Una volta tanto mi piacerebbe fare una cronaca senza cadere in polemiche o sproloqui nei confronti di questa o di quell’altra decisione in fattore di ordine pubblico. Sarebbe bello perché, non va dimenticato, il tifo è aggregazione e quindi divertimento, e se così fosse percepito anche a livello di opinione pubblica sono sicuro che vivremmo tutti un po’ meglio le nostre domeniche. Dai tifosi alle questure. Passando per le tasche dei cittadini che vengono domenicalmente svuotate in luogo di scelte alquanto opinabili da parte di Prefetti e Questori, che spesso trascurano falle o problemi ben più grandi di un luogo di aggregazione come lo stadio, dove per mezzo pomeriggio si ritrovano qualche migliaio di spettatori. In fondo sarebbe facile, basterebbe pensare prima di emettere comunicati o prendere decisioni. Ragionare con il cervello e non con la grancassa mediatica e l’opportunismo di chi vuol riempire i propri tabloid con puttanate varie per scalciare l’immondizia sotto i tappeti.

Frosinone-Roma, ahimè, è innanzitutto questo. La creazione, dal nulla visto la mancanza di precedenti tra le due tifoserie (se si fa eccezione per qualche insulsa amichevole estiva ormai datata di qualche anno), di uno stato d’allerta che per una settimana ha sottomesso un intero capoluogo di provincia e ha visto l’imposizione delle solite, ridicole, limitazioni per complicare la vita ai tifosi che volevano soltanto assistere ad una partita di calcio (peraltro di livello mediocre), vedasi divieto di vendita dei biglietti ai tifosi residenti al di fuori della provincia di Roma.

Che lo stadio Matusa non faciliti la vita in queste occasioni penso sia ovvio, ma le eresie sentite nei sette giorni che hanno preceduto la sfida, hanno raggiunto livelli a dir poco allucinanti. Si è passati da chi, su fronte capitolino, ha “preteso” l’inversione dei campi, prendendo spunto da un’uscita provocatoria del presidente ciociaro Stirpe (non si sa perché una squadra al primo anno di Serie A, con una rosa sulla carta non eccelsa e tutte le difficoltà del caso, debba anche privarsi del fattore campo) a chi ha minacciato di Daspo chiunque si fosse avvicinato allo stadio senza titolo d’accesso (cosa che sarebbe, teoricamente, l’ennesimo passo verso la ghettizzazione delle aree dove ci vogliono far credere dovrebbero vivere serenamente famigliole in nome dei sacri valori dello sport). Insomma il solito teatrino all’italiana, dove nessuno vuole usare il buon senso, perché nessuno ha le palle di prendersi una responsabilità in virtù della propria competenza. Quindi meglio creare di sana pianta il problema, per poi far vedere quanto si è stati bravi a risolverlo.

Peccato. Perché Frosinone-Roma, nella normalità delle cose, avrebbe tutti i contorni per essere una sfida interessante, cominciando dal punto di vista “antropologico”. La metropoli contro la provincia. Il modo ormai frenetico e quasi spassionato di vivere il pallone a grandi livelli contro una maniera ancora “rustica” di avvicinarsi agli spalti.

Quello tra giallazzurri e giallorossi è un match che difficilmente, fino allo scorso anno, avrei mai creduto di vedere. Quando percorrevamo l’A1 per venire al Matusa nei primi 2000, in occasione delle sfide più interessanti, il nostro pensiero era totalmente estraneo dal collegare il Frosinone alla Serie A. A dieci anni di distanza, tanta acqua è passata sotto i ponti, e in questo 12 settembre 2015 mi ritrovo di fronte a un inedito derby. Inedito perché, a mio avviso, ancora non si può parlare di derby. Troppa differenza tra Roma e il resto del Lazio. Innanzitutto la Capitale ha per anni letteralmente fagocitato il pallone di tutta la regione, e sono certo che i tanti fallimenti, la malagestione e l’impossibilità, fino a qualche anno fa, da parte di società laziali di raggiungere grandi traguardi, sia dovuto proprio allo strapotere economico e d’immagine che Roma ha esercitato e ancora esercita sullo sport più seguito d’Italia. Certo, è poi vero che il romano, generalmente, addita un po’ tutto ciò che lo circonda come “burino”, e questo sicuramente non passa inosservato alla provincia e ai tanti pendolari che ogni giorno fanno la spola con l’Urbe.

