Gli Italiani si sa, sono un popolo di abitudinari, e così, come il cinema al venerdì e il calcetto del lunedì, la mia abitudine sembra oramai essere diventata… il derby di novembre! Mi ritrovo perciò in una sala d’attesa di questo enorme aeroporto con il passaporto in mano e quel colorato quotidiano sportivo nell’altra. Lo sfoglio mentre attendo che venga annunciato il mio tanto sospirato volo, ed ecco lì far capolino, tra una cronaca sportiva e l’altra, immancabile come non mai negli ultimi mesi, il più classico dei classici tra gli argomenti (un po’ come il calcetto del lunedì, se vogliamo essere ripetitivi), quello su cui tutti i giornalisti fanno oramai a gara per scrivere, ritenendosi espertissimi del settore: gli ultras! Eh già, perché da un po’ di tempo l’espressione più gettonata tra le colonne della carta stampata, nei salotti televisivi, dietro le scrivanie dei talk show amati da mamme e nonne, è questa: discriminazione territoriale. Si potrebbe dire che sia il nuovo tormentone delle curve italiane, un po’ come fu il “po-po-po-po-po” post-mondiali, solo che questa volta non si canta più, anzi si smette proprio di cantare perché la curva te la chiudono, magari perché quello che stai cantando non piace, magari perché offendere l’avversario è diventato discriminazione e allora devi essere punito, perché quel coro che canti da trent’anni, oggi nel 2013 non lo puoi più cantare. Perché è discriminazione e se canti “Senti che puzza…” sei un razzista e allora si parte con il chiudere la Curva Nord dell’Inter, poi via con la Sud del Milan e per finire ambedue le curve della Juve. E la lista è destinata ad aumentare, siamo solo all’inizio. I nostri eroi, che si travestono da paladini salva-calcio, hanno appena iniziato con le grandi pulizie! Ah già, perché dimenticavo, il male del calcio in Italia sono gli ultras. E allora prendo quel simpatico giornaletto e gli faccio fare la fine che merita, poi cerco un sorriso, una faccia amica, uno sguardo allegro che mi tolga il nervoso che per un attimo si è impossessato di me; apro la cerniera della mia valigia ed eccolo che mi torna il sorriso: il biglietto per il 145esimo derby di Belgrado, il quarto per la sottoscritta. Un biglietto comprato solamente due giorni prima, attraverso un sito internet (l’equivalente delle nostre Lottomatica o Ticketone) con un semplice click, senza nome o cognome, né documento, né numero di nessuna fidelity card, stampato su un normalissimo foglio A4, che mi consente di accedere direttamente all’impianto sportivo, senza neppure passare dai botteghini. E quegli 8.50 euro per la tribuna centrale direi che sono proprio un ottimo prezzo per guadagnare il sorriso. Mi resta però l’amaro in bocca perché per rivivere certe emozioni che solo il caldo tifo dei veri ultras sa far vivere, rivedere le curve come erano le nostre anni fa, sentire il rullo tamburi, assaporare l’odore di torce e fumogeni, me ne devo andare fin oltre il confine. Siamo arrivati a tanto? Una volta erano gli stranieri che ci ammiravano, “sgolosando” i nostri colori e il nostro calore sugli spalti. Erano loro che ci invidiavano coreografie, tifo, bandiere, fumogenate.
È la mattina di questo caldo sabato 2 novembre, passeggio nei pressi del Marakana dove ai botteghini c’è una fila interminabile di ritardatari che si accingono ad acquistare il biglietto per la partita che si disputerà da lì a poche ore. Ed è proprio durante quelle ore che, lontano da occhi indiscreti, verrò a conoscenza di un durissimo scontro ai danni di un importante sezione dei Grobari del Partizan: gli Headhunters. Il bottino, che i ragazzi dei Delije porteranno con sé, sarà di una bandiera e di uno striscione. Ora vi aspetterete che vi racconterò del pre-partita, dell’ingresso all’interno dello stadio, del riscaldamento delle due curve, ma risulterei essere troppo ripetitiva. È sempre una fortissima emozione che ti entra nelle vene e quando sei seduto su quei gradoni e senti l’inno che parte dagli altoparlanti e uno stadio intero, ripeto UNO STADIO INTERO, comprese le famiglie sedute accanto a me in Tribuna Ovest, che lo canta, allora capisci che sei in un altro mondo. Si è dentro una dimensione surreale e per gente che vive di ultras come me, ma che di ultras qui in Italia non può più averne se non nei ricordi, sembra proprio di stare nel paese dei balocchi. Qui si vive di calcio e di amore per la propria squadra, qui si portano le famiglie e i bambini allo stadio, gli si insegna a tifare, a sventolare una bandiera, a imparare i cori, e da grandi quei bambini tramanderanno tutto ciò ai loro figli. È veramente bellissimo tutto ciò!
La Curva dei Delije fa sempre gli onori di casa: con l’ingresso in campo delle squadre, saluta questo derby con la solita immensa torciata e innumerevoli striscioni (scusate ma, a me risultano incomprensibili). Torce, fumogeni, fuochi d’artificio, bandiere al vento e chi più ne ha più ne metta, oltre alla tanta, tantissima voce. Ugole che si impegnano a far sentire i propri cori che, assordanti, rimbombano per tutto il Marakana. Mi chiedo ogni volta se non si stancano mai o che tipo di “pile” utilizzino per aumentare sempre di più i decibel delle loro voci. È davvero un peccato però non riuscire mai a comprendere i testi dei cori, cori secchi ma anche canzoni che coinvolgono tutto lo stadio. E le bandiere continuano a restare issate al vento perché quei colori, questa notte, devono primeggiare sul bianco-nero del Partizan. Ed ecco così che, al diciassettesimo del primo tempo, la Stella Rossa in campo regala il gol, anzi un autogol (sarà anche l’unico e il risultato resterà invariato per tutta la partita) ai suoi tifosi. Un omaggio per la lezione di tifo, di cui ci sta deliziando la Curva Nord di casa che festeggia il vantaggio con altre torce, altri fuochi d’artificio, altro show… mamma mia che bolgia! Telefonini e smartphone dalla tribuna non fanno altro che immortalare ogni scena coreografica che ci viene proposta.
