Ci sono treni che passano una volta nella vita, che, se non sei puntuale, li perdi e non se ne parla più. Ma altri puoi prenderli in ritardo, magari aspettando che si ripresenti quello successivo. Per me che ho riscoperto la vita delle gradinate quasi con una certa ossessione, facendola ridiventare parte del mio ossigeno vitale, vedere all’opera, almeno una volta, la tifoseria di Milano dell’hockey su ghiaccio era fondamentale. Bei numeri, sia in casa che in trasferta, una tradizione storica e ben radicata, coreografie di impatto e ripetute. Ogni viaggio di scoperta, ogni prima volta, tende a rivelare cosa sia bluff e cosa realtà, oppure una qualche via di mezzo con le sue mille sfumature di grigio. Anticipando il finale e le conclusioni del mio racconto, posso dire che la Curva Milano al seguito della Saima, lo storico sodalizio milanese dell’hockey, è andata ben oltre le mie più rosee aspettative, favorita da un ambiente caldo (nonostante il freddo della pista) anche negli altri settori dell’Agorà, il palazzo del ghiaccio che ospita le partite dei rossoblu.

Se la scorsa stagione non ho mai visto una partita di Milano è perché ho sempre rimandato. “Questa partita sono impegnato”, “quest’altra preferisco andare altrove”, “in questa gli avversari non sono all’altezza” e via dicendo. Stavolta ho scelto il metodo contrario. La prima che capita mi ci butto, e poi come va va. È capitata la sfida contro gli Altoatesini del Vipiteno, appena tornati nella mutilata serie A1 italiana. Nonostante la partita non sia esaltante, se si pensa alla pochezza della tifoseria di Vipiteno, ci sono comunque dei precedenti tra le due fazioni. Durante il campionato 2010/11, quando entrambe le squadre erano in serie A2, ci furono delle tensioni a Vipiteno tra i locali e una ventina di ultras di Milano: alla fine della colluttazione cinque Milanesi furono arrestati, per poi essere presto rilasciati. Inutile dire che, quando nascono episodi del genere, chi subisce la mannaia della repressione (a discapito di chi ne rimane “miracolosamente” immune) inizia ad avere il dente avvelenato contro l’altra tifoseria parte in causa del misfatto.

Decido, come faccio quasi sempre andando a Milano, di appoggiarmi ai mezzi pubblici, per evitare il traffico oppure perdermi. Il palazzetto dell’Agorà si raggiunge con la metro rossa, scendendo alla fermata Primaticci, per poi proseguire cinque minuti a piedi. Qua si sta molto vicini anche allo Stadio San Siro, saranno sì e no un paio di chilometri in linea d’aria. Si gioca di un Sabato alle 18.30, e mi chiedo come sarà l’affluenza dato che, alle 20.45, c’è l’attesissima partita di calcio tra Inter e Roma. Scendendo dalla metro mi addentro in un quartiere che a tutto sembra pensare tranne che all’hockey sul ghiaccio. L’atmosfera cambia di colpo quando si arriva all’impianto, dove tante persone con qualcosa di rossoblu addosso (sciarpa, bandiera o striscione tra le mani) attende che si aprano i cancelli per entrare. Mancano ancora 45 minuti, ma l’idea a pelle che trasmette l’ambiente è quella di una piazza appassionata, dove la partita ha una funzione centrale all’interno della giornata del tifoso. A vegliare sul pubblico tre furgoncini e un’auto dei carabinieri, più una volante della Polizia. Poi all’interno mi accorgerò che c’è persino la Digos. Intanto vado a ritirare il mio accredito che, come mi aspetto (quando bisogna dar retta alle sensazioni…), non c’è. La fortuna è che ho con me la mitica stampata con la richiesta (dove appunto pure data e ora della mail inviata), oltre al fatto che una delle addette si ricorda della nostra richiesta. Vengo fatto entrare con un biglietto omaggio, con la raccomandazione di mettermi dove mi pare a scattare, purché non nella stessa postazione del fotografo ufficiale.

Entrato nell’Agorà, rimango colpito dai tanti striscioni appesi un po’ in tutti i settori. Anche dopo il mio ingresso, molti signori si calano nella veste di padri di famiglia sballati, appendendo qua e là striscioni molto creativi che, appesi altrove, non sfigurerebbero in nessuna curva ultras. Quello che ribattezzo come “angolino padano”, nella tribuna di fronte a me, vince il premio originalità, con gli striscioni “Padania Rossoblu” e “Nerones”, col simbolo di un cane e il sottotitolo “Nerone bruciali tutti”. Probabilmente il Carroccio ha dato una direttiva ai suoi adepti per sostenere l’hockey su ghiaccio come vero sport della tradizione ariana e baluardo di tutti i suoi valori. Giusto così, del resto in questo sport i confini nazionali non arrivano neanche alla Liguria e all’Emilia Romagna. Il premio “cult” però lo vince il Muppets Group, anche se il piccolo striscione è realizzato, poco romanticamente, da un grafico più un tipografo.