Per quanto mi riguarda non cambio le vecchie abitudini. La partenza è, come da tradizione, con il pullman dalla stazione Anagnina. E come da tradizione il primo viene soppresso senza preavviso, causando le mie imprecazioni più becere. Aspettare un’ora nella sede degli Squali Alcolici del Gloria Bistrita non è la cosa più bella di questo mondo. Ma qualcuno dovrà pur farlo.

Quando il pullman raggiunge il casello di Frosinone, capisco subito che non si tratta di una giornata come le altre. Alcuni blindati, diverse decine di agenti in tenuta antisommossa e molti uomini “in borghese”, aspettano l’arrivo dei tifosi romanisti già tre ore prima della partita. Diversi autobus sono stati predisposti per trasportarli fino al settore ospiti, mentre ad ogni incrocio con la “Monti Lepini”, un capannello di poliziotti presidia con solerzia. Immagino che alla stazione la situazione sia identica. Il commento più corretto lo fa un signore seduto vicino a me: “Non si sa com’è, quando c’è il calcio i soldi spuntano fuori magicamente”. Fotografia più nitida non la poteva fare, pensando a tutte le lamentale che i vari sindacati di polizia fanno per gli straordinari non pagati o per i mezzi mancanti. Per non parlare dei tanti commissariati che vengono chiusi nelle zone periferiche e, di conseguenza, più esigenti. Ma è così, ha ragione il signore, per fare bella figura e usare l’ordine pubblico a margine delle manifestazioni sportive, tutto è concesso.

Ovviamente l’intera città attende l’evento. Ed è innegabile che in molti siano combattuti e spiazzati. Inutile girarci attorno, tanti di quelli che hanno fatto nottata per prendere gli abbonamenti, fino a qualche mese prima avevano frequentato di rado il Matusa, anche negli anni in cui il Frosinone stava uscendo definitivamente dalle sabbie mobili del calcio per spiccare il volo nell’eden pallonaro. Logico che questo non possa far piacere a chi i Canarini li ha seguiti sempre e comunque, anteponendoli davanti a qualsiasi altra squadra più “celebre” e facile da seguire. Ma è uno scotto palese da pagare quando si fanno salti di categoria così importanti e repentini. Sta di fatto che Via Aldo Moro è tutto un brulicare di sciarpe giallazzurre, mentre entrando in città spiccano ancora i festoni apposti alle finestre in occasione della promozione.

Nonostante i proclami bellici delle istituzioni, la situazione si mantiene ovviamente tranquillissima. Da segnalare le recinzioni attorno al settore ospiti, che arrivano fino alla strada. Posso dire tranquillamente che tutta questa pantomima neanche al derby di Belgrado la ricordo. Vista quest’ultima oscenità posso entrare. Ovviamente il colpo d’occhio registra il tutto esaurito, con i circa 2.000 tifosi romanisti stipati nel settore ospiti e arginati dal cordone di steward posto al confine tra Curva Sud e Distinti. Certo, in confronto al carcere di massima sicurezza alias stadio Olimpico, sicuramente i supporters giallorossi quest’oggi debbono sentirsi leoni liberi di scorrazzare nella Savana.

Le squadre entrano in campo ricevendo gli applausi e i fischi delle tifoserie. Come detto, non si può certo parlare di rivalità. Il massimo dell’astio giornaliero si raggiungerà infatti con i fischi a Totti da parte frusinate, un “Tornerete in Serie B” degli ospiti e diversi gesti da una parte all’altra dello stadio. Più che inimicizia, dunque, parlerei di colorito folklore da ambo i lati. Ma non ditelo troppo forte ai tutori dell’ordine, altrimenti la prossima volta sono capaci di mettere anche dei radar in grado di catturare le espressioni facciali e associarle a un non specificato gesto di discriminazione territoriale.