Ma spostiamoci per un attimo dall’altra parte del campo, dove la faida tra Zabranjeni e il resto della tifoseria dei Grobari, capitanati dagli Alcatraz, è sempre più accesa. Già durante il pre-partita assistiamo al solito “gentile” scambio di torce tra i due settori, dove ad un certo punto, visto l’intensificarsi di tale consorteria, è stato necessario l’intervento delle forze dell’ordine. Forze dell’ordine che, se fossimo stati sugli spalti italiani, sarebbero partite con cariche pesantissime, con l’aiuto di scudi e manganelli. E invece no, qui scusate se mi permetto, ma l’ordine pubblico lo sanno fare eccome. Il cordone di polizia entrato dentro lo stadio si posiziona accanto alla curva ospiti, ma senza usare violenza contro i tifosi. Forse solo per intimidazione o forse perché le disposizioni sono queste, ma sta di fatto che, poco dopo, il fitto lancio di torce cessa il suo percorso. Finalmente però anche i bianconeri partono in quarta a difendere il “primo posto” in classifica del Partizan. Al via una bellissima torciata illumina tutta la curva degli ospiti, calda, fittissima, accompagnata dai cori che spesso vengono fischiati dal resto dello stadio.
Lo spicchio che ospita gli Zabranjeni non resta certamente al buio e non se ne sta mica con le mani in mano, ed ecco accendersi anche quel piccolo settore, prima con un perfetto rettangolo di braccia alzate, pronte per un battimani di quelli perfettamente sincronizzati, poi con l’accensione di altrettante torce e fumogeni che mi copriranno la loro visuale. Belli i Grobari cavolo, belli veramente quest’anno. Personalmente credo sia difficile essere gli eterni secondi in fatto di tifo, quando a vincere il primato è una tifoseria come i Delije che, oggi come sempre, non mi delude mai e continua la sua cavalcata di tifo, il suo show con svariate torce lampeggianti a fare da cornice a questo usuale e mai monotono spettacolo.
Continua pure il levarsi di diversi striscioni e, ad un certo punto, spunta pure quella bandiera sopra citata, finita nelle mani “sbagliate”; brutto colpo per la tifoseria ospite. Questa serata entra nel clou quando tutte le innumerevoli torce accese nella curva dei Grobari, danno vita a veri e propri incendi, alcuni dei quali alimentati da fiamme altissime di più di tre metri. Lo speaker, intuisco dal suo tono di voce, inizia ad agitarsi, chiedendo l’immediata sospensione di tali azioni ai tifosi del Partizan e, per qualche minuto, la partita verrà pure sospesa per facilitare l’ingresso in campo dei vigili del fuoco, i quali con gli idranti cercano, con non poca difficoltà, di spegnere tali roghi. I “becchini” (per chi non avesse nemmeno le nozioni minime, “Grobari” significa appunto becchini) sembrano divertirsi pure, si fanno scudo dall’acqua delle pompe con le loro stesse bandiere, proseguendo nel loro tifo, stasera davvero coinvolgente e carico di passione. Il resto dello stadio però, non lo vedo particolarmente preoccupato da tale situazione: nessuno sembra agitarsi, nessuno sembra essere troppo incazzato. Pare siano quasi abituati a queste manifestazione di “calore” sopra le righe.
E le forze dell’ordine, vi domanderete? Niente, guardano, assistono, aiutano i pompieri a sorreggere l’idrante! Ecco cosa fanno, mantengono appunto l’ordine, ovvero evitano che da situazioni del genere possano scaturire veri e propri episodi di violenza fuori portata, ma non con la repressione cieca, né tantomeno con la “mano facile” che tanto piace ai nostri blu. Vigilano composti sui tifosi, cercando di individuare il confine di pericolosità in cui potrebbe essere richiesto il loro intervento. Se vi dovesse capitare, vi consiglio di guardarvi qualche video di questa serata su Youtube, per controllare con i vostri occhi quanto vi sto raccontando e sono sicura che pure voi, come me lì in diretta, resterete esterrefatti. Qui è un altro mondo, un’altra mentalità: non so se sia più giusta o sbagliata rispetto alla nostra, non spetta certo a me giudicare, ma certamente gestita con più intelligenza come piace al vero ultras.
Continua pure l’esibizione canora e visiva della curva di casa, che al triplice fischio finale esulta per la vittoria e per il derby incassato. La squadra vincente esce dal campo, non prima di essere andata a salutare i propri sostenitori e prendersi gli ultimi cori di incitamento. Stesso discorso vale per la squadra perdente del Partizan, che sotto l’infuocata curva ospite di stasera ci resterà almeno un quarto d’ora, cantando insieme ai Grobari, alzando le mani quando il ragazzo con il megafono lo chiederà a loro come al resto della tifoseria, cantando i loro cori (sembra proprio che conoscano i testi a memoria). Scene davvero surreali, oramai inesistenti nel panorama italiano. Saluto il Marakana, saluto questo altro indimenticabile derby e mi auguro che, al mio ritorno in Italia, il tormentone “discriminazione territoriale” sia passato di moda, magari sorpassato da qualche scandalo tra politici e veline.
Elisa Colombi.