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Nella scorsa stagione, aveva molto fatto discutere un bandierone copricurva esposto dai tifosi dello Standard Liegi contro l’Anderlecht, squadra tra le cui file era passato l’ex Defour.
Proprio Defour divenne soggetto di un grosso bandierone copricurva in cui, accanto al motto “Red or dead” (O rosso o morte, alludendo al proprio colore sociale), era raffigurato Jason, il famoso protagonista del film horror “Venerdì 13”. Accompagnato dalla classica motosega in una mano, nell’altra Jason mostrava come trofeo la testa mozzata di una propria vittima. Quella testa rispondeva appunto alle fattezze di Steven Defour.
Saltando a piedi pari gli articoli di alcuni giornali, che in un frammisto di ignoranza e malafede hanno scambiato Jason con un guerrigliero dell’Isis che decapita un prigioniero, potremmo persino concedere che sì, lo striscione fosse di cattivo gusto. Però la martellante campagna mediatica, concedeteci a vostra volta questo, è stata veramente stucchevole ed ipocrita. Fatto sta che l’onda di indignazione dell’opinione pubblica, giunta poi fino ai giornali nostrani, ha partorito il solito processo mediatico. E si sa già come va a finire quando i processi li celebrano nei salotti finto-buonisti che agitano i forconi del giustizialismo e del luogo comune.
La notizia particolare, in seno a questo processo, è che, su sua stessa richiesta, il responsabile degli “Ultras Inferno”, è stato sanzionato a nome del gruppo intero.

Il solo componente del gruppo sopra citato, è stata condannato all’interdizione di 8 mesi dagli stadi, con l’aggiunta di un’ammenda di 400 euro.

Il responsabile degli “Ultras Inferno” è stato riconosciuto come parte centrale del tifo, ha chiesto inoltre in prima persona di assumersi la responsabilità esclusiva delle azioni, anche al fine di evitare che persone innocenti venissero condannate senza prove.
Questa richiesta è stata ovviamente accettata visti che era praticamente impossibile identificare i “responsabili” che hanno trasportato ed esposto i circa 1.500 m² di bandierone.

Il punto di partenza giuridico che ha portato a questo tipo di provvedimento, è l’infrazione dell’articolo 23 della Legge contro la violenza calcistica: “Avere come responsabile degli Ultras Inferno, organizzato e partecipato alla realizzazione e al posizionamento di uno striscione il cui contenuto incita all’odio e alla violenza”.

Il fatto che la dirigenza dello Standard, così come la maggior parte dei tifosi presenti nel settore 3 dello stadio, siano stati ingannati sul disegno mostrato nella coreografia (un’altra immagine era stata inizialmente presentata dagli Ultras Inferno), ha spinto i giudici a dire che, i responsabili del tifo, conoscevano bene la natura “bellicosa” di quest’ultimo bandierone.

Sulla base di questo reato, il tifoso ritenuto responsabile può essere sanzionato con l’interdizione dallo stadio da un minimo di  3 mesi ad un massimo di 5 anni, oltre al pagamento di una sanzione amministrativa che va da un minimo di 250 ad un massimo 5.000 €. Si può ipotizzare, senza troppi margini di dubbio, che l’assunzione di colpa abbia contribuito da attenuante nella disposizione della pena.

Il tifoso condannato ha però contestato l’incitamento all’odio e alla violenza, piuttosto invocando la libertà di espressione. Ma né lui né il suo avvocato si sono presentati durante la difesa orale. La pena è stata dunque stabilita, ma può essere presentato ancora ricorso davanti al tribunale di polizia.

Francesco Passarelli.