Passando alle cose più serie, nel settore ultras spicca lo striscione “Curva Milano”, affiancato da tanti altri piccoli striscioni più defilati, dove non si può non notare il giallo e nero “Vecchia Guardia”. L’afflusso è lento ma porta buoni numeri, e anche il settore più popolare, mano a mano, comincia a riempirsi. Mi chiedo, guardando dall’altra parte, quale sia il settore ospiti, visto che, almeno per ora, non vedo traccia di Altoatesini, e la parte che sembra contenere una ipotetica “gabbia” per chi viene da fuori, è occupata da gente di Milano e dallo striscione “Armata Piranesi”. Nell’attesa incontro anche gli amici di Hockey Time, che mi parlano della pochezza tecnica del campionato italiano rispetto a quello svizzero (per me è la prima volta in una partita nostrana), e di come, pur di coinvolgere il pubblico, le risse tra giocatori siano state quasi legalizzate.

L’inizio della gara, non asfissiato da chissà quale invadenza dello speaker, o da quali effetti sonori (giusto una musica che ricorda “L’ultimo dei Mohicani”) o luminosi, vede la Curva Milano tingersi di bande di stoffa verticali che, nei due “spicchi” del settore, formano due tricolori, con, al centro della curva, un bandierone col simbolo del biscione. Buona la riuscita, col pubblico che apprezza e applaude. Il totale dei presenti si attesta sui 1.500, e, in pochi minuti dopo l’inizio, anche la curva tende a riempirsi, con qualche vuoto solo ai lati. Gli ultras milanesi cominciano subito con un coro contro Vipiteno, per poi dedicarsi al sostegno della propria squadra. E qui comincia la sorpresa, perché i rossoblu tengono a lungo i loro cori, con una “melodicità”, e potenza nello stesso tempo, difficilmente riscontrabili altrove. La partecipazione al gioco è costante, nonostante i limiti delle due squadre siano sempre evidenti. Molti i cori a rispondere, dei quali uno dura oltre due minuti. Tante le bandiere sventolate a più riprese, insomma, i miei occhi sono sempre rivolti verso la curva. Anche perché, manco a dirlo, di ospiti non v’è nessuna traccia, e all’evidenza mi rassegno piuttosto presto. Sul campo, tra tante goffaggini, imprecisioni e penalità, è il Vipiteno, un po’ a sorpresa, a passare in vantaggio, grazie a Erat. Mancano poco più di due minuti al riposo, e i Meneghini non si scompongono minimamente, continuando a sostenere a gran voce la squadra come se il punteggio fosse invariato.

Il secondo tempo si apre con una bella sciarpata della Curva Milano. Val bene dire che, tra pubblico ultrà e gente delle tribune, qui, quasi tutti hanno la loro sciarpa attorno al collo. Quasi subito vengono esposti due striscioni in simultanea: da una parte “Vipitenese coniglio”, dall’altra “Lukas Mair infame”; ignoro chi sia questo Lukas, ma dal nome deduco che sia sempre qualcuno che vive nelle vicinanze della famosa fabbrica di yogurt.  Neanche in campo vanno per il sottile, e più volte si sfiora la rissa. Che arriva, puntuale, verso il minuto 14, quando da un episodio di gioco nasce una scazzottata da saloon che gli arbitri dirimono con molta fatica. Vengono date le solite, tutto sommato leggere penalità, ma prima che il gioco riprenda un giocatore del Vipiteno piomba letteralmente addosso ad uno di Milano stendendolo a terra, e la rissa riprende: stavolta sono gli stessi arbitri a rischiare la loro incolumità mettendosi di mezzo, mentre il pubblico sui gradoni si surriscalda. Qui buonismo e “politically correct” non hanno ancora fatto tappa. Sedata, dopo diversi minuti, la situazione, è Milano a gestire la superiorità, realizzando quasi subito la rete del pareggio con Lutz. L’esultanza del palazzetto è da brividi, una roba che in Italia, nel calcio, non si vede neanche pagando, se non per qualche derby o partita di cartello. Durerà quasi un minuto la gioia dei tifosi, e poi il gioco riparte. Posso dire che, essendoci sempre stato un volume alto in curva, si sente solo di poco che il punteggio è cambiato. Ma il meglio deve ancora venire, visto che a quattro minuti dalla sirena Milano capovolge il risultato con Goi. Dall’esultanza non si direbbe una partita di bassa classifica, ma una sfida scudetto. L’epilogo della frazione è segnato da una seconda, fitta e bella, sciarpata, che accompagna le squadre verso l’ultimo riposo.

A causa del tempo perso per la rissa vado fuori coi miei tempi, rischiando di perdere il treno del rientro, quindi posso assistere solo a pochi minuti residui di match, che vedono il sostegno, ormai abituale per le mie orecchie, della curva di casa. Esco dal palazzetto con la Curva Milano che, imperterrita, continua a cantare. Per la cronaca finirà 3-2 per Milano, con allungo rossoblu di Fontanive a quattro minuti dalla fine, e accorcio, tardivo, delle distanze a meno di un minuto dalla sirena con Wieser, per il definitivo 3-2. La mia scarpinata verso la metropolitana è carica di buone impressioni e di voglia di tornare, perché no, una seconda volta. Ma, si badi bene, cercherò di assicurarmi che ci sia almeno la presenza sicura degli ospiti.

Stefano Severi.