Quando ti imbatti a commentare partite del genere, ti ritrovi a fare delle scelte drastiche. Per esempio se raccontare tutto per filo e per segno oppure se andare solo su qualche dettaglio. Se entrare nel merito delle questioni aperte o se lasciare tutto com’è. O anche se vale la pena parlare di quello che (non) è accaduto sugli spalti o meno.

Parto da una questione personale: di tutti e quattro i grandi derby nostrani, a due ho assistito almeno una volta, e mi mancano questo derby di Milano e quello di Torino. Da un punto di vista prettamente ultras, o, diciamo così, di “mentalità” (che poi cos’è la mentalità?) quello della Madonnina (che italianizzato non rende neanche la minima idea della bellezza dell’espressione dialettale) è quello che mi attira di meno. Ma è un’opinione. Visto che non si giudica un film prima di vederlo, ho la fortuna di avere un tagliando per questa partita e lo sfrutto alla grande, pur sapendo dei rischi ai quali vado incontro. Infatti, fino al giorno prima della partita, la Curva Nord risulta chiusa per il solito teatrino della “discriminazione territoriale”; stavolta, la partita oggetto dello “scandalo” è Napoli-Inter. Con la Nord fuori dallo stadio e in odore di forte contestazione, si è unita anche la curva rossonera. Mi stavo già chiedendo se e quando entrare, se fare un tempo fuori ed uno dentro, con diverse varianti. La questione si risolve Sabato, il giorno prima di questo travagliato derby: visto che la giustizia sportiva non riesce a tenere fede ai propri principi, molli come il burro e come le norme che li disciplinano, si decide per la riapertura della Nord. Tanti, troppi, gli interessi in gioco. Posso tirare un sospiro di sollievo: almeno dal punto di vista del colore e delle coreografie il mio derby è salvo. Non mancherà il piatto forte di questa stracittadina.

Nemmeno il tempo di esultare ed ecco un nuovo caso: la Domenica mattina, una inaspettata perquisizione della Polizia effettuata sotto la pioggia rovina la coreografia dei Milanisti; va detto che i rossoneri sostengono la validità della procedura seguita per farla entrare, come in ogni derby di questi ultimi anni. E, visto che è sempre filato, finora, tutto liscio, gli si può credere. Rovinato il bandierone dall’acqua, il direttivo della Sud decide che “No coreografia no derby”, ovvero si entra ma senza striscioni, bandiere di nessun tipo e, soprattutto, nessuna espressione di tifo. E, visto che a Milano la solidarietà tra le curve è seria e ben nota, anche la Nord opta per la stessa linea di condotta. Morale della favola, questo sarà un derby monco, insulso e scipito per il mio modo di vedere le cose. Sarebbe da non andare proprio, però chissà, magari ci sarà qualche sorpresa che valga almeno il viaggio.

Ci provo e parto col mio treno verso sud, con la rotta collaudata Trenord più metropolitana. Come in ogni occasione di un certo rilievo, parto con un considerevole anticipo. Arrivo in una Milano in preda al caos prenatalizio nonostante sia Domenica sera. La metropolitana è già stracolma di tifosi, e dalla fermata successiva a Cadorna nessuno riesce a mettere più piede sul convoglio. A Piazzale Lotto la metropolitana si svuota e la gente, con sciarpe nerazzurre e rossonere, si riversa per strada, per quei 10 minuti minimo di camminata che rappresentano un vero rito per la Milano calcistica. Un rito probabilmente destinato a essere spazzato via dalla nuova metropolitana, pronta forse in un paio d’anni, la quale dovrebbe fermare proprio allo stadio. Un peccato per i salutisti e i tradizionalisti.

Mancano poco meno di due ore al calcio di inizio fissato alle 20:45. Fortunatamente non piove e posso dirigermi alla cassa accrediti. Nonostante mi ritrovi in una corsia privilegiata, invidiata spesso da molti, non c’è da stare allegri. La consegna delle buste è solo su due sportelli, e il procedimento dei non brillanti bigliettai è alquanto macchinoso. Più ci si avvicina allo sportello, con lentezza disumana, e più si sta stretti come sardine. La gente sbraita e arriva ad invidiare chi il biglietto ce l’ha già in tasca. E non potrebbe essere altrimenti. Un’ora di fila per prendere una sudatissima busta, e poi via sugli spalti.

Come sempre non sono un campione di orienteering in questo impianto, e ci metto un po’ a trovare il mio settore. Il mio posto è pessimo, anzi nullo per vedere gli spalti, visto che sia il secondo anello della Nord che quello della Sud sono coperti dalla tettoia sopra di me. Decido di arrischiarmi e di sedermi in un posto non mio, e dopo un solo cambio nessuno mi spodesta dalla mia postazione. Lo spettacolo sui gradoni è un misto tra tristezza e surrealtà. Nessuno striscione nelle due curve, nessun coro di sostegno per le rispettive squadre in fase di riscaldamento, nessuna bandiera alzata per sventolare. In cuor mio mi aspetto, chissà, un qualche coro di protesta, forse qualche striscione tematico. Ma è lo scetticismo a prevalere. Dalle chiacchiere del mio primo anello arancio la gente mi sembra piuttosto solidale con la scelta delle curve. Di questi tempi non è affatto scontato.

Inizia la partita col silenzio delle curve e qualche ovazione da parte del resto dello stadio. In casa gioca l’Inter e, ogni tanto, qualche banalissimo coro parte da un settore che non è di certo il cuore del tifo organizzato. Più facile la situazione da gestire nel settore milanista. Oggi si è deciso che nulla ci sarà, e questo deve essere.

La partita vede la mia faccia sempre più scontenta e sconsolata col passare dei minuti. Fa freddo, la mia macchina fotografica sembra in pre-pensionamento, la gente si infiamma per qualche giocata ma a me, francamente, nulla importa di ciò. E, se vogliamo essere proprio onesti, la partita è di un’oscenità incredibile. Segnalo solo i vari ululati dedicati all’idolo di tutte le folle italiche, quel Balotelli capace di fomentare il razzismo anche di persone antirazziste: ma guarda un po’, però, i versi non arrivano dalla curva, ma da parecchia gente del mio settore, ora squalificheranno anche il primo anello arancio dell’Inter? Il primo tempo finisce, 0-0 ovviamente, e le mie gambe mi suggeriscono di andarmene. Ci provo a stare ancora un po’, la speranza di vedere qualcosa di ultras è l’ultima a morire. Fatto sta che, dalla Nord, vengono fatti scoppiare un paio di “bomboni” e una torcia viene accese nelle estreme retrovie degli spalti. Poi niente di più e niente di meno.

La partita finirà con un gol di tacco di Palacio a pochi minuti dalla fine che illuminerà una serata altrimenti buia pesta. Non vi commento né il gol né l’esultanza del pubblico, perché io già me ne sono andato da qualche minuto. Giustamente, via l’untore e inizio alle danze. Per me, invece, assistere ad un derby del genere, è stato veramente troppo. Ho assistito a cose troppo belle negli stadi per poter digerire questi miei minuti al Meazza come niente fosse. Potrei trascinare questo articolo in una retorica che non finisce più, però non ha senso commentare una delle tante situazioni assurde di questi tempi di merda.

L’unica mia considerazione la lascio al Dottor Faustus di Kit Marlowe: la morale di quell’opera la ritengo valida anche per serate silenziose e  tristi, ma piene di senso, come questa.

Stefano Severi.