retrocessione. Protagoniste lo Spezia e il Verona, in un remake dello spareggio del 2007, quando i liguri spedirono i veneti in Serie C dopo ben sessantaquattro anni.

Se da un lato il ritorno di questa prassi è accolto con giubilo da gran parte degli appassionati di calcio, dall’altra mette di fronte ad autorità e Lega il “grande” problema della sua organizzazione. Siamo nell’Italia del 2023 e notoriamente chi è chiamato a prendere determinate decisioni, non ha la minima conoscenza dell’argomento. Lo dimostra la prima scelta del terreno di gioco. In prima battuta risultano in lizza gli stadi di Firenze, Reggio Emilia, Udine e… Lecce (sic!). Si opta per il Friuli, senza tener minimante conto di due aspetti fondamentali: il primo è la distanza iniqua dalle due città (478 km da La Spezia, 238 km da Verona), il secondo – ancor più importante – è la buona parte di strada che le due tifoserie si sarebbero trovate a percorrere gomito a gomito, nella parte finale del viaggio. Insisto su un concetto: questa non è malafede, ma semplicemente incapacità e ignoranza delle norme basilari del proprio lavoro!

Sta di fatto che questa decisione viene pesantemente contestata dalle autorità, dal sindaco di La Spezia e ovviamente dalle due società. Resisi conto dell’abbaglio preso, in Lega si decide per il cambio di sede e alla fine è il Città del Tricolore di Reggio Emilia a ospitare l’incontro. Uno stadio che, a dire il vero, era stato sin da subito la prima opzione ma che era stato scartato per la poca disponibilità data da sindaco e Questura. Atteggiamento sul quale sarebbe meglio stendere un velo pietoso, evidentemente a qualcuno piacerebbe lavorare sempre e solo durante le partite del Sassuolo…

La scelta dell’impianto reggiano, tuttavia, porta a ulteriori restrizioni. Perché siamo in Italia e organizzare uno spareggio come si fa in tutto il Mondo – vale a dire a capienza totale e senza limitazioni – sarebbe davvero chiedere troppo. Si decide quindi di consentire la vendita dei tagliandi solo ed esclusivamente ai possessori di tessera del tifoso residenti nelle province di Verona, Spezia e Massa, destinando le due curve per intero e circa duemila tagliando ciascuno per ogni tribuna. Di fatto uno stadio dalla capienza totale di 21.525 posti viene aperto a massimo 12.000, con la spada di Damocle della tessera del tifoso (per i soli residenti nelle province di cui sopra) che giocoforza annulla qualsiasi velleità di assistere a un evento pubblico per un semplice sportivo e chissà quanti altri tifosi “normali” delle due squadre, che di fronte a tutte queste cervellotiche disposizioni hanno preferito rimanere a casa. Il bello è che questi signori sono gli stessi che ci martellano con gli astrusi e contraddittori concetti di discriminazione territoriale o di famiglie allo stadio. Ipocrisia a tuttotondo, ipocrisia senza fine!

Fortunatamente arrivo a Reggio Emilia con lauto anticipo. Raggiungere lo stadio non è affatto impresa semplice. Gli autobus di linea vengono deviati (perché ovviamente un servizio pubblico, che in questi casi dovrebbe esser potenziato e svolgere appieno il suo compito, viene praticamente cancellato!) e attorno all’impianto, lo schieramento di polizia e carabinieri è talmente ingente e disordinato che in un paio di occasioni vengo rispedito da una parte all’altra, fin quando non taglio in mezzo a un prato per raggiungere la zona dove ritirare il mio accredito ed entrare. Passo di fronte agli ingressi della Curva Sud, dove i veronesi stanno lentamente accedendo. La calca è quasi impressionante e giustamente le persone si lamentano, in preda al caldo afoso della Pianura Padana. Anche qua ci sarebbe da mandare un bel selfie a tutti i sapientoni che ciarlano dalle loro scrivanie ma che quasi mai hanno messo piede in uno stadio italiano.

Quando manca una mezz’ora al fischio d’inizio le due tifoserie sono schierate ai loro posti, con le curve che hanno registrato sold out e qualche centinaia di tifosi disposti anche nelle tribune. Tra bianconeri e scaligeri ovviamente esiste una rivalità alquanto sentita e questo aggiunge un pizzico di brio in più alla contesa. Le squadre sono arrivate a questo spareggio in maniera molto differente: per il Verona di Bocchetti è quasi una conquista, considerato il campionato condotto quasi sempre al di sotto della zona salvezza, mentre per gli uomini di Semplici è il risultato di un girone di ritorno a dir poco disastroso, dopo che per larghi tratti del torneo hanno conservato un vantaggio più che corposo sulle ultime tre della classe. Inoltre su fronte veneto continua la contestazione nei confronti della presidenza Setti, che ormai da qualche tempo sembra aver abbandonato quella gestione virtuosa che è valsa all’Hellas diversi campionati dignitosi dall’ultima volta che ha fatto ritorno in A.

