Ieri è stata la giornata di Stefano Furlan. Iniziata a Valmaura, dove gli ultras triestini hanno ricordato l’anniversario di quel maledetto 8 febbraio 1984. Il giorno in cui Stefano, un ragazzo come tanti, al termine di Triestina-Udinese di Coppa Italia, nel concitato post-partita, si imbatté sfortunatamente in un poliziotto che con foga lo spinse con la testa contro il muro.

Quella del “ragazzo come tanti” è un refrain che si può sentire spesso, ascoltando le testimonianze di quel giorno. E in fondo è un sentimento che accomuna tantissime morti simili. Chiunque si sarebbe potuto trovare al posto di Stefano Furlan. Il posto sbagliato nel momento sbagliato.

Con la persona sbagliata soprattutto, perché un altro dei tasti su cui preme chi chiede giustizia per quella morte, è l’assoluta impreparazione della polizia chiamata a gestire l’ordine pubblico di questo derby tutto particolare. Un derby che non s’è replicato spesso sui campi da calcio, ma che vive di vita propria all’ombra dei rispettivi campanili, dove ancora oggi forte è la contrapposizione fra le parti. Non c’era il classico Reparto Celere, temuto e spesso odiato dai tifosi, ma che almeno – al netto di tutti i suoi eccessi – ha nel suo bagaglio la formazione per gestire le intemperanze allo stadio. Quel giorno c’erano solo agenti comuni, impreparati, impauriti magari, che di fronte a situazioni impreviste hanno reagito con quello che una sentenza di tribunale ha definito: “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”. Che ha prodotto un anno di reclusione con i benefici di legge per l’agente riconosciuto colpevole di questa morte. Se si considera che ormai i daspo arrivano facilmente a 5 anni, se non talvolta di più, per quanto parliamo di strumenti totalmente diversi, un po’ di amaro senso di ingiustizia in bocca resta.

È stata emessa una sentenza di condanna. È stata riconosciuta la colpevolezza dello Stato per via di un suo servitore. Questo già di per sé è un gran risultato. Nonostante i casi simili in cui palese può sembrare il tentativo di insabbiamento mediatico, non bisogna mai perdere la speranza di ottenere giustizia dal punto di vista istituzionale. Mai cedere alla tentazione di fare di tutta l’erba un fascio perché talvolta questa tendenza sfocia nella rassegnazione e nella sconfitta annunciata.

E se oggi è facile ricordare Stefano Furlan, quel ragazzo di cui la Curva di Trieste porta il nome, lo si deve in particolar modo a chi nella prima ora ha deciso di esporsi per lui. A partire dalla famiglia che ha lottato per la verità, certamente, ma senza dimenticare tutti i ragazzi di Curva il cui valore assume tratti epici se – riprendendo quanto detto dall’avvocato Giovanni Adami – si considera il periodo storico. Un periodo in cui non esistevano social in cui creare campagne virali, né telefonini con cui riuscire ad ottenere filmati e testimonianze, programmi di giornalismo investigativo, o presunto tale pronte a darti voce, men che meno delle reti sociali ampie e consolidate come oggi. Chi ci ha messo la faccia per Stefano, affinché ci fosse giustizia e perché ne fosse preservata la memoria, lo ha fatto in tutt’altro contesto, sociale e politico, con molte più difficoltà e resistenze culturali verso una voce comunque antagonista al coro come quella degli ultras. E a queste persone dobbiamo tanto, forse tutto se il ricordo di Stefano Furlan è arrivato integro a noi. Perché questo in parole povere si chiama esempio, un esempio di alto lignaggio morale e umano che poi è diventato patrimonio genetico dell’ultras triestino odierno. Che poi è diventato valore condiviso attraverso la condivisione della battaglia e la solidarietà del mondo ultras tutto, al di là delle divisioni di sorta che sempre ci sono.

Purtroppo la storia di Stefano Furlan non è pero servita da insegnamento. Le morti si sono ripetute. Certo anche per eccessi interni al mondo del tifo, sarebbe stupido negarlo, ma non di meno per l’immancabile “eccesso colposo nell’uso legittimo” del monopolio della violenza. Strumento giuridico-politico che tiene in piedi ogni potere sovrano, esercitando forza superiore e contraria alle spinte sovversive pur di mantenere i propri equilibri.

Per chi ne avesse piacere, ne abbiamo parlato ampiamente ieri nella diretta live andata in onda e ancora disponibile su facebook. Realizzata con la collaborazione di “Grido Libero”, voce della “Curva Furlan” di Trieste. Nonostante il famoso “bello della diretta”, traducibile in problemi tecnici che all’ultimissimo secondo hanno impedito al preventivato moderatore di collegarsi e nel subentrato che s’è dovuto reinventare e improvvisare non sempre con fortuna, alla fine non sono mancati gli spunti di interesse. Grazie soprattutto alla grande competenza degli ospiti in collegamento, Lorenzo Campanale, Giovanni Adami e Sebastien Luois che ancora una volta ringraziamo. Così come ringraziamo chi ci ha seguito in diretta, chi vorrà farlo in seconda battuta e tutta la Curva Furlan per la fiducia accordataci.

Stefano vive. Grazie a tutti.