Avete presente il classico buco nell’acqua? L’illusione di qualcosa che immagini grande, maestoso ed imponente ma che quando hai davanti agli occhi in realtà ti risulta piccolo, insipido ed insignificante? Beh, diciamo che basterebbero queste due righe per descrivere la mia esperienza relativa ai tifosi ciprioti all’Olimpico. Fino all’ultimo minuto resto in dubbio sull’andare o meno. Staccherò da lavoro alle 19, con la partita in programma alle 21,05 ed un ritorno con tappa obbligatoria a casa per prendere la macchinetta fotografica. In tutto ciò non dimentichiamoci che percorrere 6 km sulla Via Tiburtina all’ora di punta può anche coincidere con il restare bloccati per oltre un’ora. Ma ok, ci voglio provare.
Quasi miracolosamente riesco ad arrivare agli accessi dello stadio alle 21,10. Entro in Tribuna Tevere e lo scenario non è certo dei più esaltanti. Se nel settore ospiti trovano spazio oltre 1.500 tifosi ciprioti, nel resto dello stadio ci sono davvero poche persone. A tutto ciò va aggiunto che la Curva Nord è stata chiusa dalla UEFA per presunti cori razzisti nei confronti dei tifosi del Legia Varsavia. Inutile star qui a pontificare sul come e sul perché, ormai abbiamo capito che quest’organo paramafioso, presieduto dall’alzatore di coppe bagnate di sangue, ha puntato il dito contro alcune tifoserie europee e non è disposto a farle passare in cavalleria neanche il ruttino post pranzo. Poco importa poi se, in barba al fair play finanziario tanto decantato, ci siano squadre che spendono e spandono in maniera sconsiderata, affossando di fatto interi campionati nazionali (il riferimento a Spagna e Francia è puramente casuale) o altre che creino illegittimamente e contro qualsiasi principio sulla libertà personale liste nere di tifosi non graditi nei propri stadi (PSG docet). L’importante è che queste squadre non disputino campionati secondari, in quel caso possono anche essere tranquillamente tagliate fuori dalle competizioni internazionali. Due pesi e due misure. La UEFA come la FIGC. E poi entrambe si permettono di far morali e di indicare cosa sia discriminatorio e cosa no.
Dicevamo dei tifosi ciprioti. È chiara sin da subito la spaccatura tra chi si è sobbarcato il viaggio dall’isola mediterranea e chi invece ha raggiunto Roma da altri paesi europei in veste di emigrante. Il gruppo portante, i GATE 1, è quantificabile attorno alle 2-300 unità e saranno gli unici per l’intera durata del match a cantare senza sosta tenendo in mano lo striscione del gruppo, rigorosamente scritto in greco. Limassol, infatti, è sita nella parte greca dell’isola (storicamente contesa tra turchi e greci) ed i suoi ultras non mancano di rimarcarlo con pezze “tematiche” e bandiere elleniche che sventolano numerose. Il restante contingente cipriota sembra più essere in gita che a sostegno della propria squadra. Certo, ci sono le difficoltà logistiche ed economiche di cui tener conto. Cipro in questo momento storico non è certamente un paese dall’economia fiorente ed un viaggio andata e ritorno verso l’Italia comporta pesanti sacrifici sotto il profilo dei costi. Tuttavia, essendo abituato alle oceaniche trasferte dei Greci e dei Balcanici in generale, mi aspettavo forse qualcosa in più proveniente proprio da Limassol.
Come dicevo, il gruppo portante tifa, ma trascinare il pubblico normale è davvero un’impresa ardua. Nonostante tutti seguano la partita in piedi, i ragazzi del GATE 1 fanno fatica persino a far alzare le mani ai tifosi che occupano i seggiolini sopra di loro. Peccato, perché in quelle poche volte che ci riescono lo spettacolo è senza dubbio degno di nota. Spesso leghiamo l’immagine delle tifoserie provenienti da quell’area geografica ad imponenti spettacoli pirotecnici, ma purtroppo anche sotto questo punto di vista rimarrò deluso. Né una torcia, né un fumone.
Su sponda laziale un centinaio di ragazzi si raggruppa nella parte bassa del Distinto Nord tentando di sostenere la squadra. La Curva Nord è rimasta fuori ai cancelli, qualche centinaia di persone si raduna dietro allo striscione SEMPRE PRESENTI con l’intenzione di tifare per tutti i 90’.
In campo la partita non passerà certamente agli annali, i padroni di casa attraversano un pessimo periodo di forma e benché riescano a trovare quasi subito il doppio vantaggio, subiscono il ritorno di un avversario tutt’altro che esaltante, finendo per subire il gol che dimezza lo svantaggio. L’esultanza dei ciprioti, soprattutto grazie ai numeri portati all’Olimpico, è di quelle che merita più di uno scatto. Stesso discorso vale per i minuti che seguono il gol e che regalano agli ospiti un po’ di adrenalina. Se vedeste gli scatti solo di questi momenti, probabilmente pensereste che la loro prestazione sia stata al pari di quelli del Legia. Fortuna vuole che con il tempo ho imparato a diffidare dalle foto, nonostante spesso sia proprio io a farle. A conti fatti posso tranquillamente dire che sarebbe stato preferibile vedere nel settore ospiti solo quei 2-300 venuti da Cipro ai quali certamente non si può imputare nulla sotto l’aspetto dell’impegno. Ci provano con battimani, alzando le sciarpe e tifando senza sosta. Ma l’impatto visivo è offuscato, se non rovinato, dai restanti 1200 gitanti.
Nel secondo tempo si va vicini anche all’imponderabile sul terreno di gioco, con la Lazio che sciupa un paio di nitide occasioni e l’Apollon che fino all’ultimo secondo tiene in vita l’incontro sfiorando a più riprese il clamoroso pareggio. Al triplice fischio i giocatori ciprioti si avvicinano timidamente al settore, nonostante gli applausi dei propri tifosi (qualche anno fa sarebbe stato impensabile che una squadra Italiana vincesse con un solo gol di scarto contro una cipriota, questo è indice del livello attuale del nostro calcio) mentre il pubblico laziale saluta i tre punti con un’esultanza giustamente composta. Personalmente rimane l’amaro in bocca da una parte, per quello che mi aspettavo fosse e quello che non è stato, ma anche una certezza: è sbagliato vivere di miti e stereotipi. Oggi avrei preferito di gran lunga avere di fronte una tifoseria di Serie D italiana. Magari 1/4 dei presenti ma tutti ultras e tutti con la voglia di tifare. In questo caso l’abito non ha fatto il monaco.
Simone Meloni.