Le due squadre fanno il loro ingresso in campo e special guest della serata sono sicuramente torce e bomboni, che fanno una discreta apparizione su ambo i fronti. Nel settore spezzino si leva al cielo una bella sciarpata, che anche grazie alle maglie bianche indossate da tutti i presenti produce un effetto d’impatto, mentre tra gli scaligeri sciarpe e bandiere si mischiano alla pirotecnica. Nessuna coreografia particolare dunque, bensì gli strumenti più classici del tifo per quella che non è una giornata di festa ma una sfida per la vita o la morte.

Una sfida che comincia subito bene per i gialloblu, portati in vantaggio da Faraoni al 5′. Un gol che fa esplodere il settore alla mia destra, sebbene dieci minuti più tardi lo Spezia pervenga al pareggio con Ampadu. Ma è un fuoco di paglia per gli aquilotti, che prima dell’intervallo subiscono la doppietta dello scatenato Ngonge, ritrovandosi seriamente un piede in cadetteria. Ovviamente la sequenza di reti influisce sul tifo, ma procediamo in maniera più dettagliata.

Il primo tempo degli spezzini è sicuramente buono. Fatto di tanti cori a rispondere, battimani e torce accese di tanto in tanto, mentre nel secondo – con la retrocessione che incombe – i liguri faticheranno e non poco a farsi sentire. Alcune considerazioni: non so se per motivi di autorizzazioni o per scelta, la Curva Ferrovia non ha portato con sé i tamburi. Di sicuro, per il modo di tifare che ha (cori lunghi e battimani) non avere questo strumento alla lunga è risultato penalizzante, anche nell’ottica di coinvolgere le persone situate più in alto, in un settore già di suo dispersivo come la curva del Città del Tricolore. Capisco la tristezza e la grande delusione per un declassamento che fino a un certo punto di questo campionato nessuno si sarebbe aspettato, così come capisco ancor più il clima mortifero che può essersi creato dopo il rigore sbagliato da Nzola (che di fatto ha posto fine alla contesa) ma lasciatemi dire che da una tifoseria del genere, che negli anni si è sempre caratterizzata per attaccamento, seguito e passione, mi sarei aspettato nel finale – proprio a giochi fatti – uno spunto d’orgoglio, anche solo per sovrastare il nemico, che nel frattempo festeggiava la salvezza.

Capitolo veronesi: ho trovato la prestazione degli scaligeri buona e – sebbene non abbia mai avuto il loro mito – devo riconoscere la passione di una piazza che negli anni non ha mai fatto mancare apporto e presenza. Peraltro stasera molto colorati grazie alle migliaia di sciarpe portate e utilizzate in diverse occasioni, ai bandieroni e, come detto, alle torce. Il coro “Verona alcolica, cirrosi epatica, tumore al fegato… semo da ospedal!” apre goliardicamente le danze e significativo che a chiuderle, invece, sia il classico “Io credo, risorgerò…”. Molto nello stile dei butei che oltre al loro classico fare guasconi, però, mettono in mostra anche una prestazione canora di qualità, sfoggiando il classico repertorio fatto di manate e cori brevi ma cantati da tutti i presenti. Belle le esultanze ai gol, con l’urlo liberatorio per celebrare la quinta permanenza di fila nella massima divisione.

Finisce così con la squadra gialloblu sotto al settore, a farsi selfie con i tifosi e a festeggiare un’insperata salvezza. Clima totalmente diverso tra gli spezzini, che ovviamente rimangono attoniti e delusi a osservare i propri giocatori con le mani tra i capelli, forse ancora non pienamente coscienti del disastro realizzato. Saranno proprio i liguri a lasciare per primi Reggio Emilia, evidentemente vogliosi di tornare a casa e metter quanto prima una pietra sopra una delle giornate più nere degli ultimi anni.

Quando abbandono lo stadio – un’ora abbondante dopo il fischio finale – la polizia sta facendo ripartire i veronesi. La colonna di pullman mi cammina vicino, con le volanti che li accompagnano a sirene spiegate. Neanche stessa passando una macchina con Totò Riina e Bernardo Provenzano. Davvero tutto, troppo, esagerato. Ovviamente nella forma, perché nella sostanza rimaniamo sempre in mano a gente che difficilmente riesce a prendere decisioni o a gestire grandi eventi con un nesso logico e senza isteria.

Ultima gara dell’anno anche per me, che mando in archivio una stagione lunga e piena di storie da raccontare. Da una parte all’altra del Belpaese e non solo. La strada ora è vuota e qualche goccia di pioggia comincia a cadere. Fortunatamente il mio pullman per Roma passerà da lì a breve, aiutandomi a prender posto tra le braccia di Morfeo e risvegliarmi a casa, con il ricordo di un’altra serata che nel suo piccolo ha scritto una storia del calcio e del tifo italiano.

Testo Simone Meloni
Foto Agenzia