All’ingresso in campo delle squadre, in Curva Nord si compone la coreografia di cartoncini che rappresenta il monumento più importante della città: il campanile. Sicuramente ben riuscita e bella a vedersi nel contesto del piccolo stadio ciociaro. Su fronte ospiti eccetto gli stendardi, le bandiere e un paio di bandieroni, ben poco da segnalare. Avvilente pensare che in una gara del genere non vi sia una torcia o un fumogeno acceso, ma del resto ormai hanno deciso che i problemi dell’Italia sono questi. Quindi si preferisce perquisire a fondo un ragazzino di 18 anni, e magari punirlo con denuncia e Daspo qualora sia in possesso di un’innocua torcia, piuttosto che riversare le proprie attenzioni, che so dico una baggianata, sulle strade delle nostre città le cui buche producono un numero di morti assimilabili annualmente a tante piccole guerre civili.

Se prima parlavamo dei tanti “occasionali” presenti su fronte casalingo, un discorso parallelo occorre farlo anche per i romanisti. La trasferta vicina, la vittoria con la Juventus e la buona campagna acquisti, hanno fatto sì che questa diventasse un po’ la Perugia o la Empoli dei tempi che furono. Vale a dire una trasferta a cui tutti vogliono partecipare perché comoda e poco dispendiosa. Ciò ha prodotto lunghe file per accaparrarsi uno dei 2.000 tagliandi (addirittura in alcune ricevitorie la coda è iniziata dal sabato sera, con la vendita al via dal lunedì), con il risultato che molti di quelli che neanche sanno dove sia sito lo stadio Olimpico sono riusciti a garantirsi un seggiolino del Matusa in luogo di chi si è ritrovato in stadi improbabili come Cluj o Kosice.

Penso che sia imputabile anche a questo fattore la prestazione non certo indimenticabile offerta oggi dai romanisti. Tantissimi gitanti e un nucleo ultras che ha preso posto nella parte inferiore faticando, e non poco, a far cantare anche quelli più interessati a dare consigli tecnici a Garcia che ad aiutare una squadra apparsa in netta difficoltà. Sta di fatto che la prestazione ospiti migliora sensibilmente nel secondo tempo, quando a più riprese i lanciacori riescono a trascinarsi dietro tutto il settore.

Per quanto riguarda gli ultras ciociari, oltre alla coreografia, c’è da segnalare una buona prestazione. Bandieroni sempre in alto, belle manate e solito repertorio condito da numerosi cori a rispondere. Significativo il “Che venite a fa?” lanciato nei confronti delle tante persone che dopo lo 0-2 hanno frettolosamente abbandonato i Distinti. Sempre belli i palazzi che circondano lo stadio, gremiti di spettatori non paganti: chissà se Gabrielli e company stanno pensando di multarli per violazione del regolamento dello stadio. In campo è invece la Roma ad avere la meglio grazie alle reti di Falque e Iturbe, al termine tuttavia di una prestazione opaca.

Dopo esser uscito dallo stadio l’ultimo siparietto della giornata. Avviandomi verso la stazione incappo nel blocco dei carabinieri che non permettono il passaggio. Mi rivolgo a un agente spiegandogli che ho il treno per Roma. Lui fa finta di non sentirmi, fin quando non glielo ripeto per la terza volta e, sbuffando, mi dice che non posso passare. Un suo collega mi chiede la tessera stampa, il biglietto del treno, quello dello stadio e quello del pullman dell’andata. Il tutto solo per avergli detto che ero un giornalista di Roma che dovevo tornare a casa. Ma la cosa più grottesca, che dà l’idea del clima, anche mentale, con cui vengono istruiti in fattore di stadio, è la frase “Se ti facciamo passare, chi ci garantisce che i romanisti non ti tirano una pietra in testa?”. E’ la che lascio stare e mi affido al fato, sperando che i pullman con i tifosi ospiti passino presto e la zona venga liberata. Ciò, fortunatamente, avviene poco dopo. Posso tornare a casa. Anche oggi sono sopravvissuto alla burocrazia/incompetenza italiana.

Simone Meloni.